Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-03-2011) 18-04-2011, n. 15534 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

NTALEONE G..
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – La Corte di Trento, in parziale riforma di sentenza del Tribunale appellata dal P.M., ha dichiarato G.G. e M. N. colpevoli in concorso anche dei delitti di falso (capi 1 e 2) di cui all’art. 482 c.p. e art. 476 c.p., comma 2 (autentica da parte del notaio Ma.Pi., inesistente, della firma " R. D.", persona inesistente, qualificata procuratore di società "Cauzioni S.A. Broker" inesistente, in calce a due polizze fideiussorie attribuite alla "Società Assicurazioni Generali spa").

Ha ritenuto in tali falsi assorbiti i reati (3 e 4) di cui all’art. 110 c.p., art. 468 c.p., comma 2 di contraffazione ripetuta del sigillo del notaio e, la continuazione con il reato (5) di cui all’art. 640 c.p. e art. 61 c.p., n. 4, in concorso con C. E. e S. (giudicati separatamente) ai danni della "Cassa Rurale di Tuenno Val di Non", da cui ottenevano due finanziamenti, rispettivamente di Euro 940.000 e 1.400.000.

Ed ha rideterminato la pena in a. 2 e m. 6 di reclusione per M. ed a. 4 per G..

La sentenza ricostruisce che C., fallito, aveva spinto la fidanzata S., titolare della "SO.LI.ME srl", a chiedere finanziamenti bancari per acquisti immobiliari. La Banca chiedeva garanzie e C. si era rimesso per procurarle mediante fideiussioni fittizie a G. (compensato con il 20% del finanziamento), che incaricava M. (poi compensato da G.), individuato anche per l’uso di un cellulare, di provvedere.

La Banca aveva scoperto dopo i finanziamenti l’inesistenza delle fideiussioni.

La sentenza quindi motiva che i fatti sono incontroversi e le prove emergono dalle stesse ammissioni degl’imputati. Spiega che i falsi si ravvisano nelle autenticazioni di firma, prima esclusi dal Tribunale e risultano idonei all’inganno a differenza di quanto sostenuto nell’appello di M.. Respinge anche la rilevanza del sostenuto coinvolgimento di almeno un dirigente della banca (che pur riconosce disattento), ferma la prova della sua consapevolezza del destino dei due atti e perciò quantomeno il dolo eventuale di truffa.

Il ricorso comune (Avv. G. Pantaleone) denuncia: 1 – vizio di motivazione sul delitto di falsità materiale (capi 1 e 2), per inidoneità, trattandosi di atto giuridicamente inesistente, comunque all’apparenza grossolano, del tutto innocuo e soprattutto nullo, essenzialmente perchè la Banca, necessaria la diligenza qualificata occorrente nel caso, non poteva non avvedersene, data la mera funzione di consulenza e promozione del broker e perchè non vi è prova che gl’imputati siano stati autori materiali della falsificazione ( M. ha affermato di aver ricevuto la fideiussione da tale D.F.F.), sicchè al più dovrebbero risponderne ai sensi dell’art. 489 c.p.; 2 – idem circa i reati sub 3 e 4, per insussistenza dei falsi in sigilli, non esistendo nella specie quello autentico che sarebbe stato contraffatto, laddove l’imitazione non dev’essere grossolana; 3 – idem circa il delitto sub 5, perchè manca prova della consapevolezza anche minima dello scenario a monte e cioè della finalità truffaldina, non conoscendo M. (v. le deposizioni degl’imputati) le persone implicate ( C., S. ed altri) e perchè non sono state verificate specifiche deduzioni relative all’operato della Banca, che non ha proposto querela e non si è costituita P.C. o chiesto la restituzione di Euro 200.000 a chi aveva venduto immobile agli affidatari ed al suo ambiente torbido, mentre la Corte ha ribaltato il convincimento del coinvolgimento di dipendenti; 4 – mancata assunzione, immotivata, di prove decisive, in particolare l’audizione del C.T. e del teste D.F., prove indicate ai sensi dell’art. 468 c.p.p. e già ammesse, nonchè del titolare di utenza di cui si serviva M. (che avrebbe invece implicato D.F.); 5 – idem, per la mancata applicazione di generiche a M., incensurato e senza carichi pendenti per delitti omologhi, illogicamente esclusa la sua collaborazione, laddove ha ripetuto in giudizio che l’autore dei documenti fideiussori era D.F. F..

2 – Il ricorso è in gran parte inammissibile (peraltro G. non aveva proposto appello circa i reati per i quali era stato condannato dal Tribunale, capi 3, 4 e 5, cioè falso ai sensi dell’art. 468 c.p. e truffa aggravata, ancorchè potrebbe giovarsi degli effetti estensivi dei motivi comuni). Ed è comunque infondato.

Anzitutto altro è l’idoneità intrinseca dei falsi, altro la loro attitudine all’induzione in errore della Banca circa la sufficienza di garanzie per tal via offerte per ottenerne prestiti.

Difatti le norme sul falso tutelano la pubblica fede relativamente alla provenienza dell’atto, nella specie l’autentica della firma (cfr. Cass. Sez. 5, n. 16267/04, CED rv. 228768) e la genuinità del sigillo, come ritenuto, non l’affidamento di singoli alla valenza dell’atto falsificato per ragioni negoziali, oggetto questo del reato di truffa.

Nella specie il falso contrassegno notarile non può ritenersi per sè inidoneo per l’inesistenza del notaio, che è verificabile a posteriori. Inoltre risulta strumentale alla falsificazione dell’autentica di firma e si è ritenuto rettalmente assorbito il reato di cui all’art. 468 c.p. nel falso documentale (cfr. Cass. sez. 5, n. 13299/99 cit. in sent. e Cass., Sez. 5, n. 42649/04 – CED rv.

230263). L’assorbimento toglie rilievo decisivo alla questione sollevata con l’argomento che gli autori materiali del falso possano essere state persone diverse da M., fermo che lui è la persona che ha procurato gli atti falsi a G., si sia o non rivolto ad altre per ottenerli. Ne segue non rileva sia per la prova di responsabilità che per gli effetti penali la distinzione tra contraffazione ed uso del sigillo falso. Ed è infondata la tesi di sostenuta inconsapevolezza di M. circa il destino degli atti falsificati. Il perchè (necessità di garanzie per prestiti di enorme rilievo) ed il poi (cospicui compensi ottenuti) fonda all’evidenza il ragionamento compiuto e logicamente incensurabile dei Giudici.

La questione sul dolo, riargomentata con l’essersi M. rivolto ad altri ( D.F. a suo dire), risulta inutilmente ripetitiva del merito, anche sotto i profili procedurali.

La ragione evidente di rigetto della richiesta di nuove assunzioni di prove è che eventualmente assunte avrebbero forse coinvolto tali altri, ma non sarebbero servite a superare la prova, evidente, del suo pieno coinvolgimento a monte come a valle.

Difatti, quanto alla truffa, la sentenza ha spiegato che le garanzie offerte sono state ritenute sufficienti dal C.d.a. della banca per l’autorizzazione al rilascio dei prestiti, checchè potesse prima verificare il singolo funzionario. E, anche ritenendo il funzionario compromesso, come mira a far intendere il ricorso, per quanto interessa tanto è decisivo.

La questione della "diligenza qualificata" fa difatti grazia della provenienza del profitto dalla Banca per la Delib. del C.d.a. soggetto diverso dal dipendente che, in ipotesi avrebbe contribuito ad indurre in errore l’organo decisionale. Oltre si ripete la giustificazione di fatto, confondendo la leggerezza altrui con l’assenza di artificio proprio.

Infine la sentenza spiega perchè va respinta sul piano dell’elemento soggettivo la tesi che M. abbia appreso i particolari dell’impiego degli atti falsi solo dopo l’arresto.

Sottolinea, ed è quasi un surplus (se si riflette che la motivazione ha già spiegato che non s’intende a cos’altro potessero servire le fideiussioni artificiose, se non per ottenere credito), le stesse modalità di incasso (mediante di terzi) degli assegni ricevuti a compenso del suo operato, per confermare le reali prospettazioni dell’imputato circa l’evento scaturente dal suo contributo, sicchè non può perciò sostenersi esente da dolo.

Insomma il senso della motivazione (dolo eventuale) è che non rileva che M. non fosse pienamente a conoscenza dei particolari dell’uso che dei falsi avrebbero fatto i destinatari ignoti, date le sue aspettative. La risposta è completa e non manifestamente illogica e paradossalmente la puntualizzazione ha offerto destro ripetuto alle impugnazioni.

In punto di pena il ricorso ricade nel merito, laddove la valutazione non illogica dei Giudici circa gli indici adottati, anche per escludere valenza alla sostenuta "condotta collaborativa e resipiscente" con riferimenti inattendibili, è qui insuscettibile di alternative.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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