Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte d’Appello di Caltanissetta ha, con la sentenza impugnata, dichiarato la prescrizione della contravvenzione urbanistica contestata ed ha confermato nel resto la sentenza emessa in data 15 gennaio 2008 dal Tribunale di Enna, appellata da S.S. A., con la quale era stata ritenuta la sua responsabilità, oltre che per la contravvenzione, per i delitti falso ideologico in atto pubblico, per induzione in errore del p.u., e truffa aggravata, commessi il (OMISSIS), consistiti nella falsa dichiarazione, in una pratica per ottenere concessione edilizia in sanatoria, che al sottotetto dell’abitazione era stata data una destinazione d’uso non abitativa, e nella conseguente induzione dei funzionari comunali al rilascio di una concessione in sanatoria fondata su presupposti falsi, con suo profitto e danno per il Comune.
Ricorre per cassazione la S. chiedendo l’annullamento della sentenza sulla base di quattro motivi.
Con il primo motivo deduce violazione di legge sul ricorrere dell’elemento psicologico del reato, non avendo la Corte d’appello valutato le circostanze da lei addotte, atte a dimostrare la sua buona fede, e non avendo acquisito la relativa documentazione, da cui sarebbe emerso che le opere in questione erano state realizzate quando già era intervenuto il parere favorevole della commissione edilizia e che, in ogni caso, si era trattato solo di rendere agibile un sottotetto e non di destinarlo ad usi abitativi.
Al più, la sua condotta si sarebbe dovuta considerare frutto di leggerezza e negligenza, ma non connotata da dolo.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge per la conferma della condanna in relazione al delitto di truffa, senza che risultassero contestati e indicati quali in concreto fossero gli artifici e raggiri previsti dalla norma.
Con il terzo motivo deduce mancata acquisizione di prova decisiva avendo la Corte di merito respinto, con motivazione insufficiente, la produzione, chiesta dall’appellante, di un documento che avrebbe dimostrato che i lavori di tramezzatura erano stati eseguiti dopo il parere favorevole della commissione edilizia, e ciò avrebbe confermato le sue affermazioni difensive. Con un quarto motivo lamenta la mancata declaratoria di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato quando insiste, come nell’appello, su di una pretesa buona fede nella realizzazione degli interventi prima della concessione in sanatoria.
Diverso è l’addebito: non tanto di violazione edilizia, quanto di aver ottenuto l’emanazione di un provvedimento dell’autorità comunale di concessione in sanatoria, che si fondava su di un accertamento della situazione di fatto al momento del rilascio non corrispondente con la realtà, proprio per il suo intervento che, dopo aver rappresentato una certa situazione dei locali al momento della richiesta di sanatoria ed avendola poi mutata nelle more del procedimento amministrativo senza procedere ad integrazione alcuna delle indicazioni sullo stato dei luoghi, aveva deliberatamente tratto in errore l’autorità ed ottenuto una concessione che si basava sul falso accertamento di fatto che i locali si trovavano nella situazione rappresentata al momento della domanda. Emerge invero dalle sentenze di merito, in particolare dalla sentenza del primo giudice, che la S. aveva realizzato in tutti i piani del fabbricato, compreso il sottotetto, opere difformi rispetto a quelle oggetto di una concessione rilasciatale nel 2000; aveva quindi chiesto il rilascio di concessione in sanatoria con riferimento agli interventi realizzati fino a quel momento. Peraltro, nell’aprile 2004 era stata riscontrata nel sottotetto l’esecuzione di opere che lo rendevano abitabile, diverse rispetto a quelle previste come illeciti da sanare negli elaborati progettuali, e realizzate dopo la presentazione della domanda di concessione in sanatoria. L’accertata alterazione della situazione dei luoghi, proprio durante il procedimento amministrativo di approvazione della richiesta di concessione in sanatoria (su presupposti di fatto diversi), rende evidente l’infondatezza della prospettazione di una negligenza o leggerezza della ricorrente, la quale proprio nel ricorso e nella formulazione del terzo motivo (che si ritiene assorbito), pretendendo di dover provare una pretesa buona fede, per aver realizzato gli interventi dopo il parere favorevole della commissione edilizia (emesso però sulla base dell’originaria indicazione delle opere da sanare), finisce per dare la dimostrazione di aver volontariamente e con precisa , scelta di tempo eseguito, quando si poteva ritenere che per lo stato della pratica – di quell’ulteriore modificazione nessuno sarebbe accorto, lavori non marginali, realizzando una struttura inequivocabilmente abitativa, con addirittura servizi igienici, in evidente contrasto con la qualificazione del sottotetto quale area non destinata ad abitazione, rappresentata all’autorità comunale nella richiesta di concessione in sanatoria.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, concernente la contestazione di truffa ai danni del Comune.
Secondo la giurisprudenza in tema di questa Corte (cfr. Sez. 2, sent. n. 7259 del 17/5/2000, Rv. 216360, ric. Villani) nell’ipotesi in cui gli uffici comunali siano indotti al rilascio di una concessione edilizia mediante la falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel progetto e negli elaborati tecnici presentati dal soggetto richiedente, si configura il reato di truffa ai danni dell’amministrazione locale ove possa individuarsi un pregiudizio economico di questa per effetto della condotta dell’agente; tale non potrebbe però essere la mera lesione degli interessi collettivi all’ordinato assetto urbanistico di cui il comune è portatore, assumendo peraltro concretezza nei casi in cui con il fraudolento conseguimento della concessione edilizia si venga a gravare l’ente di oneri di urbanizzazione diversi e maggiori rispetto a quelli derivanti dal progetto assentito e posti a carico del richiedente, e ad imporre all’ente un dispendio per l’attività di autotutela necessaria a rimuovere il provvedimento oggettivamente illegittimo e gli effetti di esso (conf. Sez. 2, sent. n. 2529 del 28/1/1997, Rv.
207308, ric: P.M. in proc. Testa).
Nel caso di specie il danno per il Comune risulta chiaramente indicato nel capo di imputazione ed accertato dalle sentenze di merito, per l’intervento dell’Ente in autotutela a seguito dell’accertamento dell’esecuzione dei lavori illeciti.
Inammissibile infine è pure il quarto motivo che si limita all’enunciazione della doglianza ed è per tale motivo del tutto generico.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati airirritualità dell’impugnazione – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 500,00.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
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