Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-02-2011) 18-04-2011, n. 15516 Bancarotta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione D.M.A. avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 17 novembre 2008 con la quale è stata confermata quella di primo grado (del maggio 2005), affermativa della sua responsabilità per il reato di bancarotta semplice, consumato in relazione al fallimento della snc MDM, che è stata dichiarata fallita il (OMISSIS).

La contestazione di tenuta incompleta delle scritture contabili era stata ritenuta suffragata, dai giudici del merito, in ragione del fatto che il curatore aveva accertato che non vi era stata alcuna documentazione della attività successiva alla data del 31 dicembre 1998, con conseguente impossibilità di ricostruire gli affari aziendali ed in particolare quanto atteneva alla impossibilità di riscossione di crediti di rilevante entità o alla esistenza di beni ammortizzabili non rinvenuti.

Deduce:

1) la erronea applicazione dell’art. 1, comma 2, L. Fall. come modificato con D.Lgs. n. 5 del 2006, riguardo alla qualifica di piccolo imprenditore.

In base alla novella il ricorrente non risultava più avere la qualifica di imprenditore assoggettabile al fallimento e tale evenienza, integrando gli estremi della legge più favorevole, avrebbe dovuto produrre effetti liberatori per il D.M.;

2) violazione dell’art. 217 L. Fall., e dell’art. 49 c.p..

Il curatore aveva chiarito che a partire dal 1999 la contabilità non era stata tenuta perchè l’attività economica della società era stata completamente abbandonata.

Pera tale ragione non potevano esservi annotazioni sul libro giornale o sul libro degli inventari, per giunta non più soggetti neppure ad obbligo di vidimazione.

La omessa tenuta di ulteriori scritture non era d’altra parte addebitarle al prevenuto in ragione del fatto che la sua società usufruiva del regime di contabilità semplificata e che il reato di bancarotta semplice non si configura in ordine alla irregolare tenuta di scritture prescritte a fini fiscali, quali il registro dei beni ammortizzabili.

Ad ogni buon conto si sarebbe dovuto considerare che la assenza di operazioni da registrare rendeva la condotta penalmente irrilevante per la sostanziale sua inoffensività e la impossibilità di un danno ai creditori, dovendosi comunque considerare che per il periodo precedente al 31 dicembre 1998 il curatore era stato in grado di ricostruire gli affari della società;

3) la violazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2 non era stata acquisita prova certa della prosecuzione della attività dopo la data anzidetta ed in tale situazione si sarebbe dovuti giungere ad una assoluzione quantomeno col rilievo della insufficienza del materiale probatorio in punto di elemento psicologico;

4) la prescrizione del reato, maturata dopo la sentenza di appello.

Il primo motivo di ricorso è invero inammissibile.

Invero non può essere condivisa la osservazione del Pg secondo cui tale questione sarebbe preclusa dalla mancata deduzione nei motivi di appello. La novella in tema di "piccolo imprenditore", nella ottica della declaratoria del fallimento, è stata introdotta con D.Lgs. n. 5 del 2006, quando l’appello dell’odierno ricorrente – presentato il 22 luglio 2005 – era già pendente.

Sulla questione, peraltro, le Sezioni unite di questa Corte hanno effettuato un intervento chiarificatore, con sentenza alla cui motivazione, del tutto condivisibile nei suoi contenutasi fa integrale rinvio.

Tale decisione, resa nel febbraio 2008 e quindi ben prima che fosse presentato il ricorso in esame (3 dicembre 2008), aveva invero affermato il principio secondo cui il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ex artt. 216 e ss. non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicchè le modifiche apportate al R.D. n. 267 del 1942, art. 1 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso (Sez. U, Sentenza n. 19601 del 28/02/2008 Ud. (dep. 15/05/2008) Rv.

239398).

Il secondo motivo è pure inammissibile per manifesta infondatezza.

La parte ricorrente si appella al principio della inoffensività della condotta contestata, consistita nella mancata tenuta delle scritture contabili a partire dal 1 gennaio 1999, in ragione della assenza di qualsivoglia danno cagionato ai creditori, per la mancanza di operazioni da registrare.

Tuttavia la decisione sul punto adottata dalla Corte di merito, sfavorevole alla tesi della difesa, è corretta ed in linea con la costante giurisprudenza di legittimità.

Ha rilevato questa Corte di cassazione, in più decisioni conformi, che il reato di bancarotta semplice documentale, punendo il comportamento omissivo del fallito che non ha tenuto le scritture contabili, rappresenta un reato di pericolo presunto.

Esso mira ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito e persegue la finalità di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi.

La fattispecie, pertanto, consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’art. 2214 cod. civ.), integra un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori.

L’obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l’azienda non ha formalmente cessato la attività, anche se manchino passività insolute; esso viene meno solo quando la cessazione della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 5, Sentenza n. 4727 del 15/03/2000 Ud.

(dep. 17/04/2000) Rv. 215985; Massima conforme Rv 232572; su una linea analoga: N. 306 del 1990 Rv. 183025, N. 6883 del 1999 Rv.

213605).

La esatta e piena integrazione della fattispecie, di natura formale ed a pericolo presunto, rende evidente come non sia correttamente evocato, nella specie, la figura del reato impossibile di cui all’art. 49 c.p., comma 2, dovendosi osservare che non ricorre nè il caso della "inidoneità della azione" nè quello della "inesistenza dell’oggetto" della condotta: al contrario, è quantomeno da osservare che la redazione dell’inventario, da redigersi ogni anno, serve ad evidenziare le attività e le passività della impresa oltre a quelle dell’imprenditore, estranee alla medesima. Esso si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite il quale deve dimostrare gli utili conseguiti o le perdite subite (art. 2217 c.c.). Nulla ha a che vedere, dunque, con la mancata tenuta, in termini corretti, del libro degli inventari, il fatto in sè della eventuale assenza di attività commerciale.

La evidente inammissibilità dei precedenti motivi di ricorso comporta il rilievo della mancata instaurazione di un valido rapporto processuale che consentisse al termine prescrizionale di continuare a decorrere dopo la pubblicazione del dispositivo della sentenza di appello impugnata.

Pertanto la prescrizione, destinata a maturare nel novembre 2009 (a causa delle sospensioni verificatesi) e quindi dopo la sentenza di secondo grado, non può essere rilevata.

Alla inammissibilità consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese procedurali e al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in 500 Euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a versare alla cassa delle ammende la somma di 500 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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