Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-03-2011) 18-04-2011, n. 15511 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 2 agosto 2010, il Tribunale di Pescara, quale giudice del riesame, rigettava il ricorso proposto da P.R. e riguardante il decreto con il quale il G.I.P. di Pescara, in data 28 giugno 2010, disponeva il sequestro di quattro cumuli di rifiuti rinvenuti sul piazzale della ditta Placido Remo per violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, lett. a) in relazione agli artt. 208, 212, 216 del medesimo decreto.

Avverso tale provvedimento il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Deduceva, in primo luogo, l’illegittimità dell’ordinanza in quanto, non avendo attribuito rilevanza alla consulenza di parte prodotta dalla difesa, aveva escluso che, nella fattispecie, fosse ipotizzabile un’ipotesi di deposito temporaneo di rifiuti, ritenendo comunque gravante sulla difesa medesima l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della relativa disciplina.

Analoghe considerazioni svolgeva circa il mancato riconoscimento dell’applicabilità della particolare disciplina in materia di terre e rocce da scavo, prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, ad una parte dei rifiuti e di quella di cui all’art. 230 del medesimo decreto ai rifiuti provenienti dalla demolizione di un fabbricato.

Riteneva, in conclusione, che l’attività svolta fosse lecita e non necessitasse di autorizzazione.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente chiarire che, come chiaramente indicato nell’ordinanza impugnata, il sequestro è stato eseguito per il reato di illecita gestione di rifiuti, come risulta chiaramente dal puntuale riferimento alle disposizioni del D.Lgs. n. 152 del 2006 menzionate in premessa.

Risulta peraltro, dal provvedimento di sequestro allegato al ricorso, che l’attività contestata consisteva nell’effettuare il deposito ed il trattamento dei rifiuti derivanti da attività di demolizione di edifici e manti stradali in assenza di titolo abilitativo e che i cumuli dei rifiuti sequestrati risultavano distinti per tipologia e sottoposti a trattamento consistente nella riduzione volumetrica mediante frantoio mobile atto alla separazione dei residui ferrosi.

Il ricorrente sostiene tuttavia, che tale attività possa essere inquadrata nell’ambito di altre disposizioni contemplate dal D.Lgs. n. 152 del 2006.

Afferma, in primo luogo, che la situazione riscontrata all’atto del controllo andrebbe collocata nella fattispecie del deposito temporaneo.

Ciò posto, deve ricordarsi (con riferimento alla disciplina vigente all’epoca dei fatti) che il deposito temporaneo era descritto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. m), come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, a determinate condizioni dettagliatamente specificate:

– il raggruppamento dei rifiuti deve avvenire nel luogo di produzione dei rifiuti medesimi;

– il deposito temporaneo non può riguardare rifiuti prodotti da terzi, come si desume chiaramente dalla legge, ma solo rifiuti propri;

– i rifiuti non devono contenere quantitativi di determinate sostanze al di sopra di un certo limite (policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani,policlorodibenzofenoli policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione);

– sono previsti limiti quantitativi e temporali entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento. Tali limiti consentono al produttore di scegliere, in alternativa, di contenere il quantitativo dei rifiuti entro un certo volume (10 metri cubi per i rifiuti pericolosi e 20 metri cubi per quelli non pericolosi), superato il quale deve recuperarli o smaltirli, oppure di effettuare tali operazioni, indipendentemente dal quantitativo dei rifiuti, con cadenza trimestrale. In ogni caso, pur rispettando il dato quantitativo appena indicato, il deposito non può avere durata superiore ad un anno (per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate specifiche modalità di gestione del deposito temporaneo);

– il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonchè, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

– devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi.

L’osservanza di tutte condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo sollevavano il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall’art. 187.

Ciò posto, deve tuttavia ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, è orientata nel ritenere che l’onere della prova in ordine al verificarsi delle condizioni fissate per la liceità del deposito temporaneo grava sul produttore dei rifiuti in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti (Sez. 3, n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3, n. 21587,17 marzo 2004;. Sez. 3, n. 30647, 15 giugno 2004).

Tale principio, specificamente riferito, nelle decisioni appena richiamate, al deposito temporaneo, è peraltro applicabile in tutti casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l’applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali in tema di rifiuti.

A conclusioni analoghe deve giungersi per quanto riguarda l’applicabilità del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 ad una parte dei rifiuti in sequestro.

Tale disposizione, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, potessero essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati alle seguenti condizioni:

– devono essere ottenute quali sottoprodotti. Tale previsione, contenuta nella prima parte dell’art. 186, individua preventivamente, in ragione della sua collocazione, l’origine dei materiali che, evidentemente, dovrà costituire un presupposto necessario affinchè possa procedersi alla verifica degli ulteriori requisiti per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo;

– devono essere impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;

– fin dalla fase della produzione deve esservi certezza dell’integrale utilizzo;

– l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;

– deve essere garantito un elevato livello di tutela ambientale;

– deve essere accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo 5 della parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006. Il comma 6 precisa ulteriormente che la caratterizzazione dei siti contaminati e di quelli sottoposti ad interventi di bonifica viene effettuata secondo le modalità previste dal Titolo 5, Parte quarta del decreto e che l’accertamento che le terre e rocce da scavo non provengano da tali siti è svolto a cura e spese del produttore e accertato dalle autorità competenti nell’ambito delle procedure previste dall’art. 186, commi 2, 3 e 4;

– le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonchè la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione;

– la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata.

La norma prevede, come si è visto, un complesso di requisiti che costituiscono condizione necessaria per l’applicazione alle terre e rocce da scavo della particolare disciplina fissata dall’art. 186.

In mancanza anche di una sola di tali condizioni sono applicabili le disposizioni generali sulla gestione dei rifiuti come chiaramente indicato dal comma quinto del medesimo articolo.

Anche sul punto il Tribunale ha ritenuto mancante la dimostrazione oggettiva della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla norma per l’applicazione della speciale disciplina, così come ha ritenuto inconferente la richiamata applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 230 inerente i rifiuti derivanti dalla attività di manutenzione delle infrastnitture che il ricorrente invoca con riferimento a rifiuti provenienti dalla demolizione di un fabbricato interessato dal terremoto del 6 aprile 2009 ed imposta con ordinanza sindacale.

Come emerge chiaramente dall’esame delle disposizioni la cui applicabilità il ricorrente ha invocato, il Tribunale ha escluso, con considerazioni motivate in maniera adeguata e non manifestamente illogica, che vi fossero elementi atti a confutare la tesi accusatoria relativa ad una illecita attività di gestione mancando qualsivoglia contributo probatorio da parte della difesa circa l’applicabilità delle discipline derogatorie più volte richiamate.

L’applicabilità di tali discipline, inoltre, deve essere dimostrata attraverso dati obiettivi e non può essere riconosciuta sulla base di una semplice consulenza di parte prodotta, peraltro, dopo l’esecuzione della misura reale e contenente mere valutazioni del professionista incaricato della redazione ed il cui tenore è chiaramente improntato alla contestazione dell’esito delle indagini come emerge chiaramente dalla stessa intestazione del secondo capitolo della relazione allegata al ricorso ("Osservazioni – chiarimenti – controdeduzioni; relazione Corpo Forestale").

Ne consegue che il Tribunale del riesame ha adeguatamente espletato il proprio ruolo di garanzia considerando e valutando tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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