Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-03-2011) 18-04-2011, n. 15547

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sa Pietro.
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 12 febbraio 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 20 gennaio 2006 che aveva condannato M.D. alla pena di Euro 3.800 di multa, per i delitti di minacce, ingiurie e lesioni personali in danno di A.N., oltre al risarcimento del danno in favore delle suindicate persone costituite parti civili.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando l’insussistenza dell’ingiuria e della minaccia nonchè della contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 10.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato, essendo ai limiti dell’inammissibilità, in quanto le doglianze testè proposte non si discostano da quelle già esaminate dai Giudici del merito.

2. In primo luogo, perchè non è affatto apodittica la motivazione della Corte Territoriale che ha definito l’espressione utilizzata dal ricorrente nei confronti della parte offesa A. quale offensiva del suo onore e decoro.

Dare dello "stronzo" ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri è in re ipsa indice di completo disvalore e di diretta offesa, non costituendo affatto una mera ipotesi di "non correttezza" di rapporti con il prossimo nè del presunto uso comune che del suddetto epiteto può farsi in alcuni ambienti sociali.

Analogamente, quanto al contenuto delle espressioni di minaccia, correttamente la Corte di Appello ha ritenuto le stesse pienamente idonee ad integrare gli estremi del contestato reato costituendo un "avvertimento minaccioso collegato alle funzioni pubbliche legalmente esercitate dalla parte offesa" (per usare le medesime e corrette parole del Giudice del merito).

L’indeterminatezza del male minacciato non vale neppure ad eliminare l’antigiuridicità del fatto ascritto, non eliminando tale circostanza la portata intimidatoria delle espressioni utilizzate.

Nel reato di minaccia, invero, è essenziale la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto, essendo sufficiente la mera attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato, purchè questo sia ingiusto e possa essere desunto dalla situazione contingente (v.

Cass. Sez. 5, 7 giugno 2001 n. 31693 e da ultimo sempre Sez. 5, 12 maggio 2010 n. 21601).

Infine l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 10 non è stata contestata a casaccio proprio perchè, in ossequio al chiaro dettato normativo, la minaccia concretamente posta in essere dall’odierno ricorrente era diretta contro il pubblico ufficiale nell’atto e a causa dell’adempimento delle sue funzioni.

3. Il ricorso va, in conclusione, rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado anche a favore della parte civile costituita.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 1.100 per onorari oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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