Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 15-04-2011, n. 15403

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 12 luglio 2010, il Tribunale di Palermo, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di S. V., indagato per i reati di concorso in rapina aggravata violazione di domicilio e lesioni personali, in danno di R. N.M.M. confermava l’ordinanza del Gip di Agrigento, emessa in data 26 giugno 2010, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere;

Il Tribunale reputava sussistente il quadro di gravità indiziaria per i reati contestati al S., precisando che non vi potevano essere dubbi sul riconoscimento di costui effettuato dalla parte lesa in quanto trattavasi di soggetto conosciuto fin dalla nascita e residente nei pressi dell’abitazione della vittima.

In punto di esigenze cautelari.

Il Tribunale riteneva concretamente sussistente il pericolo di reiterazione del reato traendolo dalla specifiche modalità e circostanze del fatto che rivelavano l’intensità del dolo ed un’indole particolarmente negativa dell’agente, malgrado la sua giovane età e l’assenza di precedenti penali. Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con i quali deduce violazione di legge e vizio della motivazione, sia in punto di apprezzamento della gravità del quadro indiziario, sia in punto di apprezzamento delle esigenze cautelari.

Quanto al primo motivo, si duole che il Tribunale si sia limitato ad una mera descrizione degli elementi di prova acquisiti senza valutare il complesso degli elementi di prova raccolti al fine di affermare la gravità indiziaria e contesta la sussistenza della pericolosità sociale dell’indagato sotto il profilo del pericolo di reiterazione del reato. Quanto al secondo motivo denunzia l’erronea applicazione dell’art. 275 c.p.p. dolendosi della violazione delle esigenze di proporzionalità che avrebbero potuto essere soddisfatte con la misura degli arresti domiciliari, anzichè con la misura più afflittiva applicata al prevenuto.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al vizio di motivazione si ricorda che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6, 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Alla luce di tali pacifici principi di diritto il primo motivo di ricorso del S. deve essere respinto. In punto di gravità indiziaria il provvedimento impugnato è assistito da motivazione congrua e priva di vizi logico giuridici, in quanto il Tribunale – a differenza di quanto sostenuto dalla difesa ricorrente – non si è limitato a riportare un elenco di elementi indiziari, ma ha valutato la loro gravità e la loro convergenza ed ha evidenziato il forte valore probatorio della dichiarazione della parte offesa che ha riconosciuto l’indagato nella persona di uno dei tre rapinatori, senza ombra di dubbio.

Per quanto riguarda la pericolosità sociale, nessuna censura può essere mossa alle valutazioni compiute dal Tribunale del riesame che ha desunto la sussistenza del pericolo di recidiva dalle modalità del fatto particolarmente grave che suggerisce una prognosi negativa sulla personalità dell’indagato, sebbene costui risulti incensurato.

Tale conclusione appare coerente con la giurisprudenza di questa Corte per la quale è pacifico che:

"In tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto" (Sez. 6, Sentenza n. 12404 del 17/02/2005 Cc. (dep. 04/04/2005) Rv. 231323; conf. Sez. 3, Sentenza n. 48502 del 13/11/2003 Cc.(dep. 08/12/2003) Rv. 227039; Sez. 6, Sentenza n. 22121 del 20/02/2002 Cc. (dep. 06/06/2002 ) Rv. 222242).

Pertanto non è contestabile il fatto che il giudice del riesame abbia preso in considerazione, le modalità particolarmente inquietanti del fatto, deducendo che le medesime lasciasse trapelare l’intenzione di commettere ulteriori delitti.

Nè la situazione di incensuratezza dell’imputato può essere valutata di per sè, come elemento preclusivo per l’applicazione della misura custodiale.

Ha osservato, al riguardo questa Corte con la Sentenza Marino, con riferimento alla norma novellata di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), che: "Nel contesto letterale della norma l’uso della disgiuntiva "o per coordinare i precedenti penali e i comportamenti concreti significa evidentemente che la prognosi di persona socialmente pericolosa può essere affermata o sulla base della condotta concreta o sulla base delle precedenti condanne dell’indagato/imputato; e per converso che la stessa prognosi può essere esclusa solo se entrambi i parametri portano ad escluderla. In altri termini, se il pubblico ministero richiede una misura cautelare sostenendo che l’indagato è socialmente pericoloso in considerazione della sua condotta concreta, il giudice non può formulare una prognosi opposta sulla base dei soli precedenti penali. Anche il legislatore del 1995 non ha inteso escludere a priori ogni misura cautelare a carico dei cosiddetti delinquenti primari, o più esattamente a carico degli imputati o indagati "primari". Inversamente, se il pubblico ministero richiede una misura cautelare sostenendo la pericolosità sociale dell’indagato sulla base dei precedenti penali. Il giudice non può addivenire a una prognosi benevola sulla esclusiva considerazione del comportamento concreto del medesimo, ma solo attraverso una valutazione di questo comportamento che minimizzi o neutralizzi il valore sintomatico negativo dei precedenti penali". (Cass. Sez. 3^, n. 4006 del 24.1.1996, ud. 21.11.1995, rv. 203517; in senso conforme:

Sez. 3, Sentenza n. 34444 del 09/07/2001 Cc. (dep. 22/09/2001) Rv.

220111).

Deve escludersi, inoltre, che il Tribunale abbia omesso la motivazione, in punto di riscontro della inadeguatezza di ogni altra misura cautelare meno afflittiva, ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, in quanto le considerazioni legittimamente sviluppate in punto di gravita del fatto e di negativa personalità dell’agente implicitamente implicano un giudizio di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari.

Di conseguenza il ricorso come premesso deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal cit. art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *