T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 14-04-2011, n. 3252 Concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La presente controversia concerne la deliberazione con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si è determinata a non avviare l’istruttoria di cui all’art. 16 comma 4, della l. n. 287 del 1990, con riferimento all’operazione di concentrazione consistente nell’acquisizione del controllo esclusivo di C.D.B. s.r.l. da parte di B.C. Investors Llc.

L’impugnativa è stata successivamente estesa al provvedimento con cui l’Autorità ha rigettato l’istanza di riesame avanzata da C..

1.1. B.C. Investors Llc. (di seguito "Bci") è la società di diritto statunitense che controlla i fondi di investimento del gruppo B.C., attivo nel private equity con riferimento a svariati settori (beni di consumo, Ict, finanza, sanità, ecc).

L’operazione di concentrazione di cui si verte consiste nell’acquisizione, da parte di Bci, per il tramite di una newco appositamente costituita, del controllo di C.D.B. s.r.l..

C.D.B. S.r.l. – Società per l’analisi e l’informazione finanziaria (di seguito, Cdb) – è una società italiana che realizza, gestisce e fornisce a terzi banche dati relative ad informazioni di natura commerciale.

Al momento della notifica della concentrazione detta società non risultava controllata da alcun soggetto. I detentori delle maggiori quote del suo capitale erano sei banche commerciali (Intesa SanPaolo, U., M.D.P.D.S., B.P., B. e Unione Banche Italiane) e la Banca Centrale italiana. Da parte sua CdB controllava diverse società (tra cui, in particolare, C.B. s.p.a.) attive nella fornitura di informazioni commerciali e nella gestione di banche dati e appositi portali web.

Per effetto dell’operazione la newco ha acquistato il 92% di CdB dalla banche venditrici, riservandosi, in virtù di un distinto accordo con soggetti terzi, la possibilità di divenire titolare del restante 8%.

L’odierna ricorrente afferma di avere appreso dalla stampa, e, comunque, da voci di mercato, dell’esistenza di ulteriori accordi, strettamente connessi all’operazione di acquisizione, attraverso i quali i soggetti venditori delle loro partecipazioni in CdB si sarebbero vincolati tutti (con l’esclusione di Banca d’Italia) ad acquistare presso Cerved i servizi di business information necessari allo svolgimento delle proprie attività. Siffatti accordi avrebbero un contenuto tale da determinare un effetto totale di chiusura del mercato, con particolare riguardo alle informazioni per il credito, rendendo non contendibili da parte dei concorrenti di Cerved, per un ulteriore periodo, le banche venditrici.

A fronte della decisione dell’Autorità di non avviare l’istruttoria di cui all’art. 16, comma 4, della l. n. 287/90, e convinta che siffatti accordi non avessero formato oggetto di notifica all’Autorità, C. presentava a quest’ultima, in data 27 febbraio 2009, un’istanza volta ad ottenere il riesame dell’operazione di concentrazione, e, comunque, in via subordinata, l’adozione di misure cautelari in ordine ad una presunta intesa restrittiva della concorrenza, derivante dai suddetti accordi.

Nel frattempo, contrastava, con il ricorso principale, il provvedimento di non avvio dell’istruttoria, deducendo:

1) Violazione degli artt. 6 e 16 della l. n. 287 del 1990; Eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità della motivazione. Irragionevolezza manifesta. Errore nei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria.

Premessi alcuni cenni circa la sussistenza del proprio interesse, in qualità di impresa concorrente, ad impugnare le determinazioni dell’Autorità antitrust con riferimento a soggetti terzi, in quanto direttamente lesive della propria sfera giuridica, ritiene anzitutto erronea la definizione del mercato rilevante tracciata, nella fattispecie, dall’Autorità. Essa, in particolare, avrebbe omesso di considerare che le informazioni per il comparto del credito costituiscono un segmento autonomo del mercato della business information e che comunque, diversamente da quanto ritenuto dall’Autorità, l’entità risultante dalla concentrazione verrà a detenere, una quota pari al 50% del mercato rilevante.

Non sussisterebbe, comunque, nel settore del credito, quella elevata contendibilità ipotizzata dall’Autorità, la quale risulterebbe smentita, nel caso in esame, proprio dagli accordi conclusi tra Cerved e le banche venditrici.

2) Violazione degli artt. 6 e 16 della l. n. 287/90. Difetto di istruttoria.

Gli accordi connessi all’operazione di concentrazione garantiscono a Cerved la pressoché totale fornitura delle informazioni commerciali di cui le banche venditrici hanno bisogno, per un periodo di tre anni, ulteriormente prorogabile. Accordi analoghi sarebbero stati proposti alle banche tuttora detentrici di quote in C.D.B., con la conseguenza che la totalità del mondo bancario sarà esclusivo appannaggio di Cerved.

Si sono costituite, per resistere, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la società G., e le banche controinteressate.

C. ha quindi esteso l’impugnativa alla determinazione con cui l’Autorità ha rigettato l’istanza di riesame, affidandola alle seguenti censure.

1) Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90. Difetto di motivazione. Errore sui presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà.

La determinazione dell’Autorità appare priva di una autonoma e compiuta motivazione, sia nella parte in cui ha ritenuto che non vi fossero ragioni sufficienti a rivedere la decisione di non avviare l’istruttoria sulla concentrazione, sia nella parte in cui ha ritenuto che gli accordi intervenuti, effettivamente esistenti ed esaminati in esito alla verifica sollecitata da C., non presentassero comunque criticità di tipo antitrust.

2) Violazione degli artt. 6 e 16 della l. n. 287/90. Violazione dei principi e delle norme in materia di restrizioni "accessorie" alle operazioni di concentrazione. Difetto di istruttoria.

La determinazione di non avviare l’istruttoria si è formata sulla base di un quadro conoscitivo incompleto e non rispondente alla realtà effettiva.

3) Violazione degli artt. 2 e 14 della l. n. 287/90. Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 del Trattato CE.

A prescindere dalla loro connessione con l’operazione di concentrazione, gli accordi stipulati tra B.C. e le banche venditrici del 92% del capitale sociale di CdB, così come gli accordi stipulati con le banche detentrici del restante 8%, sono suscettibili, a dire di parte ricorrente, di determinare rilevanti effetti anticoncorrenziali nel mercato della business information, in quanto gli stessi configurebbero una esclusiva di fatto in favore del gruppo riconducibile a B.C..

Tale effetto sarebbe principalmente riconducibile ai meccanismi di aggiustamento del prezzo di acquisto in favore delle banche venditrici che si sono impegnate a garantire un determinato ammontare di ricavi in B.C. e a mantenere in essere il rapporto contrattuale con il soggetto acquirente per una durata pluriennale.

Resistono anche ai motivi aggiunti l’Autorità, le banche venditrici e la newco G..

Le parti hanno depositato memorie.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione, una prima volta, alla pubblica udienza del 13 ottobre 2010.

Con ordinanza n. 1494 del 13.10.2010, sono stati disposti incombenti istruttori a carico dell’Autorità, la quale è stata onerata di depositare copia della versione integrale, non coperta da omissis, della risposta – trasmessa in data 30 marzo 2009, per conto di B.C.e Investors LLC, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – alla richiesta, in data 18 marzo 2009, di informazioni in merito all’operazione di concentrazione B.C./C.D.B. s.r.l. notificata in data 5 dicembre 2008; nonché copia della predetta richiesta in data 18 marzo 2009.

Detti incombenti sono stati tempestivamente eseguiti.

Tutte le parti hanno depositato memorie.

Infine, il ricorso e i motivi aggiunti, sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 23 febbraio 2011.
Motivi della decisione

1. Il ricorso, e i motivi aggiunti, sono infondati e debbono essere respinti.

1.1. Giova in primo luogo sintetizzare le argomentazioni con cui l’Autorità ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’avvio di una istruttoria ai sensi dell’art. 16, comma 4, della l. n. 287/90.

1.2. Ha formato oggetto di analisi, in primo luogo, il "mercato del prodotto".

L’Autorità ha evidenziato che, da un punto vista merceologico, il settore interessato dall’operazione in esame è quello dei servizi di fornitura di informazioni commerciali (cosiddetta businessinformation) in cui opera la società oggetto di acquisizione.

L’attività in questione è svolta da un insieme molto differenziato di operatori e "consiste sostanzialmente nella raccolta ed (eventuale) elaborazione, con successiva distribuzione e commercializzazione, di dati e informazioni di natura economicofinanziaria, commerciale e legale funzionali alle esigenze di imprese, professionisti e Pubblica amministrazione".

Per quel che concerne la domanda, "la clientela che si avvale di tali servizi è costituita principalmente da imprese, banche ed istituti finanziari, fondi di investimento, società di leasing e di factoring, pubbliche amministrazioni, operatori del settore immobiliare, professionisti legali e notarili. Si tratta cioè di tutti quei soggetti che necessitano, per l’esercizio della loro attività, di reperire e disporre di informazioni sia in merito alla consistenza e all’affidabilità finanziaria/patrimoniale/commerciale di persone fisiche e giuridiche (nella loro veste di fornitori, clienti, concorrenti, partner, ecc), onde poterne -per quanto possibile- prevedere il comportamento, sia in merito all’assetto e all’andamento di varie società, onde poter effettuare al meglio le proprie scelte di investimento. ". Inoltre, "Il mercato della fornitura di servizi informativi di natura commerciale può essere segmentato in funzione della tipologia di clientela, e quindi dell’utilizzo dei dati fatto dalla stessa, e della tipologia di prodotto fornito. In questo senso, è possibile considerare le informazioni per il comparto del credito, le informazioni per il comparto immobiliare, le informazioni per le imprese ovvero informazioni di tipo legale, fiscale, business news o per le attività di marketing".

L’Autorità ha in particolare ritenuto che il mercato si caratterizzi per un grado di sostituibilità dal lato dell’offerta tale da consentirne una definizione unitaria. Infatti "Tutti gli operatori del settore sono (…) in grado, almeno potenzialmente, di soddisfare le esigenze informative di un’ampia varietà di clienti, dalle banche alla Pa, potendo passare piuttosto agevolmente dalla fornitura di un prodotto a quella di un altro (…)".

Dal punto di vista geografico, l’Autorità ha individuato un mercato di dimensioni nazionali, fondando tale ipotesi sulla base delle "omogenee condizioni concorrenziali", della "specificità della domanda, relativa alla situazione economicopatrimoniale di soggetti localizzati in territorio nazionale" nonché della connessa necessità, "per gli operatori del settore, di disporre di un’ampia rete di collaboratori in grado di garantire una capillare copertura territoriale, onde poter raccogliere il maggior numero possibile di informazioni.".

La frazione del mercato italiano della fornitura di business information complessivamente riconducibile alle parti è riconducibile al (3540%), di cui il (510%) e il (2530%) per vendite realizzate rispettivamente da Bci e da Cdb. Nello stesso mercato, ha evidenziato l’Autorità, operano peraltro diversi e qualificati concorrenti, quali C. ((1822%)) in primis ma anche Ribes, Dun&Bradstreet e Infocamere (tutti attestati intorno a (510%)).

Non sono state riscontrate particolari barriere all’entrata: "l’accesso alle informazioni e ai dati necessari per la prestazione del servizio è infatti, per legge, libero, in quanto consentito a chiunque ne faccia richiesta, senza essere subordinato al consenso del soggetto (persona fisica o giuridica) cui tali informazioni e dati si riferiscono (…)". Il mercato si caratterizza inoltre, "per la diffusione di contratti tipicamente di breve durata (con piena facoltà di recesso qualora pluriennale), senza in ogni caso la previsione di vincoli di esclusività in capo all’utilizzatore; per una conseguente mobilità della clientela; per un valore piuttosto modesto del marchio commerciale e quindi per l’assenza di rilevanti investimenti pubblicitari; per la significativa omogeneità dei servizi e dei prodotti forniti, i cui prezzi sono comparabili dal cliente senza eccessive difficoltà; per la mancanza di strategicità degli investimenti in ricerca e sviluppo".

Sulla scorta di tali considerazioni, l’Autorità ha quindi ritenuto di non avviare l’istruttoria di cui all’articolo 16, comma 4, della legge n. 287/90.

2. L’art. 16, comma 1, l. 287/1990 stabilisce che le operazioni di concentrazione di cui all’art. 5 devono essere preventivamente comunicate all’Autorità qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate ovvero il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’impresa di cui è prevista l’acquisizione sia superiore a determinati valori soglia.

Ai sensi del successivo quarto comma, se l’Autorità ritiene che un’operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell’art. 6 (in quanto comporti la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza), avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, l’istruttoria attenendosi alle norme dell’art. 14; l’Autorità, a fronte di un’operazione di concentrazione ritualmente comunicata, qualora non ritenga necessario avviare l’istruttoria deve darne comunicazione alle imprese interessate ed al Ministero dello Sviluppo Economico delle proprie conclusioni in merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica.

L’art. 6 comma 3 d.P.R. 217/1998 – regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – stabilisce ancora che il provvedimento di avvio dell’istruttoria deve indicare, tra l’altro, gli elementi essenziali in merito alle presunte infrazioni.

Sulla base del descritto corpus normativo, la Sezione ha ritenuto che la fase preistruttoria, lungi dal rappresentare una delibazione meramente sommaria sui possibili profili antitrust dell’operazione di concentrazione sottoposta all’esame dell’Autorità, introduce alla fase istruttoria nella sola ipotesi in cui l’Autorità ritenga in concreto possibile, dovendone indicare i relativi elementi di problematicità, che l’operazione possa comportare la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza, tanto che, ai sensi della richiamata norma regolamentare, la comunicazione di avvio dell’istruttoria deve indicare gli elementi essenziali in merito alle presunte infrazioni, vale a dire che deve individuare espressamente le ragioni in ordine alle quali l’amministrazione procedente ha maturato le proprie perplessità di carattere concorrenziale.

Di converso, la determinazione di non avviare l’istruttoria può essere legittimamente adottata quando l’Autorità abbia maturato una ragionevole certezza sull’assenza di effetti anticoncorrenziali derivanti dall’operazione di concentrazione, in esito alla valutazione della stessa nella sua consistenza effettiva.

Ne consegue che la fase preistruttoria, proprio in quanto può concludersi con l’accertamento dell’assenza di profili di anticoncorrenzialità, non deve essere sommaria, ma deve essere sufficientemente analitica al fine di esporre adeguatamente, nel caso di non avvio dell’istruttoria, le ragioni per le quali le preoccupazioni anticoncorrenziali possono essere escluse (così TAR Lazio, sez. I^, sentenza n. 31278 del 24 agosto 2010).

Il giudizio sulla legittimità della valutazione con cui l’Autorità accerta l’assenza di profili di anticoncorrenzialità derivanti dall’operazione, passa attraverso la verifica dell’esistenza di una posizione dominate sul mercato rilevante, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza, da parte dell’entità post merger nel mercato considerato.

In proposito, soccorrono gli "orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese", pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea 5 febbraio 2004, n. C 31.

Il punto 1 degli "Orientamenti" premette che l’art. 2 del regolamento n. 139/04 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, stabilisce che la Commissione valuta le concentrazioni che rientrano nel campo d’applicazione del regolamento stesso per stabilire se siano compatibili o meno con il mercato comune; a tal fine, la Commissione deve valutare se una concentrazione sia atta ad ostacolare in modo significativo una concorrenza effettiva, in particolare creando o rafforzando una posizione dominante nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso.

Con specifico riferimento al livello delle quote di mercato, il punto 17 indica che, secondo una giurisprudenza consolidata, quote di mercato molto grandi – 50% o superiori – possono costituire di per sé la prova dell’esistenza di una posizione di mercato dominante. Tuttavia, concorrenti di minori dimensioni possono esercitare un potere sufficientemente condizionante se, per esempio, hanno la capacità e l’incentivo ad accrescere le loro forniture. Una concentrazione che interessa un’impresa la cui quota di mercato dopo la concentrazione rimarrà inferiore al 50% può comunque dare adito a preoccupazioni sotto il profilo della concorrenza a causa di altri fattori, quali la forza e il numero dei concorrenti, la presenza di limiti di capacità o nel caso in cui i prodotti delle parti della concentrazione sono stretti sostituti. La Commissione ha in diversi casi ritenuto che concentrazioni a seguito delle quali un’impresa veniva a detenere quote di mercato comprese tra il 40% e il 50%, e in taluni casi inferiori al 40%, avrebbero dato luogo alla creazione o al rafforzamento di una posizione dominante.

Per il successivo punto 18, le concentrazioni che, a causa della limitata quota di mercato detenuta dalle imprese interessate, non sono in grado di ostacolare una concorrenza effettiva possono essere ritenute compatibili con il mercato comune e, fatti salvi gli artt. 81 e 82 del Trattato, tale effetto è presumibile quando la quota di mercato delle imprese interessate non supera il 25% né nel mercato comune né in una sua parte sostanziale.

Ne consegue che, ai sensi degli "Orientamenti" elaborati in sede comunitaria, occorre presumere l’esistenza di una quota di mercato dominante quando la stessa sia pari o superiore al 50% e l’inesistenza di una concentrazione in grado di ostacolare una concorrenza effettiva quando la quota di mercato delle imprese interessate non supera il 25%, sicché qualora la quota di mercato dell’entità postmerger sia compresa tra il 25% ed il 50% bisogna far riferimento anche ad altri fattori di valutazione.

3. Con un primo ordine di rilievi, C. ha contestato l’individuazione del mercato del prodotto, operata dall’Autorità, la quale avrebbe omesso di considerare che le informazioni per il comparto del credito costituiscono un segmento autonomo del mercato della business information e che, comunque, l’entità risultante dalla concentrazione verrà a detenere, una quota pari al 50% del mercato rilevante.

Non sussisterebbe, inoltre, nel settore del credito, quella elevata contendibilità ipotizzata da AGCM, la quale risulterebbe smentita, nel caso in esame, proprio dagli accordi conclusi tra Cerved e le banche venditrici.

3.1. Il Collegio ricorda che è ormai ampiamente consolidata l’elaborazione giurisprudenziale relativa alle caratteristiche del sindacato che il giudice amministrativo svolge sull’analisi antitrust in materia di mercato rilevante e più in generale sulle valutazioni tecniche compiute dall’Autorità.

Per quanto qui interessa, è sufficiente ricordare che per mercato rilevante si intende quella zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto si pongono tra loro in rapporto di concorrenza.

La definizione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto cui segue l’applicazione ai fatti accertati delle norme giuridiche in tema di mercato rilevante, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale.

Il giudice amministrativo in relazione ai provvedimenti dell’AGCM esercita un sindacato di legittimità, che non si estende al merito, salvo per quanto attiene al profilo sanzionatorio: pertanto, deve valutare i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia immune da travisamenti e vizi logici, e accertare che le norme giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate e applicate. Laddove residuino margini di opinabilità in relazione ai concetti indeterminati, il giudice non può comunque sostituirsi all’AGCM nella definizione del mercato rilevante, se questa sia immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, da vizi di violazione di legge (Cons. St., sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 424; id. 10 marzo 2006, n. 1271, Telecom Italia; id. 23 aprile 2002, n. 2199, Rc Auto; id. 2 marzo 2004, n. 926, Gemeaz Cusin).

L’individuazione del mercato di riferimento è poi funzionale al tipo di indagine in corso.

Nelle ipotesi di operazione di concentrazione, l’accertamento della posizione dominante di un’impresa dipende strettamente dalla struttura dell’impresa oggetto dell’indagine; mentre, con riferimento a un caso d’intesa restrittiva della concorrenza, l’individuazione del mercato è invece funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale (Cons.St., decisione n. 926/2004, cit.).

In caso di abuso di posizione dominante la delimitazione del mercato di riferimento inerisce cioè ai presupposti del giudizio sul comportamento che potrebbe essere anticoncorrenziale (posto che occorre preventivamente accertare l’esistenza di una dominanza nel mercato stesso), mentre nell’ ipotesi di intese restrittive, la definizione del mercato rilevante è successiva all’individuazione dell’intesa, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso.

Il Consiglio di Stato ha oggi chiarito che, in sede di verifica della correttezza della decisione assunta dall’Autorità, il giudice amministrativo non incontra alcun limite, potendo in particolare sindacare tutte le valutazione tecniche compiute dall’Autorità (Cons. St., sez. VI, 29 settembre 2009, n. 5864).

Tale orientamento esclude limiti alla tutela giurisdizionale dei soggetti coinvolti dall’attività dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, individuando quale unica preclusione l’impossibilità per il giudice di esercitare direttamente il potere rimesso dal legislatore all’Autorità.

Nel caso di specie, risulta però di immediata evidenza che parte ricorrente, a fronte della dovizia di argomentazioni spese da quest’ultima, in precedenza sintetizzate, non porta argomentazione alcuna a sostegno della tesi secondo cui il segmento bancario costituisca un mercato a sé stante rispetto a quello della business information.

Le parti resistenti, al riguardo, hanno peraltro fatto notare che B.C., prima della concentrazione in esame, non era presente nel segmento relativo alla clientela bancaria, con la conseguenza che, se il mercato fosse realmente ristretto, come C. ipotizza, gli effetti dell’operazione sarebbero del tutto nulli, consistendo semplicemente nella sostituzione di un operatore con un altro.

Non viene, inoltre, fornita prova alcuna atta a confutare l’attendibilità dei dati di mercato rilevati dall’Autorità ((3540%), né viceversa a sostegno di quelli, soltanto ipotizzati, da C. (50% del mercato "rilevante").

Le restanti argomentazioni di parte ricorrente si fondano poi sulla critica al carattere di "contendibilità" nonché al grado di "mobilità" attribuito al mercato dall’Autorità.

A riprova di tanto, si citano però unicamente gli accordi accessori alla specifica concentrazione in esame, sull’interpretazione dei quali (ed in particolare, in relazione all’assenza di profili critici sotto il profilo antitrust) si rinvia al successivo paragrafo della presente decisione.

Alcuna argomentazione, invece, viene spesa per confutare;

– l’elevato grado di sostituibilità dal lato dell’offerta dovuto alla circostanza che "tutti gli operatori del settore sono (…) in grado, almeno potenzialmente, di soddisfare le esigenze informative di un’ampia varietà di clienti, dalle banche alla Pa, potendo passare piuttosto agevolmente dalla fornitura di un prodotto a quella di un altro" e che "anche dal lato della domanda, sebbene i servizi richiesti siano diversi e non pienamente sostituibili (visure, bilanci, protesti, ecc), essi possono essere percepiti in maniera unitaria nella misura in cui vengono acquistati in combinazione tra loro";

– l’assenza di particolari barriere all’entrata;

– la diffusione (in linea generale) di contratti tipicamente di breve durata (con piena facoltà di recesso qualora pluriennale), "senza in ogni caso la previsione di vincoli di esclusività in capo all’utilizzatore";

– l’assenza di rilevanti investimenti pubblicitari;

– la "significativa omogeneità dei servizi e dei prodotti forniti, i cui prezzi sono comparabili dal cliente senza eccessive difficoltà;"

– la "mancanza di strategicità degli investimenti in ricerca e sviluppo".

Si osserva, infine, che il ragionamento di C. è inficiato da un evidente vizio logico.

Parte ricorrente assume infatti che, se la quota delle imprese che si concentrano è molto ampia, rispetto ad un mercato del prodotto indifferenziato, potrebbe esserlo ancora di più rispetto ad un segmento più ristretto dello stesso mercato.

Si tratta, però, di un paralogismo, il quale omette di considerare che il punto di partenza per l’individuazione di una posizione dominante è rappresentato dal solo mercato "rilevante", la cui individuazione deve effettuarsi ex ante, e cioè prima della valutazione degli effetti delle concentrazione, con conseguente "irrilevanza" di ulteriori partizioni le quali, ove avessero effettiva autonomia, costituirebbero esse stesse un ulteriore e distinto mercato.

4. Con distinto ordine di rilievi C. censura gli accordi connessi all’operazione di concentrazione (non previamente notificati all’Autorità), i quali garantiscono a Cerved, a suo dire, la pressoché totale fornitura delle informazioni commerciali di cui le banche venditrici hanno bisogno, per un periodo di tre anni, ulteriormente prorogabile. Accordi analoghi sarebbero stati proposti alle banche tuttora detentrici di quote in C.D.B., con la conseguenza che la totalità del mondo bancario "sarà esclusivo appannaggio di Cerved".

4.1. Il quadro di riferimento per l’autovalutazione, da parte delle imprese, delle restrizioni "direttamente connesse e necessarie" alla realizzazione di operazioni di concentrazione (cosiddette restrizioni accessorie), è contenuto nella Comunicazione della Commissione 2005/C 56/03.

Dopo aver ricordato che il regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (regolamento comunitario sulle concentrazioni) dispone che la decisione che dichiara la concentrazione compatibile con il mercato comune "riguarda anche le restrizioni direttamente connesse alla realizzazione della concentrazione e ad essa necessarie", la Commissione richiama il considerando n. 21 del medesimo regolamento secondo cui "Le decisioni della Commissione che dichiarano le concentrazioni compatibili con il mercato comune in applicazione del presente regolamento dovrebbero riguardare automaticamente anche tali restrizioni, senza che la Commissione debba valutare queste ultime nei singoli casi".

E’ previsto, pertanto, che la Commissione si pronunci espressamente nei soli casi che presentano quesiti nuovi o non risolti, "che danno adito a reale incertezza" mentre in tutti gli altri casi spetta alle stesse imprese interessate valutare se e fino a che punto gli accordi da esse conclusi possano essere considerati accessori alla concentrazione. In ogni caso "se sorge una controversia in merito, si può chiedere ai giudici nazionali di stabilire se le restrizioni siano direttamente connesse alla realizzazione della concentrazione e ad essa necessarie, e rientrino quindi automaticamente nella decisione di autorizzazione della Commissione, oppure no".

Per quanto qui interessa, secondo il par. 13 della Comunicazione, "necessarie alla realizzazione della concentrazione sono di norma le disposizioni volte a preservare il valore dell’impresa trasferita, a mantenere la continuità delle forniture dopo lo smembramento di un insieme economico preesistente, o a permettere l’avvio di una nuova entità".

Con particolare riguardo agli obblighi di acquisto e fornitura, il par. 32 afferma che "In molti casi la cessione di un’impresa o di una sua parte può comportare l’interruzione dei canali tradizionali di acquisto e di fornitura che risultavano dalla precedente integrazione delle attività nell’insieme economico del venditore. Per rendere possibili in condizioni ragionevoli lo scorporo dall’insieme economico del venditore e il trasferimento parziale di cespiti all’acquirente è spesso necessario mantenere, per un periodo transitorio, i vincoli preesistenti o altri analoghi tra il venditore e l’acquirente.

Tale obiettivo è di norma realizzato grazie ad obblighi di acquisto e di fornitura per il venditore e/o l’acquirente dell’impresa o della sua parte. Tenuto conto della particolare situazione dovuta allo scorporo dall’insieme economico del venditore, tali obblighi possono essere riconosciuti come direttamente connessi alla realizzazione della concentrazione e ad essa necessari. A seconda delle circostanze particolari inerenti al caso in esame, può trattarsi di obblighi a favore del venditore o a favore dell’acquirente". In particolare "la durata degli obblighi di acquisto e di fornitura va limitata ad un periodo sufficiente a consentire la sostituzione dei rapporti di dipendenza con una posizione di autonomia sul mercato. Gli obblighi di acquisto o di fornitura intesi a garantire i quantitativi precedentemente consegnati possono quindi essere giustificati per un periodo massimo di cinque anni" (par.33). Inoltre "Sia gli obblighi di fornitura che quelli di acquisto che prevedono quantitativi fissi, corredati eventualmente da una clausola di variazione, sono considerati direttamente connessi alla realizzazione della concentrazione e ad essa necessari. Tuttavia, gli obblighi che comportano quantitativi illimitati o l’esclusiva o che conferiscono uno status di fornitore o acquirente privilegiato, non sono necessari alla realizzazione della concentrazione" (par. 34).

Nel caso di specie, l’esame degli accordi accessori alla concentrazione, acquisiti dopo l’istruttoria disposta dal Collegio, evidenzia che gli stessi rientrano appieno nella così sintetizzata cornice ordinamentale.

Ne consegue che, non solo gli accordi medesimi (a prescindere dalla data della loro formale stipulazione) non dovevano essere previamente notificati all’Autorità, ma che gli accordi stessi non presentavano alcun profilo critico sul piano antitrust, tale da giustificare l’avvio dell’istruttoria ai sensi dell’art. 16, comma 4, della l. n. 287/90.

4.1.1. In primo luogo, l’esame degli accordi evidenzia che non è prevista esclusiva alcuna a favore della società risultante dalla concentrazione (G.), poiché gli stessi si limitano a garantire l’acquisto del medesimo quantitativo di servizi già offerto da Cebi alle Banche venditrici prima della conclusione dell’operazione di acquisizione e non già dell’intero fabbisogno delle Banche.

L’obbligo di acquisto così congegnato, appare pertanto finalizzato a conservare il valore dell’azienda ceduta e si iscrive nel paradigma delineato dal par. 34 della Comunicazione della Commissione, in precedenza richiamata.

Relativamente, poi, alla durata degli obblighi in questione, stigmatizzata da C., si evidenzia quanto segue.

4.1.2. Gli accordi relativi al rinnovo delle convenzioni cosiddette SIAM, SIEF e SIRC prevedono l’impegno, a carico delle Banche venditrici, di non avvalersi della facoltà di disdetta alla scadenza, originariamente prevista per il 31.12.2010. Poiché gli accordi medesimi hanno durata triennale, ed il loro rinnovo è stato formalizzato a fine 2008, deve ritenersi che l’obbligo in questione verrà a cessare il 31.12.2013, e che non ecceda, pertanto, il limite quinquennale di cui al par. 33 della Comunicazione sulle restrizioni accessorie.

4.1.3. La scadenza dell’accordo relativo alla fornitura dei servizi Cerved è prevista per il 31.12.2011. E’ esclusa ogni facoltà di recesso ma non già quella di disdetta, alla scadenza.

4.1.4. L’Accordo CRC/SIC riguarda l’accesso ad un sistema di informazioni creditizie on – line.

Esso prevede a carico delle Banche venditrici un obbligo non esclusivo di fornitura delle informazioni a Cerved per un periodo di 5 anni, e l’obbligo di acquisto non esclusivo e senza quantitativi minimi di suddette informazioni per tre anni.

Si tratta, come ammesso da G., di un servizio nuovo. Non è però contestato da C. che tale accordo abbia, in realtà, carattere pro – competitivo posto che consente ad un nuovo operatore di offrire un servizio in concorrenza con quello attualmente offerto dalla stessa C..

Quest’ultima, non ha poi smentito che le Banche venditrici, al momento, usufruiscono proprio del servizio di parte ricorrente, in quanto necessario a "popolare" la banca dati.

4.2. Dopo l’istruttoria disposta dal Collegio, C. si è limitata a stigmatizzare l’esistenza, negli accordi surrichiamati, di forme di rinuncia alla facoltà di disdetta, ovvero ad invocare, l’esistenza di una "esclusiva di fatto", derivante dal meccanismo di "incentivazione", in virtù del quale, all’atto della cessione della propria partecipazione in CdB, alla banche che hanno contestualmente stipulato gli accordi di servizi viene riconosciuto un maggior corrispettivo della cessione stessa, anche in relazione alla parte di prezzo differita e commisurata ai risultati dell’impresa risultante dalla concentrazione.

C. ricorda, poi, che è fatto notorio che, in occasione di operazioni di acquisizione, vengano stipulate "side letter", relative a pattuizioni ulteriori che debbono rimanere note solo alle parti.

In precedenza, a sostegno della tesi di una "esclusiva di fatto", accordata alla controinteressata Gemma, la ricorrente aveva allegato la circostanza relativa ad una serie di offerte commerciali rivolte agli istituti venditori, prima della vendita delle partecipazioni, avvenuta nel dicembre 2008, e, successivamente, alla banche venditrici del rimanente 8%.

C. sottolinea che gli Istituti di credito hanno rifiutato "condizioni di assoluta e innegabile convenienza", senza addurre motivazioni di natura commerciale.

4.2.1. Rileva il Collegio (con osservazioni che valgono a destituire di fondamento anche il terzo dei motivi aggiunti), che non vi è indizio alcuno, allo stato, circa l’esistenza di una esclusiva di "fatto" tale da determinare effetti di foreclosure nel mercato, ovvero, nel segmento di mercato in esame, ovvero ancora, infine di una possibile intesa restrittiva.

Irrilevanti, al riguardo, appaiono gli accordi in precedenza analizzati, in quanto gli stessi rientrano tra quelli pacificamente considerati connessi alla realizzazione di una concentrazione.

Né una diversa, o negativa, connotazione, può essere loro attribuita solo per effetto del meccanismo c.d. di "incentivazione" posto in luce da C..

Ammesso, infatti, che detto meccanismo sia tale da stimolare una ulteriore (non preventivamente quantificabile) domanda di servizi nei confronti di G., esso è comunque destinato ad esaurirsi, nel tempo, con il pieno adempimento dell’obbligazione relativa alla corresponsione del prezzo.

Quanto, invece, alla circostanza, allegata da C., circa il rifiuto opposto dalle Banche venditrici a proprie competitive offerte commerciali, pare al Collegio che non possano trarsi elementi significativi da iniziative assunte da un concorrente a ridosso di una operazione di acquisizione, già nota al mercato, ed in corso di perfezionamento.

Le argomentazioni relative all’esistenza di "side letter" appaiono invece, allo stato, mere illazioni.

5. Sono, infine, destituiti di fondamento anche i primi due motivi aggiunti, con i quali parte ricorrente lamenta, da un lato, il difetto di motivazione della determinazione assunta dall’Autorità sull’istanza di riesame, dall’altro, che la preistruttoria si sia comunque basata su un quadro conoscitivo incompleto e non rispondente alla realtà effettiva.

5.1. Il Collegio, osserva, in primo luogo, che, in disparte l’effettiva necessità di sottoposizione alla competente Autorità antitrust di accordi aventi il carattere di "accessorietà" rispetto alla concentrazione (quale in precedenza delineato), nel caso di specie, gli accordi medesimi sono stati comunque portati all’attenzione di AGCM, la quale ha inviato a B.C. una analitica richiesta di informazioni, e ha ricevuto una, altrettanto dettagliata e documentata risposta.

Gli esiti di tale interlocuzione, come già evidenziato, hanno formato oggetto dell’istruttoria disposta dal Collegio, al fine di consentire la completa e integrale acquisizione, in sede processuale, di tale informazioni e documenti.

Ciò posto, alcun deficit motivazionale può ravvisarsi nel provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, ove si consideri che esso deve essere posto in correlazione, da un lato, con il precedente provvedimento di "archiviazione", articolatamente motivato, dall’altro, con le risultanze degli approfondimenti istruttori condotti dall’Autorità.

La motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a consentire la ricostruzione dell’iter logico e giuridico con il quale l’amministrazione si è determinata ad adottare un dato provvedimento. Pertanto, "la garanzia di adeguata tutela delle ragioni del privato non viene meno per il fatto che nel provvedimento amministrativo finale non risultino chiaramente e compiutamente rese comprensibili le ragioni sottese alla scelta fatta dalla Pubblica amministrazione, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento, e ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell’obbligo di motivazione, ma coerente con i principi di trasparenza e di lealtà desumibili dall’art. 97 cost." (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2084),

Con particolare riguardo ai procedimenti di competenza dell’Autorità Antitrust, è stato poi più volte affermato che "l’obbligo di esame delle memorie e dei documenti difensivi non impone un’analitica confutazione in merito ad ogni argomento utilizzato dalle parti stesse, essendo sufficiente un iter motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del non adeguamento alle traiettorie difensive e ne attesti la relativa consapevolezza."(Cons. Stato, sez. VI, 16 marzo 2006, n. 1397).

Nel caso di specie, le ragioni della determinazione dell’Autorità potevano, pertanto, essere agevolmente colte raffrontando l’originario provvedimento di archiviazione con il successivo approfondimento istruttorio.

Del resto, parte ricorrente non può negare di avere perfettamente compreso le ragioni poste alla base della determinazione impugnata poiché, sin dal ricorso principale, ha stigmatizzato l’omesso esame, nonché, il presunto contenuto dei c.d. accordi ancillari.

Al riguardo, deve convenirsi con la difesa erariale, là dove evidenzia che l’espressione contenuta nel provvedimento di riesame, secondo cui gli accordi in questione "non possono formalmente considerarsi accessori all’operazione di concentrazione", mette in luce solo un profilo formale della vicenda posto che, alla data di notifica dell’operazione di concentrazione, gli accordi non erano ancora stati stipulati e quindi, non potevano essere oggetto di valutazione in fase di pre – istruttoria.

Peraltro, l’approfondimento condotto in sede di riesame si è incentrato proprio sul contenuto di tali accordi, i quali sono però risultati coerenti con le più volte richiamate indicazioni della Commissione, contenute nella Comunicazione sulle restrizioni accessorie.

Non sono inoltre emersi (e, come si è visto, neppure C., ha saputo individuare) elementi ulteriori, o comunque indizi atti a sostenere l’ipotesi di un legame di esclusiva, sia pure di fatto, tale da giustificare l’avvio di una istruttoria, ai sensi dell’art. 81 del Trattato (CE).

6. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso, e i motivi aggiunti, debbono essere respinti.

Le spese, seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) di Roma, definitivamente pronunciando sul ricorso, e i motivi aggiunti, di cui in premessa, li respinge.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che vengono così liquidate:

– euro 1.500,00 in favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

– eruro 1.500,00 in favore di G., oltre agli accessori, come per legge;

– euro 1.000,00 rispettivamente, in favore di U., B.N.D.L., B.P., I.S. S.p.A., Unione Banche Italiane, M.D.P.D.S., oltre agli accessori, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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