T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 13-04-2011, n. 662 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, con domanda del 21 giugno 2009, ha chiesto il rilascio di concessione demaniale per il posizionamento di pedalò e moto d’acqua in località "Posto Vecchio" della Marina del comune di Salve.

Il Comune, con provvedimento del 22 giugno 2010, ha rigettato la richiesta perché in contrasto con l’art. 17 l.r. 23 giugno 206 n. 17.

Avverso questo provvedimento è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi: 1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 l.r. 17/2006; ingiustizia manifesta; eccesso di potere; violazione del diritto di impresa. 2. Violazione dell’art. 10 bis l. 241/1990.

Deduce il ricorrente che la mancata approvazione da parte della Regione, nel termine prescritto, del Piano Coste non può tradursi in un blocco delle iniziative compatibili con l’ambiente e con la sicurezza e che il diniego è stato comunque adottato senza il rispetto del procedimento partecipativo.

Il Comune si è costituito con controricorso del 21 luglio 2010 rilevando che l’area oggetto della richiesta concessione è un tratto di spiaggia destinato a spiaggia libera a fruizione della pubblica utenza, che nella medesima area insistono già due concessioni che rendono inconciliabile il rilascio di ulteriori concessioni e che l’amministrazione gode di un potere ampiamente discrezionale nella valutazione di quale tra i vari usi del bene demaniale si presenti più proficuo e conforme all’interesse alla collettività.

Con ordinanza n. 540 del 21 luglio 2010 è stato sospeso il provvedimento impugnato.

Il Comune, con memoria del 17 febbraio 2011, nel rilevare che il procedimento giurisdizionale ha perso interesse per il ricorrente perché l’ordinanza cautelare ha permesso l’utilizzazione dell’area demaniale per il periodo richiesto, ha insistito per ottenere una pronuncia nel merito.

Il ricorrente, con memoria del 18 febbraio 2011, ha chiesto la dichiarazione di cessazione della materia del contendere poiché per effetto dell’ordinanza cautelare ha utilizzato l’area demaniale per il periodo richiesto e, con memoria del 2 marzo 2011, ha rilevato che l’interesse al giudizio deve essere verificato in capo a chi chiede giustizia.

Nella pubblica udienza del 23 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Ha carattere preliminare l’esame della richiesta, effettuata dal ricorrente, di cessazione della materia del contendere, perché a seguito dell’ordinanza cautelare di questo Tribunale il ricorrente ha ottenuto il bene della vita di cui ha richiesto tutela.

La giurisprudenza ha precisato che "Nel caso in cui il giudice amministrativo abbia sospeso in sede cautelare gli effetti di un provvedimento e l’amministrazione si sia adeguata con un atto consequenziale al contenuto dell’ordinanza cautelare, non è configurabile l’improcedibilità del ricorso o la cessazione della materia del contendere (rispettivamente, se il successivo atto sia sfavorevole o favorevole all’originario ricorrente), atteso che l’adozione non spontanea dell’atto consequenziale, con cui l’amministrazione dà esecuzione all’ordinanza di sospensione degli effetti di un provvedimento, non comporta la revoca del precedente provvedimento sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo, salvo il caso in cui il contenuto della motivata ordinanza cautelare sia tanto condiviso dall’amministrazione da indurre questa a ritirare il precedente provvedimento già sospeso, sostituendolo con un nuovo atto, senza attendere il giudicato sul suo prevedibile annullamento" (Tar Palermo, sez. I, 20 gennaio 2010, n 583). Infatti, gli atti, posti in essere doverosamente per ottemperare a una pronuncia dotata di immediata esecutività, non fanno venir meno da un lato l’interesse dell’Amministrazione a vedere accertata la legittimità del proprio originario operare, e dall’altro l’interesse del ricorrente a farne affermare invece l’illegittimità, quanto meno a fini risarcitori (Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2011, n. 1364; conf. Tar Firenze, sez. II, 2 aprile 2010, n. 911).

Pertanto, non può essere accolta la richiesta del ricorrente di dichiarare la cessazione della materia del contendere, proprio perché l’ordinanza cautelare ha sempre una rilevanza provvisoria che deve essere sostituita da una pronuncia di merito e comunque permane in capo all’Amministrazione l’interesse alla definizione del giudizio per orientare correttamente la propria azione.

2. Nel merito il ricorso è infondato.

Questa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi recentemente su una fattispecie analoga precisando come la mancata approvazione del Piano Coste nel termine stabilito dalla legge non può comportare la sostanziale disapplicazione dei principi in esso contenuti per i quali, il rilascio di nuove concessioni è subordinato all’approvazione del Piano.

In particolare la sentenza n. 2842/2010 ha chiarito che "… è noto che la legge regionale n. 17 del 2006 individua un sistema all’interno del quale, come correttamente individuato dalla difesa dell’amministrazione ricorrente, il piano regionale delle coste assume un ruolo centrale e indefettibile anche e soprattutto al fine del rilascio delle nuove concessioni, le quali debbono dunque essere rilasciate nel rispetto dei termini e delle prescrizioni in esso previste. L’art. 17 della stessa legge detta poi una disposizione transitoria in cui si stabilisce in sostanza che i comuni, nelle more della approvazione del suddetto piano, possono provvedere al solo rinnovo delle concessioni già esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale ma non anche al rilascio di nuovi titoli concessori.

Va preliminarmente osservato, con riferimento ai termini previsti per la adozione del suddetto piano, che essi hanno natura ordinatoria, e ciò dal momento che il loro eventuale ed infruttuoso decorso non priva i competenti organi regionali dei rispettivi poteri di adozione (in capo alla giunta regionale) ed approvazione (in capo al consiglio regionale).

A tale conclusione si perviene, in particolare, "in omaggio al generale principio, desunto dall’art. 152 c.p.c., secondo cui tutti i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, a meno che la legge o i regolamenti non li dichiarino espressamente come perentori o non prevedano come sanzione alla loro inosservanza la decadenza" (cfr. T.A.R. Liguria, sez. II, 12 luglio 2010, n. 5676; T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 13 maggio 2010, n. 1871).

Tanto considerato, deve convenirsi con la difesa dell’amministrazione comunale nell’affermare che il divieto di cui all’art. 17 della citata legge regionale non scade in occasione del mero decorso dei suddetti termini, ma opera in ogni caso sino alla concreta approvazione del piano delle coste, pur se tale approvazione si verifichi successivamente allo scadere dei termini di cui si discute.

La situazione di cui si denunzia l’illegittimità non si collega infatti alla previsione, in sé, contenuta nel citato art. 17 della legge regionale, quanto piuttosto alla condotta omissiva della amministrazione o meglio degli organi regionali deputati alla adozione/approvazione del suddetto strumento di piano.

Condotta omissiva in ordine alla quale non mancano del resto, nell’ordinamento, rimedi di carattere giurisdizionale ed ancor prima procedimentale, e ciò dal momento che anche nei confronti degli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione sono applicabili, con specifico riferimento alla conclusione del relativo procedimento, tutti gli strumenti di garanzia legati all’eventuale inadempimento e, tra questi, innanzitutto quello del silenziorifiuto.

Pertanto, in estrema sintesi:

a) la subordinazione del rilascio di titoli concessori alla adozione/approvazione del piano regionale delle coste risulta giustificata dall’esigenza di ancorare l’attività di concreta gestione delle aree demaniali ad un contesto preventivamente definito e programmato (si pensi ad esempio all’aspetto concernente l’equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili ai sensi dell’art. 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2006, n. 296);

b) tale condizione, data la sua dimostrata rilevanza, sussiste anche in caso di infruttuoso decorso dei termini previsti per la adozione (peraltro già avvenuta nella specie da quanto risulta in atti) e per la approvazione del suddetto piano;

c) il divieto di cui sopra non comporta una paralisi sine die dell’attività gestionale con conseguente lesione degli interessi degli operatori economici del settore in quanto, costituendo l’adozione del piano regionale delle coste un vero e proprio obbligo giuridico a carico della Regione e non una semplice facoltà, gli operatori stessi hanno a propria disposizione, al fine di ottenere la definizione del piano e conseguentemente rendere possibili nuovi assentimenti, lo strumento del silenziorifiuto di cui agli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo (cfr. T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 5 maggio 2009, n. 399).".

Per quanto riguarda la dedotta violazione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, trova applicazione l’art. 21 octies l. 241/1990, perché il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Pertanto, il ricorso deve essere respinto proprio perché la l.r. 17/2006 non permette il rilascio di nuove concessioni se non dopo l’approvazione del Piano Coste.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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