Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-02-2011) 18-04-2011, n. 15520

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione T.R. avverso la sentenza della Corte di appello di Torino in data 4 giugno 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna per i reati di lesioni personali volontarie e violazione di domicilio, aggravati, il primo,dall’uso di un bastone ed il secondo, ai sensi dell’art. 614 c.p., comma 4.

I reati erano stati consumati in danno di L.R. il (OMISSIS).

Deduce la violazione di legge ( artt. 192 e 546 c.p.p.) e il vizio di motivazione.

La Corte aveva accreditato la versione della persona offesa e dei suoi congiunti, in realtà mossi da un forte risentimento nei confronti del T. a causa di liti che si protraevano da anni.

In realtà il principio della condanna solo "oltre ogni ragionevole dubbio" era stato violato come si deduceva dalle stesse affermazioni del L. il quale aveva ammesso che il ricorrente era entrato nel proprio giardino barcollante e con un bastone in mano, senza che egli riuscisse a chiudere il cancello.

Se ne sarebbe dovuto inferire quantomeno che il cancello era aperto e che quindi non v’era stata violenza sulle cose.

Quanto alla affermazione della Corte sull’essere, il prevenuto palesemente armato, osserva la difesa che il bastone di cui il T. era munito non poteva considerarsi un’arma. Esso serviva all’imputato soltanto per sorreggersi sicchè non potrebbe sostenersi che esso fosse un’arma impropria.

Il ricorso è inammissibile per tardività.

Giova sottolineare che l’estratto della sentenza contumaciale di appello è stato notificato all’imputato e ai due difensori di fiducia in data 20 luglio 2010. Da tale data decorreva il termine di trenta giorni per il deposito dell’atto di impugnazione, termine scaduto, pur considerandosi la sospensione del periodo feriale, il 4 ottobre 2010.

Nè vale in contrario rilevare che la sentenza è stata depositata oltre il termine ordinario di quindici giorni, dovendosi osservare che, in base alla costante giurisprudenza qualora il giudice non abbia depositato di fatto la sentenza entro il quindicesimo giorno dalla pronuncia come previsto dall’art. 544 c.p.p., comma 2, il termine di impugnazione è di trenta giorni dalla notificazione dell’avviso di deposito. Ed invero la legge, nel secondo comma dell’art. 585 c.p.p., prevede, come conseguenza di tale ritardo, lo spostamento della decorrenza del termine per impugnare al giorno in cui è stata eseguita la notificazione dell’avviso di deposito, mentre per l’allungamento del termine medesimo a quarantacinque giorni è necessario, a norma del combinato disposto dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c) e dell’art. 544 c.p.p., comma 3, che sia stato indicato dal giudice nel dispositivo della sentenza, per la ritenuta complessità della stesura della motivazione, un termine per il deposito eccedente quello normale (V. fra le molte, Rv. 207826;

Rv. 227699; Sez. U, Sentenza n. 5878 del 30/04/1997 Ud. (dep. 17/06/1997) Rv. 207659).

Nella specie tale necessità non è indicata nel dispositivo.

Non è dubbio peraltro che il ricorso sarebbe risultato inammissibile anche se valutato nel merito.

Il ricorso si basa in primo luogo sulla richiesta di diversa valutazione di un risultato di prova e quindi su una genere di censura non ammesso in sede di legittimità.

Quanto all’uso del bastone, sarebbe stato appena il caso di rilevare come la giurisprudenza di questa Corte si sia già pronunciata sul tema sollevato, ponendo in evidenza come siano da ritenere armi, sia pure improprie, L. n. 110 del 1975, ex art. 4, gli strumenti, ancorchè non da punta o da taglio, che, in particolari circostanze di tempo e di luogo, possono essere usati per l’offesa alla persona.

Anche un bastone, se usato in un contesto aggressivo, diventa uno strumento atto ad offendere e costituisce, pertanto, arma ai fini dell’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 585 c.p., comma 2. (Sez. 5, Sentenza n. 11872 del 05/10/2000 Ud. (dep. 20/11/2000) Rv. 218572).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 300.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a versare alla Cassa delle Ammende la somma di Euro 300.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *