Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 15-04-2011, n. 15402

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 22 giugno 2010, il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di D.P. M., indagato per i reati di concorso in estorsione continuata, aggravata ex L. n. 203 del 1991, art. 7, in danno di D.S. S. confermava l’ordinanza del Gip di Catanzaro, emessa in data 1 giugno 2010, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere.

Il Tribunale, preliminarmente respingeva le eccezioni in rito sollevate con l’istanza di riesame in punto di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per mancata reiterazione dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., di nullità dell’ordinanza genetica per violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b), nonchè di inutilizzabilità della trascrizione parziale di una conversazione registrata dalla parte offesa. Effettuato un excursus sui principi giurisprudenziali in materia di gravità degli indizi ai fini delle misure cautelari, con particolare riferimento alle dichiarazioni del teste parte offesa, il Tribunale reputava sussistente il quadro di gravità indiziaria per i reati contestati al D.P.. Osservava che la deposizione della parte offesa appariva caratterizzata da piena genuinità ed attendibilità in quanto stabilmente ancorata ad una realtà fattuale, nella cui evocazione non emergevano stridenti contraddizioni. Precisava il Tribunale che le dichiarazioni del D.S. erano sconvolgenti nella loro descrizione minuziosa delle continue minacce e violenze fisiche di cui lo stesso era stato vittima, atti volti a costringerlo a corrispondere la somma di Euro 13.000,00 a favore di Z. J., nonchè a non negoziare due assegni di importo complessivo di Euro 20.000,00 emessi dalla stessa Z.. Tali dichiarazioni risultavano riscontrate dalle registrazioni dei colloqui intimidatori effettuate dalla stessa parte lesa all’insaputa dei suoi interlocutori e dai servizi di osservazione predisposti dalla polizia giudiziaria. Una registrazione, in particolare, riguardava un colloquio con alcune persona fra le quali era presente il D.P., che nell’occasione aveva rivolto gravi minacce nei confronti della parte offesa.

Infine osservava il Tribunale che, sussisteva l’aggravante della matrice mafioso, per il metodo mafioso utilizzato e per il richiamo a personaggi di cui era nota la caratura criminale.

In punto di esigenze cautelari, il Tribunale riteneva concretamente sussistente il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato anche alla luce della pessima biografia penale del prevenuto. In ogni caso la pericolosità sociale doveva considerarsi presunta, ex art. 275 c.p.p., comma 3, essendo la custodia cautelare in carcere l’unica misura adeguata.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con i quali deduce:

1) Violazione di legge e dell’obbligo di motivazione in relazione all’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b). In proposito ripropone l’accezione già sollevata con i motivi di riesame in punto di nullità della contestazione in quanto i reati ascritti al D. P., si riferiscono a fatti commessi in più luoghi ed in tempi differenti mentre la condotta contestata all’indagato si concretizza in un unico episodio avvenuto in (OMISSIS). Vi sarebbe, pertanto una mancata corrispondenza fra la condotta specifica attribuita all’indagato e le norme di cui è stata contestata la violazione;

2) Violazione di legge e dell’obbligo di motivazione in relazione all’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10. Al riguardo si duole della mancata trasmissione al Tribunale del riesame della trascrizione integrale del colloquio registrato dalla persona offesa in data 13/3/2010;

3) Violazione di legge e dell’obbligo di motivazione in relazione agli artt. 192 e 273 c.p.p. Al riguardo si duole che la motivazione in tema di gravità indiziaria sarebbe carente ed illogica in quanto il Tribunale per il riesame si sarebbe limitato a riprendere quanto riportato nell’ordinanza genetica, omettendo di valutare gli elementi forniti dalla difesa;

4) Violazione di legge e dell’obbligo di motivazione in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7. In proposito si duole che il Tribunale abbia fatto riferimento ad alcune dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, da cui si evincerebbe la presunta appartenenza del D.P. ad un non meglio specificato clan mafioso, sebbene tali dichiarazioni siano state rese in relazione a fatti diversi da quelli per i quali si procede ed in ambito territoriale non coincidente con il capo di imputazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al vizio di motivazione si ricorda che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6A 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mero prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Alla luce di tali principi il ricorso del D.P. deve essere respinto.

Il ricorrente, in sostanza, si duole che la decisione impugnata sarebbe caratterizzata da una motivazione apparente ed illogica nella delibazione degli elementi di prova in atti, in particolare in punto di convergenza delle propalazioni dei diversi dichiaranti.

Tali obiezioni non possono essere condivise. In realtà nel caso di specie la motivazione del giudice del riesame appare specifica e priva di vizi logico-giuridici e complessivamente coerente, in punto di diritto, con gli insegnamenti di questa Corte in tema di governo della prova.

Nel caso di specie il provvedimento impugnato ha correttamente delineato il quadro della gravità indiziaria, che deriva dal riscontrarsi reciproco delle dichiarazioni del D. e dell’ A., a loro volta integrate – sul piano logico – dalle dichiarazioni degli altri collaboranti sullo scenario all’interno del quale si collocava e trovava un suo movente l’omicidio del S..

Pertanto a carico dell’indagato sussistono due chiamate in reità, supportate da altri elementi di prova logica, idonee a integrare il principio della convergenza del molteplice. Di conseguenza la motivazione del Tribunale per il riesame è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui:

"In tema di valutazione della prova, i riscontri esterni alle chiamate in correità possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatone, le quali devono tuttavia caratterizzarsi:

a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;

b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza;

c) per la loro specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008 Ud. (dep. 31/03/2008) Rv. 239744).

Occorre, inoltre, rilevare che il Tribunale ha riscontrato le principali obiezioni sollevate dalla difesa, in ordine alle dedotte contraddittorietà nel narrato dell’ A., motivando espressamente sulle ragioni che le rendono superabili. Quanto al mancato riscontro delle obiezioni della difesa in ordine alle dichiarazioni rese da V.G., la questione è irrilevante, dal momento che tali dichiarazioni non sono state utilizzate dal Tribunale del riesame per integrare il quadro della gravità indiziaria.

Di conseguenza il ricorso come già rilevato, deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetto il ricorso e condanne il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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