T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., 14-04-2011, n. 934 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio, notificato il 15 aprile 1999 e depositato il 13 maggio 1999, la ricorrente espone che nel 1993 veniva inclusa nella graduatoria utile per la realizzazione di 18 alloggi di edilizia convenzionata agevolata da realizzarsi nel comune di Villafranca Tirrena.

L’impresa, pertanto, richiedeva l’assegnazione dell’area, con lettera del 22 giugno 1993.

Il comune procedeva all’individuazione ed all’assegnazione dell’area nonché all’approvazione dello schema di convenzione solo con deliberazione C.C. n. 23 del 24 marzo 1994; di conseguenza l’impresa era costretta a chiedere all’Assessorato regionale una proroga per l’avvio dei lavori, proroga accordata il 18 aprile 1994.

In data 2 giugno 1994 veniva stipulata la convenzione, integrata, a seguito di un pressante carteggio tra l’impresa ed il comune, il 4 agosto 1994.

Avviate le procedure espropriative, alcuni proprietari interponevano ricorso giurisdizionale, per cui il Comune revocava la precedente delibera di assegnazione e ne adottava un’altra, in data 31 gennaio 1995, giusta delib. C.C. n. 12.

L’impresa, pressata dalla necessità di avviare i lavori, per non perdere il finanziamento, dopo una serie di solleciti, in data 19 aprile 1995 stipulava con il Comune la nuova convenzione.

La ricorrente si duole del fatto che la stipula avvenne soltanto per evitare di perdere il finanziamento regionale, ma a condizioni particolarmente sfavorevoli, con particolare riferimento sia alla illegittimità della imposizione del pagamento degli oneri di urbanizzazione e realizzazione delle opere di urbanizzazione a carico dell’impresa, imposto con l’articolo 8 della convenzione, sia alla sproporzione della superficie assegnata rispetto all’intervento da realizzare, ed infine avuto riguardo alla imposizione a carico dell’impresa delle procedure espropriativa.

L’impresa formalizzava con svariate note il proprio disaccordo con dette clausole, ma il Comune acconsentiva a modificare la convenzione solo con riferimento alla rettifica del piano parcellare di esproprio ed alla fissazione del prezzo di cessione degli alloggi da realizzare, giusta deliberazione C.C. n.84 del 21 ottobre 1997.

Il 2 gennaio 1998 il Comune attivava la fideiussione per il pagamento delle rate di oneri di urbanizzazione scadute e non versate dall’impresa, la quale si opponeva a tale pretesa con ulteriori raccomandate.

Seguivano ulteriori contestazioni tra l’impresa ed il Comune, ma la convenzione veniva, nelle more, integrata, mediante stipula del 29 giugno 1998, unicamente in conformità alla deliberazione 84, ferme restando le clausole ritenute dall’impresa vessatorie, sopra ricordate.

A seguito di acquisizione di parere legale, il Comune rigettava le richieste dell’impresa di modificare l’articolo 8 della convenzione.

Da qui il ricorso introduttivo, con il quale l’impresa lamenta la illegittimità e vessatorietà delle clausole contenute gli articoli 1,2,3,8 della convenzione, e, precisamente, quanto all’articolo 1, per essere stato assegnato un lotto di terreno ben superiore alle necessità dell’impresa, quanto all’articolo 2 per essere stato immotivatamente imposto all’impresa l’onere di procedere alla costruzione delle opere di urbanizzazione primaria per una volumetria complessiva di metri cubi 8496, quanto all’articolo 3 perché impone a carico dell’impresa il pagamento degli oneri di espropriazione di tutte le aree assegnate pari a metri quadri 5168, incluso aree già coperte dal pagamento degli oneri di urbanizzazione per metri quadri 3530, quanto all’articolo 8 perché con lo stesso viene imposto all’impresa sia il pagamento del contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione ridotto al 40%, sia la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, in difformità dallo schema di convenzione tipo di cui al decreto assessoriale n. 90/1979 al quale il Comune si doveva attenere, con duplicazione a carico dell’impresa del pagamento degli oneri di urbanizzazione e della realizzazione delle opere di urbanizzazione stessa. Addirittura, lamenta la ricorrente, il Comune ha pure imposto la espropriazione delle aree per la urbanizzazione primaria destinate a sede viaria, parcheggi e verde di quartiere.

Il Comune intimato si è costituito in giudizio contestando le richieste della ricorrente.

Le parti hanno prodotto documenti e memorie in vista dell’udienza.

Quindi, all’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

I. Preliminarmente, il Collegio prende in esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Difesa del Comune, assumendosi che il termine per impugnare la convenzione sarebbe decorso, per la ricorrente, dalla data di conoscenza ovvero di notifica individuale della convenzione stessa, non potendosi avere riguardo alla data di pubblicazione all’albo del provvedimento; in secondo luogo, il Comune eccepisce l’inammissibilità in rito della nuova prospettazione spiegata da parte ricorrente, che in memoria ha dedotto la nullità delle clausole oggetto del ricorso: secondo il Comune, trattandosi di domanda nuova introdotta soltanto in memoria, la stessa sarebbe inammissibile.

Il Collegio ritiene quest’ultimo profilo dell’eccezione infondato, avuto riguardo alla circostanza che l’eventuale nullità delle clausole oggetto del contendere ben potrebbe essere rilevata d’ufficio, ed in ogni caso non sarebbe soggetta al generale termine decadenziale di 60 giorni.

La Giurisprudenza ha recentemente affermato che la controversia riguardante la validità della clausola di una convenzione urbanistica rientra ex art. 11, comma 5, l. 7 agosto 1990 n. 241, nella giurisdizione esclusiva del g.a. ancorché venga fatta valere la nullità parziale della medesima clausola invocando l’applicazione dei principi e delle norme del diritto civile; la sussistenza della giurisdizione esclusiva comporta l’esistenza di una cognizione piena, estesa anche ai diritti, e l’azione di accertamento della nullità della clausola, non avendo carattere impugnatorio, non soggiace a termini di decadenza, ed è proponibile in sede di giurisdizione esclusiva indipendentemente dall’impugnazione di singoli atti amministrativi connessi al rapporto controverso (T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 17 marzo 2010, n. 849).

Ciò posto, occorre quindi indagare se le violazioni di legge che si prospetta abbiano inficiato le clausole oggetto di contestazione da parte del ricorrente determinino, o meno, la parziale nullità della convenzione in applicazione delle norme civilistiche, ed in particolare per contrasto con i principi di ordine pubblico, avuto riguardo alla circostanza che, tra l’altro, l’articolo 11 della legge n.241/1990 prevede che agli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento si applichino i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili.

Infatti, le deliberazioni di adozione ed approvazione e la convenzione si uniscono nella fattispecie complessa del Piano di lottizzazione (piano ad iniziativa privata), in cui alla p.a. spetta di determinare, attraverso l’approvazione dello schema di convenzione, il contenuto dell’atto negoziale, che il privato deciderà poi di sottoscrivere o meno.

Ma il Collegio non ravvisa detto contrasto nelle clausole impugnate.

L’oggetto della controversia è costituito dalla valutazione se l’impresa ricorrente debba o meno eseguire la convenzione liberamente sottoscritta (non risultando situazioni di costrizione o vizio di consenso), e se, in contrario, possa invocare la nullità della convenzione, in quanto stipulata in contrasto con norme imperative, ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile, e, precisamente: quanto all’articolo 1 della convenzione, per essere stato assegnato un lotto di terreno superiore alle necessità dell’impresa, quanto all’articolo 2 per essere stato imposto all’impresa l’onere di procedere alla costruzione delle opere di urbanizzazione primaria per una volumetria complessiva di metri cubi 8496, quanto all’articolo 3 perché impone a carico dell’impresa il pagamento degli oneri di espropriazione di tutte le aree assegnate pari a metri quadri 5168, incluso aree già coperte dal pagamento degli oneri di urbanizzazione per metri quadri 3530, quanto all’articolo 8 perché con lo stesso viene imposto all’impresa sia il pagamento del contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione ridotto al 40%, sia la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, in difformità dallo schema di convenzione tipo di cui al decreto assessoriale n. 90/1979, con duplicazione a carico dell’impresa del pagamento degli oneri di urbanizzazione e della realizzazione delle opere di urbanizzazione stessa, ed infine, con riferimento alla richiesta di garanzie finanziarie per l’esecuzione delle opere. Il tutto, lamenta parte ricorrente, in difformità dallo schema di convenzione tipo di cui al decreto assessoriale n. 90/1979 nonché (quanto all’art.8 della convenzione) in violazione dell’art.11 L. n.10/77, che consente l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione a scomputo della quota a tale titolo dovuta per contributo di urbanizzazione.

Anzi, secondo il ricorrente, il cumulo tra il pagamento del contributo di urbanizzazione e l’esecuzione diretta di parte delle opere di urbanizzazione nella zona oggetto dell’intervento edilizio comporterebbe un duplice sacrificio per la medesima causa, di guisa che, essendo la prestazione di pagamento priva di causa, la clausola sarebbe nulla.

Ma nessuna di tali clausole appare rientrare nelle categorie di invalidità di cui all’art.1418 c.c.

La difformità dallo schema di convenzione tipo di cui al decreto assessoriale n. 90/1979 per gli aspetti sopra riportati non comporta una violazione di norme imperative.

Quanto alla questione della parziale duplicazione a carico dell’impresa del pagamento degli oneri di urbanizzazione e della realizzazione delle opere di urbanizzazione stessa, occorre anzitutto rilevare che, dalla prospettazione di cui in ricorso, non appare chiaro se vi sia stata effettivamente duplicazione tra il contributo e le medesime opere di urbanizzazione, ovvero se siano posti a carico della ricorrente gli oneri riferiti alle opere di raccordo con le urbanizzazioni principali, ferma restando l’esecuzione in proprio delle opere all’interno della lottizzazione, prestazione che risulterebbe assolutamente legittima.

In ogni caso, la Giurisprudenza ha escluso che -nella materia che ci occupa- tra Comune e privato si instauri un vincolo di sinallagmaticità, argomentando che "nel sistema risultante dal combinato disposto dell’art. 28 comma 4 n. 1), l. 17 agosto 1942 n. 1150 e dagli art. 3 e 5, l. 28 gennaio 1977 n. 10, non è rinvenibile un principio che dia titolo al soggetto che ha stipulato una convenzione urbanistica con il Comune di non corrispondere al medesimo (in denaro, in aree cedute o in opere di urbanizzazione realizzate) beni di valore complessivamente superiore a quanto dovuto per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ai sensi dell’art. 10, l. n. 10 del 1977 e, conseguentemente, in virtù della convenzione, il privato è obbligato ad eseguire puntualmente tutte le prestazioni ivi assunte, a nulla rilevando che in queste possano eccedere originariamente o successivamente gli oneri di urbanizzazione (T.A.R. Lombardia Brescia, 25 luglio 2005, n. 784)"; si veda, altresì, Consiglio Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33, secondo il quale "la convenzione di lottizzazione costituisce un accordo tra la p.a. ed il privato, in virtù del quale quest’ultimo è obbligato ad eseguire puntualmente tutte le prestazioni ivi assunte, a nulla rilevando che queste eccedano gli oneri di urbanizzazione".

L "assenza di un vincolo di sinallagmaticità conduce ad escludere la violazione dell’articolo 1418 C.C.

Quanto alla problematica relativa alla imposizione a carico della ricorrente degli oneri connessi alle procedure di espropriazione, non si ravvisa alcuna violazione dell’articolo 1418 nel porre a carico di una cooperativa edilizia, da parte del Comune, dell’incarico di compiere la procedura espropriativa e non soltanto di curare la realizzazione dell’opera.

In conclusione, nessuna delle clausole contestate appare inquadrabile in una nullità ex art. 1418 C.C., ma, al contrario, le stesse integrano una manifestazione di autonomia negoziale compatibile con i connotati delle convenzioni edilizie.

Ne consegue l’infondatezza della pretesa.

II. Il Collegio non si esime dal rilevare che alla reiezione del ricorso si perverrebbe (seppure seguendo diverso ragionamento) anche indagando la eventuale invalidità degli atti impugnati ai sensi dell’articolo 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, che a proposito della nullità del provvedimento amministrativo stabilisce: "1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge. 2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo".

In disparte ogni questione di diritto intertemporale (la disposizione in questione è sopravvenuta nel corso del giudizio), l’esito dell’ indagine condurrebbe alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, oggetto del primo profilo dell’eccezione sollevata dalla difesa del comune.

Già in passato, alla conclusione circa l’onere di tempestiva impugnazione era pervenuto T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, con sentenza del 16 luglio 2008, n. 924, precisando che "in tema di convenzioni urbanistiche, la difformità della convenzione rispetto allo schema approvato dal Consiglio Comunale non determina la parziale nullità della stessa, con la conseguenza che i soggetti, i quali siano interessati alla sua modifica, non si possono limitare a dedurne la nullità, avendo il preciso onere di impugnare la stessa, deducendo i vizi, dai quali ritengono che la stessa sia affetta; pertanto, i ricorsi avverso le convenzioni urbanistiche sono ordinari ricorsi impugnatori, i quali vanno proposti entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto".

Più di recente, proprio a proposito dell’articolo 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, la Giurisprudenza (per tutte Consiglio di stato, sez. V, 15 marzo 2010, n. 1498) ha affermato che detta norma, introdotta dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, tra le varie opzioni possibili – ossia tra quella di inserire nel sistema della patologia dell’atto amministrativo tutte le ipotesi di nullità (testuale, strutturale e virtuale) previste dall’articolo 1418 del codice civile e quella di ritenere sufficiente la categoria dell’annullabilità per quanto riguarda i rapporti amministrativi – ha scelto la soluzione di compromesso, ossia quella di escludere la nullità per contrasto con norme imperative di legge, giudicando tale categoria particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa.

In altri termini, le cause di nullità debbono intendersi a numero chiuso. Pertanto, le ipotesi astrattamente riconducibili alla nullità c. d. virtuale vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell’amministrazione. Quindi esse si convertono in cause di annullabilità del provvedimento, da farsi valere entro il breve termine di decadenza, a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, n. 1498/2010 cit.).

Ebbene, alla luce della richiamata normativa devesi concludere che il rapporto amministrativo dedotto nel giudizio, in mancanza di tempestiva impugnativa, sia della convenzione, sia delle deliberazioni dell’amministrazione di approvazione dello schema di convenzione (il ricorso è stato infatti proposto a distanza di anni dalla sottoscrizione della convenzione), si è stabilizzato.

III. Una volta esclusa la ricorrenza di causa di nullità ex 1418 del codice civile, il Collegio, dovendosi attenere al principio di corrispondenza di cui all’articolo 112 del codice di rito, non può ovviamente prendere in esame altre possibili cause di invalidità, quale ad esempio la rescissione, non costituendo oggetto di apposito capo di domanda e non risultando dedotte e provate le relative circostanze, né tanto meno l’azione generale di arricchimento, che è un’azione sussidiaria: se l’arricchimento, infatti, è la conseguenza di un rapporto o di un contratto, non si può ritenere che la causa dell’arricchimento manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il rapporto o il contratto mantengano la loro efficacia obbligatoria o non vengano annullati (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, dec. n. 1312/10 del 26 ottobre 2010).

Infine, per completezza d’esame, non può non osservarsi che ai "diritti soggettivi", su cui tanto insiste parte ricorrente, il titolare può benissimo rinunciare a sui insindacabile arbitrio, e nella presente fattispecie il ricorrente lo ha fatto proprio sottoscrivendo le clausole convenzionali che ora – contraddittoriamente – impugna (sulla natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione – riconducibili ad accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 L. 7 agosto 1990 n. 241 e quindi a regolamentazione negoziale basata sul libero consenso delle parti, implicante l’insorgere di diritti ed obblighi pattizi (cfr. T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 16 settembre 2009, n. 1446; cfr. anche Cassazione civile, sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3646).

IV. Conclusivamente, il ricorso viene rigettato.

Nella complessità delle questioni trattate si ravvisano, in via eccezionale, giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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