Corte Costituzionale, Sentenza n. 279, riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 119, secondo
comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel testo anteriore
alle modifiche apportate dai decreti legislativi 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a
norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e
12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonche’ al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5,
in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e
della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1,
commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80) promosso dalla
Corte d’appello di Napoli nel procedimento vertente tra A.C. e A.G.
ed altri con ordinanza del 30 aprile 2009, iscritta al n. 18 del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell’anno 2010.
Udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2010 il Giudice
relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 30 aprile 2009, la Corte d’appello di Napoli ha
sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 119,
secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina
del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo
anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 9 gennaio
2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio
2005, n. 80), e dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169
(Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
nonche’ al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del
fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della
legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui prevede che il
termine di quindici giorni per proporre reclamo avverso il decreto di
chiusura del fallimento decorre, per i soggetti legittimati a tale
impugnazione agevolmente identificabili sulla base degli atti della
procedura fallimentare, dalla data dell’affissione di tale decreto
alla porta esterna del tribunale, anziche’ dalla data della
comunicazione dell’estratto del medesimo decreto che a tali soggetti
deve essere inviata a norma del combinato disposto dello stesso art.
119, secondo comma, e dell’art. 17, primo comma, del r.d. 16 marzo
1942, n. 267 (nel testo originario) e dell’art. 136 del codice di
procedura civile, per violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione.
Il reclamo in questione risulta proposto da A.C. – titolare di un
credito prededucibile liquidato dal giudice delegato, ma non
integralmente soddisfatto, prima che la procedura fallimentare nei
confronti della A.G. s.a.s. fosse chiusa ai sensi dell’art. 118, n.
2, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e, dunque, certamente legittimata a
proporre siffatta impugnazione – il 13 gennaio 2003, mediante il
deposito nella cancelleria della Corte d’appello del relativo
ricorso, allorche’ era gia’ scaduto il termine di quindici giorni
previsto dall’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare, per
la sua proposizione, termine che decorre dalla data dell’affissione
per estratto alla porta esterna del tribunale del decreto di chiusura
del fallimento. L’affissione, nella specie, risultava eseguita il 13
dicembre 2002: il reclamo andrebbe, pertanto, dichiarato
inammissibile perche’ tardivo.
Il rimettente afferma di non ignorare che la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 153 del 1980, ha gia’ giudicato
tale previsione normativa non in contrasto con l’art. 24, secondo
comma, Cost., poiche’ giustificata: a) dalla difficolta’ di
identificare coloro che hanno interesse a proporre reclamo contro il
decreto di chiusura del fallimento; b) dall’esigenza di assicurare
un’unitaria trattazione e decisione di tutti i reclami eventualmente
proposti; c) dalla possibilita’ per chi si ritenga pregiudicato dalla
chiusura del fallimento disposta per insufficienza di attivo di
chiederne la riapertura ai sensi dell’art. 121 della legge
fallimentare.
Tuttavia, siffatti argomenti, secondo il giudice a quo, a maggior
ragione se considerati alla stregua dell’art. 3 Cost., non appaiono
convincenti e adeguati rispetto ad altre piu’ recenti pronunce della
medesima Corte costituzionale in ordine alle forme di propalazione
degli atti – e, in particolare, di quelli aventi natura decisoria –
previsti dalla legge fallimentare. Vengono citate le sentenze di
questa Corte: n. 255 del 1974; nn. 151, 152 e 155 del 1980; n. 303
del 1985; nn. 55, 102 e 156 del 1986; n. 273 del 1987; n. 881 del
1988.
Il rimettente riferisce a questo punto di avere gia’ sollevato
questa stessa questione di costituzionalita’ e che tuttavia nelle
more del relativo giudizio incidentale, l’art. 119 della legge
fallimentare veniva modificato, prima, dal d.lgs. n. 5 del 2006,
entrato in vigore il 16 luglio 2006, e, poi, dal d.lgs. n. 169 del
2007, entrato in vigore il 1° gennaio 2008, sicche’ questa Corte, con
ordinanza n. 303 del 2008, dispose la restituzione degli atti alla
Corte d’appello ai fini di una rivalutazione, sulla base dello ius
superveniens, non solo della persistente rilevanza della questione,
ma altresi’ della possibilita’ di un’interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata.
Riassunto il giudizio, il giudice rimettente ha osservato che la
questione conserva intatta la sua rilevanza nel giudizio a quo.
Infatti, a suo avviso, secondo quanto puo’ ricavarsi dagli artt.
150 e 153 d.lgs. n. 5 del 2006 e dall’art. 22 d.lgs. n. 169 del 2007,
le modifiche apportate da tali decreti legislativi alla disciplina
della procedura fallimentare contenuta nel r.d. 16 marzo 1942, n.
267, nel suo testo originario, non sono applicabili alle procedure
fallimentari aperte prima del 16 luglio 2006, come quella di specie,
ne’, deve ritenersi, alle relative procedure incidentali, quali
quella di chiusura del fallimento, regolata dagli artt. 118-120 della
legge fallimentare.
Di conseguenza, deve ritenersi che, nella specie, vada ancora
applicato l’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare, nel
testo anteriore alle modifiche apportatevi dai suindicati decreti
legislativi, che faceva decorrere il termine per la proposizione del
reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento dalla data
dell’affissione di tale decreto per estratto alla porta esterna del
tribunale per tutti i soggetti legittimati a tale impugnazione.
Ne’ pare al rimettente che la questione incidentale gia’
sollevata possa essere superata attraverso una lettura
costituzionalmente orientata della norma impugnata, che fa
chiaramente ed inequivocamente decorrere il termine per la
proposizione del reclamo avverso il decreto di chiusura del
fallimento dalla data dell’affissione di tale decreto per estratto
alla porta esterna del tribunale per tutti i soggetti legittimati a
tale impugnazione e, dunque, anche per quelli, come la reclamante,
agevolmente identificabili sulla base degli atti della procedura
fallimentare.
Ritiene pertanto il rimettente che la questione sia tuttora
rilevante nel caso di specie, in cui il decreto di chiusura reclamato
non risulta esser mai stato comunicato, a norma dell’art. 136 cod.
proc. civ., alla reclamante, che ne ha preso visione per la prima
volta il 7 gennaio 2003, ossia quando ormai era troppo tardi per
proporre reclamo.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’Appello di Napoli dubita della legittimita’
costituzionale dell’art. 119, secondo comma, del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione
coatta amministrativa), nel testo anteriore alle modifiche apportate
dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della
disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma
5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e dal decreto legislativo 12
settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d.
16 marzo 1942, n. 267, nonche’ al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in
materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e
della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1,
commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte
in cui prevede che il termine di quindici giorni per proporre reclamo
avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti
legittimati a tale impugnazione, agevolmente identificabili sulla
base degli atti della procedura fallimentare, dalla data
dell’affissione alla porta esterna del tribunale, anziche’ dalla data
della comunicazione dell’estratto del medesimo decreto, che a tali
soggetti deve essere inviata a norma del combinato disposto degli
artt. 119, secondo comma e 17, primo comma, dello stesso r.d. 16
marzo 1942, n. 267, e 136 del codice di procedura civile, in
violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, per
la irragionevolezza della individuazione del dies a quo per la
proposizione del reclamo dall’affissione dell’estratto del decreto
anche con riguardo ai creditori agevolmente identificabili solo a
causa della difficolta’, agli stessi non addebitabile, di
identificare gli altri creditori, e per il vulnus al diritto di
difesa dei primi.
2. – La questione e’ fondata.
2.1. – Questa Corte, nell’esaminare identico problema, ha
dichiarato, a suo tempo, non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 119, secondo comma, della legge
fallimentare, nella parte in cui fa decorrere il termine per la
proposizione del reclamo dalla data di affissione del decreto di
chiusura del fallimento (sentenza n. 153 del 1980), argomentando la
legittimita’ della scelta del legislatore sulla base della
difficolta’ di identificare coloro che hanno interesse a proporre
reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento e sulla esigenza
di riunione di piu’ reclami in unica trattazione camerale.
Successivamente a tale decisione, pero’, la Corte ha avuto modo
di pronunciarsi piu’ volte – a proposito di disposizioni della legge
fallimentare nella versione originaria – sulla possibilita’ che la
legge faccia decorrere termini perentori, previsti per impugnare
provvedimenti (asseritamente) lesivi di diritti soggettivi, da
momenti (emanazione del provvedimento, affissione) diversi da quelli
della notificazione o comunicazione dei provvedimenti stessi.
In proposito e’ stato osservato che «la scelta dell’affissione,
quale forma di pubblicita’ idonea a far decorrere il termine per
l’impugnazione di un atto, puo’ essere giustificata solo dalla
difficolta’ di individuare coloro che possono avere interesse a
proporre l’impugnazione stessa (sentenze n. 273 del 1987 e n. 153 del
1980), risultando priva di razionale giustificazione se riferita a
soggetti preventivamente individuati dal legislatore (sentenze n. 251
del 2001, n. 151 del 1980, n. 255 del 1974). Cio’ in quanto
l’affissione determina una mera presunzione legale, peraltro
insuperabile, di conoscenza dell’atto ed e’ quindi compatibile con il
diritto di difesa del destinatario nei soli casi in cui
l’individuazione di questi, ed il conseguente ricorso a mezzi di
comunicazione diretta dell’atto stesso risultino impossibili o
estremamente difficoltosi» (sentenza n. 224 del 2004, n. 154 del
2006).
Sulla base di questi principi la Corte ha dichiarato
l’illegittimita’ costituzionale: a) dell’art. 98, primo comma, della
legge fallimentare, nella parte in cui prevede che il termine per
l’opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva decorra
dalla data del deposito dello stato passivo in cancelleria anziche’
dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento,
con le quali il curatore deve dare loro notizia dell’avvenuto
deposito (sentenza n. 102 del 1986); b) dell’art. 190, secondo comma,
della legge fallimentare, nella parte in cui fa decorrere il termine
di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il provvedimento
del giudice delegato di cessazione degli effetti dell’amministrazione
controllata dalla data del decreto anziche’ dalla sua rituale
comunicazione all’interessato (sentenza n. 881 del 1988); c)
dell’art. 209, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte
in cui prevede, per la liquidazione coatta amministrativa, che il
termine di quindici giorni per proporre l’impugnazione dei crediti
ammessi decorre dalla data del deposito in cancelleria, da parte del
commissario liquidatore, dell’elenco dei crediti medesimi, anziche’
da quella di ricezione della lettera raccomandata con avviso di
ricevimento, con la quale lo stesso commissario deve dare notizia
dell’avvenuto deposito ai singoli interessati (sentenza n. 201 del
1993); d) dell’articolo 144, quarto comma, della legge fallimentare,
nella parte in cui prevede che il termine per la proposizione del
reclamo decorre dalla affissione della sentenza stessa anziche’ dalla
sua comunicazione (sentenza n. 224 del 2004); e) dell’articolo 213,
secondo comma, della stessa legge fallimentare, nella parte in cui fa
decorrere, nei confronti dei creditori ammessi, il termine perentorio
di venti giorni per proporre contestazioni avverso il piano di
riparto, totale o parziale, dalla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della notizia dell’avvenuto deposito del medesimo in
cancelleria, anziche’ dalla comunicazione dell’avvenuto deposito
effettuata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento ovvero
con altre modalita’ previste dalla legge (sentenza n. 154 del 2006).
Alla luce dei principi enunciati dalla richiamata giurisprudenza
e’ evidente che la norma denunciata nel testo anteriore alle
modifiche apportate – non potendosi queste ultime, contenute nel
d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della l. 14
maggio 2005, n. 80) e nel decreto legislativo 12 settembre 2007, n.
169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n.
267, nonche’ al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina
del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi
dell’articolo 1, commi 5, 5-bis della l. 14 maggio 2005, n. 80)
applicarsi a procedure fallimentari chiuse nel 2003 (argomentando
dagli artt. 150 e 153 d.lgs. n. 5 del 2006 e 22 d.lgs. n. 169 del
2007), come ha plausibilmente motivato il giudice a quo – nello
stabilire che il termine di quindici giorni per proporre reclamo
avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti
legittimati a questa impugnazione, dalla data dell’affissione di tale
decreto alla porta esterna del tribunale, sacrifica gravemente ed
ingiustificatamente il diritto dei creditori di avere conoscenza del
decreto, per potere proporre reclamo avverso lo stesso. Gravemente,
in quanto richiede un onere di diligenza inesigibile, attesa la
necessita’ di accedere, almeno ogni quindici giorni, per tutta la
durata della procedura, sovente tutt’altro che breve, per accertare
la data del deposito, dal quale soltanto decorre il termine de quo;
ingiustificatamente, perche’ l’indeterminatezza dei soggetti
interessati puo’ legittimare modalita’ di «informazione», quale
quella prevista dalla norma censurata; il che pero’ non avviene nel
caso come quello del titolare di un credito prededucibile liquidato
dal giudice delegato, ma non integralmente soddisfatto, in cui tali
soggetti siano non solo individuabili, ma altresi’ individuati. In
tale ipotesi, che ricorre nel caso di specie, l’onere di diligenza
che la norma censurata impone ai creditori e’ incomparabilmente piu’
gravoso e gravido di conseguenze pregiudizievoli di quello cui deve
sottoporsi l’ufficio che sia tenuto a dare conoscenza del decreto di
chiusura del fallimento ai creditori ben individuati (sentenza n. 154
del 2006).
L’art. 119, secondo comma, della legge fallimentare – nel suo
testo originario – deve, pertanto, essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui fa decorrere, nei
confronti dei soggetti interessati e gia’ individuati sulla base
degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso il decreto
motivato del tribunale di chiusura del fallimento dalla data di
pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dall’art. 17 della
stessa legge fallimentare, anziche’ dalla comunicazione dell’avvenuto
deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di
ricevimento ovvero a mezzo di altre modalita’ di comunicazione
previste dalla legge (sentenza n. 154 del 2006).

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 119, secondo
comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore alle
modifiche apportate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a
norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e dal
decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni
integrative e correttive al r. d. 16 marzo 1942, n. 267, nonche’ al
d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento,
del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi
5, 5-bis della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui fa
decorrere, nei confronti dei soggetti interessati e gia’ individuati
sulla base degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso
il decreto motivato del tribunale di chiusura del fallimento, dalla
data di pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dall’art.
17 della stessa legge fallimentare, anziche’ dalla comunicazione
dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con
avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altre modalita’ di
comunicazione previste dalla legge.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Finocchiaro

Il cancelliere: Milana

Depositata in cancelleria il 23 luglio 2010.

Il cancelliere: Milana

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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