Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-03-2011) 18-04-2011, n. 15540 Testimoni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

onali Dott. RIELLO Luigi che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 15 gennaio 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Pisa del 16 luglio 2008 con la quale M.M. era stata condannata per il delitto di furto aggravato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità con particolare riferimento all’errata valutazione circa la tardività della lista testimoniale depositata;

b) la illogicità della motivazione in merito alla mancata ammissione del teste richiesto;

c) la illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa con particolare riferimento al riconoscimento dell’imputata;

d) l’erronea valutazione in sede di giudizio sul concorso di circostanze e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è da rigettare.

2. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi attinenti alla chiesta e non ammessa prova testimoniale nel giudizio di merito.

In diritto, come è stato puntualizzato da questa Corte (v. da ultimo, Cass. Sez. 6, 21 gennaio 2010 n. 7352), il termine di presentazione della lista dei testimoni per il dibattimento va riferito alla prima udienza di trattazione e non anche alle successive udienze di rinvio.

Ne consegue che la parte riacquista il diritto di presentare la predetta lista entro il termine di sette giorni dalla data della nuova udienza, soltanto nel caso in cui il dibattimento sia stato rinviato a "nuovo ruolo" (v. Cass. Sez. 5, 28 settembre 2001 n. 41129 e la citata Sez. 6, 20 aprile 2004 n. 23753); ipotesi alla quale va equiparata quella in cui sia stato disposto il rinvio ad udienza fissa prima dell’esaurimento della fase degli atti introduttivi (v. la del pari citata Cass. Sez. 6, 16 dicembre 1996 n. 498 e Sez. 5, 31 ottobre 1996 n. 390).

Nella specie, quanto dianzi esposto rende, pertanto, non condivisibile quanto affermato, in rito, dalla difesa del ricorrente circa la pretesa violazione delle norme processuali compiuta dal Giudice di primo grado.

A ciò si aggiunga come correttamente, questa volta con riferimento al secondo motivo del ricorso, la Corte territoriale abbia chiarito, in ogni caso, che la chiesta prova testimoniale fosse superflua alla luce delle ulteriori risultanze di causa.

Invero, la rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado.

Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il Giudice la ritenga necessaria ai fini del decidere.

Secondo, poi, la pacifica giurisprudenza di questa Corte: "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il Giudice, pur investito con i motivi di impugnazione di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda: invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti (v. da ultimo, Cass. Sez. 3, 7 aprile 2010 n. 24294).

Non così viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità" (v. Cass Sez. 5, 16 maggio 2000 n. 8891 e Sez. 6, 18 dicembre 2006 n. 5782).

Nella specie la Corte di Appello ha addirittura motivato in merito alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per cui di nessun pregio sono le asserzioni defensionali della ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso è ai limiti dell’inammissibilità in quanto tende a dare una non consentita rilettura della deposizione testimoniale della parte lesa, la cui attendibilità, viceversa, è stata espressa con motivazione logica (v. pagina 4 della decisione impugnata) che resiste al vaglio di questa Corte di legittimità.

Al riguardo, poi, della contestazione in merito al riconoscimento fotografico dell’imputata occorre immediatamente chiarire che, come più volte precisato da questa Corte (v. da ultimo, Cass. Sez. 3, 5 maggio 2010 n. 23432), la ricognizione formale di cui all’art. 213 c.p.p., non è, per il principio della non tassatività dei mezzi di prova, l’unico strumento probatorio idoneo alla dimostrazione dei fatti e che, pertanto, il riconoscimento effettuato senza l’osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione non è affetto da patologie processuali, quali la nullità o la inutilizzabilità.

Per rispondere, poi, ai rilievi della ricorrente, è sufficiente richiamare in questa sede l’orientamento consolidato secondo cui l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione;

pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (v.

Cass. Sez. 6, 5 dicembre 2007 n. 6582).

In questo senso, quindi, non può essere sindacata in questa sede, in quanto correttamente motivata, la decisione dei Giudici di appello che hanno ritenuto comunque affidabili le dichiarazioni della parte offesa, valutando sia la sicurezza mostrata da quest’ultima nel riconoscimento effettuato nel corso delle indagini, sia il tenore delle risposte fornite nell’escussione nel corso del giudizio sia, infine, l’esistenza di precisi riscontri rispetto alle circostanze narrate.

Nè, infine, i rilievi concernenti la capacità dimostrativa della prova possono formare, evidentemente, oggetto di sindacato nel giudizio di Cassazione non rilevando in questa sede il merito della decisione ma solo la correttezza della motivazione (v. Cass. Sez. 5, 24 maggio 2006 n. 36764).

4. Quanto all’ultimo motivo del ricorso si osserva come la pena applicata nei confronti della ricorrente appaia sicuramente ispirata ai criteri di cui all’art. 133 c.p..

Va, a tal proposito, richiamato il principio consolidato per il quale la motivazione in ordine alla determinazione della pena base ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale.

Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il Giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p, per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (v. Cass. Sez. 2, 26 giugno 2009 n. 36245).

5. Il rigetto del ricorso determina, in conclusione, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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