Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-12-2010) 15-04-2011, n. 15399 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 10 giugno 2010, il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di P. G., indagato per i reati di concorso nell’omicidio di S. A. e detenzione e porto di pistole, aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7, confermava l’ordinanza del Gip di Catanzaro, emessa in data 29 aprile 2010, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere.

Il Tribunale, effettuato un lungo e preciso excursus sui principi giurisprudenziali in materia di gravità degli indizi ai fini delle misure cautelari, con particolare riferimento alla chiamata in correità ed all’esigenza di riscontri esterni di carattere individualizzante, rilevava sussistente il quadro di gravità indiziaria per i reati contestati al P.. Il Tribunale, quindi osservava che i principali elementi indiziari a carico dell’indagato derivavano dalle dichiarazioni etero ed autoaccusatorie rese da diversi collaboratori di giustizia, fra i quali D.V. ed A.F..

Al riguardo il Tribunale rilevava che non poteva essere messa in discussione la credibilità ed attendibilità dei collaboratori di giustizia escussi nel presente procedimento, trattandosi di personaggi di spiccato profilo criminale, organicamente inseriti nelle varie societas sceleris ed, in quanto tali, depositari di un patrimonio di conoscenze relative alle attività criminose svolte dai sodali o da malavitosi contigui all’organizzazione criminale. Quanto alla loro credibilità soggettiva, la stessa si deduceva dalle caratteristiche di precisione, coerenza, costanza e spontaneità delle dichiarazioni rese, che avevano trovato apprezzamento in sentenza di condanna già emesse dall’Autorità giudiziaria calabrese in altri procedimenti e in numerosi provvedimenti cautelari confermati dal Tribunale per il riesame e dalla Corte di Cassazione.

Quanto alla posizione del P. il Tribunale osservava che il suo coinvolgimento nell’omicidio di S.A. si fondava in primo luogo sulle dichiarazioni di A.F.. Costui aveva riferito di aver partecipato ad una riunione, alla quale era presente anche il P., nella quale aveva avuto l’incarico di pedinare il S., aveva precisato inoltre che il S. doveva essere ucciso il giorno (OMISSIS), ma a causa di un imprevisto l’agguato era stato rinviato al giorno successivo, la notizia del rinvio era stata comunicata anche al P.. Le propalazioni dell’ A. trovavano un riscontro individualizzante, in merito al coinvolgimento del P. nel delitto S., nelle dichiarazioni rese da D. V., il quale ha riferito che P. faceva da supporto " Pr. e G. che facevano parte del commando omicidiario.

Quindi il Tribunale rileva la pregnanza probatoria della coincidenza fra le chiamate in correità da parte di D. ed A. di identico contenuto nell’indicare Pr. e G. come esecutori materiali e P. come fiancheggiatore ed addetto al recupero.

Infine osservava il Tribunale che, sussistendo l’aggravante della matrice mafioso, la pericolosità sociale doveva considerarsi presunta, ex art. 275 c.p.p., comma 3, essendo la custodia cautelare in carcere l’unica misura adeguata.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 192, 191 e 273 c.p.p..

In particolare si duole che la motivazione dell’ordinanza impugnata è illogica nella sua struttura argomentativa in quanto affida il giudizio sulla credibilità dei vari collaboratori di giustizia su un argomento meramente tautologico, vale a dire il fatto che essi raccontano fatti e circostanze a cui hanno direttamente assistito.

Contesta, inoltre, le considerazioni del Tribunale in ordine alla attendibilità oggettiva dei collaboratori di giustizia, osservando che il richiamo alla c.d. Sentenza "Twister" da cui risulterebbe comprovata l’esistenza del gruppo criminale Lanzino-Cicero, è inconferente in quanto tale sentenza non richiama i fatti oggetto del presente procedimento.

Si duole che il Tribunale abbia considerato A.F. come chiamante in correità quando costui non risulta essere imputato per l’omicidio S. ed eccepisce che il Tribunale, ignorando uno specifico motivo di impugnazione, nulla abbia osservato in ordine alle dichiarazioni rese da V.G., collaboratore di giustizia dal 1995, il quale avrebbe avuto modo di scambiare informazioni e notizie per i fatti di cui è processo con A. F.. Questa circostanza, secondo la difesa ricorrente, renderebbe inutilizzabili sia le dichiarazioni di A., sia quelle di V.. Successivamente il difensore del ricorrente ha depositato memoria con motivi aggiuntivi.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al vizio di motivazione si ricorda che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6, 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Alla luce di tali principi il ricorso del P. deve essere respinto.

Il ricorrente, in sostanza, si duole che la decisione impugnata sarebbe caratterizzata da una motivazione apparente ed illogica nella delibazione degli elementi di prova in atti, in particolare in punto di convergenza delle propalazioni dei diversi dichiaranti.

Tali obiezioni non possono essere condivise. In realtà nel caso di specie la motivazione del giudice del riesame appare specifica e priva di vizi logico-giuridici e complessivamente coerente, in punto di diritto, con gli insegnamenti di questa Corte in tema di governo della prova.

Nel caso di specie il provvedimento impugnato ha correttamente delineato il quadro della gravità indiziaria, che deriva dal riscontrarsi reciproco delle dichiarazioni del D. e dell’ A., a loro volta integrate – sul piano logico – dalle dichiarazioni degli altri collaboranti sullo scenario all’interno del quale si collocava e trovava un suo movente l’omicidio del S..

Pertanto a carico dell’indagato sussistono due chiamate in reità, supportate da altri elementi di prova logica, idonee a integrare il principio della convergenza del molteplice. Di conseguenza la motivazione del Tribunale per il riesame è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui:

"In tema di valutazione della prova, i riscontri esterni alle chiamate in correità possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatone, le quali devono tuttavia caratterizzarsi:

a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;

b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza;

c) per la loro specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008 Ud. (dep. 31/03/2008) Rv. 239744).

Occorre, inoltre, rilevare che il Tribunale ha riscontrato le principali obiezioni sollevate dalla difesa, in ordine alle dedotte contraddittorietà nel narrato dell’ A., motivando espressamente sulle ragioni che le rendono superabili. Quanto al mancato riscontro delle obiezioni della difesa in ordine alle dichiarazioni rese da V.G., la questione è irrilevante, dal momento che tali dichiarazioni non sono state utilizzate dal Tribunale del riesame per integrare il quadro della gravità indiziaria.

Di conseguenza va ribadito il ricorso deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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