T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 15-04-2011, n. 2161 Silenzio della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La parte ricorrente premetteva che, con decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Napoli n. 10545 del 07.10.2009, il Comune di Barano d’Ischia veniva condannato a pagare, in favore del ricorrente stesso, la somma di euro 10.342,09, oltre interessi legali dalla notifica del decreto (22.10.2009), nonché al pagamento, a favore dello stesso ricorrente, della somma di euro 100 per spese, euro 272 diritti ed euro 190 onorari, oltre spese generali, IVA e CPA;

che tale decreto non veniva opposto e veniva munito di formula esecutiva in data 10.03.2010, e veniva notificato in data 30.04.2010;

di aver notificato al Comune l’atto di diffida e messa in mora in data 24.09.2010;

che, tuttavia, il Comune persisteva nel suo inadempimento, sicché il ricorrente proponeva ricorso in ottemperanza, chiedendo ordinarsi al Comune di Barano d’Ischia il pagamento della somma di euro 10.342,09, oltre interessi legali dalla notifica del decreto (22.10.2009), nonché al pagamento, a favore dello stesso ricorrente, della somma di euro 100 per spese, euro 272 diritti ed euro 190 onorari, oltre spese generali, IVA e CPA; dichiararsi nulli gli atti adottati in violazione o elusione del giudicato; nominarsi contestualmente il Commissario ad acta; fissarsi la somma di denaro dovuta dall’Amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva e per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato, con vittoria di spese.
Motivi della decisione

Il ricorso è parzialmente fondato, e va accolto nei limiti di seguito indicati.

Osserva la Sezione che nel caso di specie ricorrono tutti i presupposti necessari, ai sensi degli articoli 90 e 91 R.D. 642/1907, e ai sensi degli artt. 112 e 114 codice del processo amministrativo, entrato in vigore nelle more della discussione del ricorso, per l’accoglimento del ricorso, in quanto il decreto ingiuntivo in epigrafe indicato, con condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento in favore del ricorrente,quale procuratore antistatario, delle spese di lite, non risulta essere stato opposto; parte ricorrente ha provveduto a notificare all’Amministrazione formale atto di diffida e messa in mora, assegnando trenta giorni per l’adempimento, ma l’Amministrazione è rimasta inerte.

L’inerzia del Comune è illegittima in quanto violativa dell’obbligo, previsto dagli artt. 4 L. n. 2248/1865 e 37 L. n. 1034/71, dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato.

Ed invero lo stesso non si è costituito in giudizio e non ha pertanto provato, come sarebbe stato suo onere, l’avvenuto adempimento (cfr. in tema di prova dell’adempimento per tutte Cass. S.U. sent. n. 12533/01).

Deve pertanto in particolare, essere accolta la domanda con cui parte ricorrente chiede l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto in epigrafe indicato con condanna del Comune al pagamento della relativa somma, oltre agli interessi legali richiesti in questa sede, a far data dalla pubblicazione del decreto.

Peraltro non può essere azionato con il rimedio dell’ottemperanza il pagamento di tutte le somme ulteriori indicate nell’atto di precetto e nell’atto di diffida e messa in mora e richieste in questa sede, relative a spese e diritti successivi all’emissione del decreto di cui si chiede l’ottemperanza.

Infatti nel giudizio di ottemperanza le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti ed onorari successivi alla formazione del giudicato sono dovute solo in relazione alla pubblicazione della sentenza, all’esame ed alla notifica della medesima, alle spese relative ad atti accessori, quali le spese di registrazione, di esame, di copia e di notificazione, nonché le spese e i diritti di procuratore relativi all’atto di diffida, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale; non sono dovute, invece, le spese di precetto, che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss., c.p.c., poiché l’uso di strumenti di esecuzione diversi dall’ottemperanza al giudicato di cui ai citati artt. 37, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e 27, r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 è imputabile soltanto alla libera scelta del creditore. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 11 maggio 2010, n. 699; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 22 dicembre 2009, n. 1348; Tar Campania – Napoli n. 9145/05; T.A.R. Campania – Napoli n. 12998/03; C.d.S. sez. IV n. 2490/01; C.d.S. sez. IV n. 175/87).

Le ulteriori spese relative all’atto di precetto non possono, pertanto, essere riconosciute al ricorrente.

Conseguentemente, deve essere dichiarato l’obbligo del Comune di Barano d’Ischia di dare esecuzione al suindicato decreto, nei limiti delle somme portate dal medesimo, oltre agli interessi legali fino al soddisfo, nonché alle spese relative alla pubblicazione del decreto, all’esame ed alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti accessori, quali le spese di registrazione, di esame, di copia e di notificazione, nonché le spese e i diritti di procuratore relativi all’atto di diffida.

L’Amministrazione darà esecuzione alla predetta sentenza entro giorni sessanta dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il Presidente della Sezione Regionale Controllo atti della Corte dei Conti della Campania, con facoltà di delega ad un funzionario dell’Ufficio, che entro sessanta giorni dalla scadenza del termine precedente darà corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Le spese per l’eventuale funzione commissariale andranno poste a carico del Comune intimato e vengono sin d’ora liquidate nella somma complessiva di euro 1.000,00 (mille). Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all’esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all’ente debitore.

Tuttavia, la parte ricorrente ha chiesto, oltre alla nomina del commissario ad acta, anche la fissazione della "somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato", statuizione che costituisce titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 114 co. 4 lett. e) del c.p.a..

La suddetta norma ha comportato una rilevante innovazione, con la quale è stata introdotta anche nel processo amministrativo l’istituto della cd. astreinte, di solito assai efficace in presenza di obblighi di facere infungibili; nel processo civile il predetto istituto è regolato dall’art. 614 bis c.p.c., introdotto dall’art. 49 co. 1 l. 69/09.

Nel caso di specie, la parte ricorrente ha chiesto tanto la nomina del commissario ad acta che l’applicazione dell’astreinte; si tratta di mezzi di tutela diversi perché l’astreinte è un mezzo di coercizione indiretta (la dottrina ha parlato, al riguardo, di modello "compulsorio"), mentre la nomina del commissario ad acta – che provvede in luogo dell’Amministrazione – comporta una misura attuativa del giudicato ispirata ad una logica del tutto differente (non esercitare pressioni sulla p.a. perché provveda, ma nominare un diverso soggetto, tenuto a provvedere al posto della p.a.: la dottrina ha parlato, al riguardo, di modello di "esecuzione surrogatoria").

È da ritenersi che l’opzione per l’uno o per l’altro modello rientri nella disponibilità della parte; deve inoltre ritenersi ammissibile la richiesta, al giudice amministrativo, tanto della nomina del commissario ad acta quanto dell’applicazione dell’ astreinte, atteso che – secondo l’orientamento preferibile e prevalente – l’Amministrazione non perde il potere di provvedere dopo la nomina del commissario ad acta, sicché la coazione indiretta costituita dall’ astreinte continuerebbe ad aver un senso. Le due forme di tutela, in altri termini, appaiono cumulabili perché non incompatibili tra loro.

Tuttavia, la domanda relativa all’applicazione dell’astreinte deve essere, nel caso di specie, respinta.

L’astreinte, infatti, può essere disposta ove "ciò non sia manifestamente iniquo, ovvero sussistano altre ragioni ostative": si tratta di espressioni piuttosto generiche, dalle quali si evince tuttavia che il legislatore ha inteso auspicare un uso prudente di tale istituto (anche perché nel processo amministrativo comporta, di regola, un esborso di pubblico denaro).

Orbene, deve dubitarsi dell’ammissibilità dell’astreinte qualora l’esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro. Infatti, l’astreinte costituisce un mezzo di coazione indiretta sul debitore, necessario in particolare quando si è in presenza di obblighi di facere infungibili: pertanto, non sembra equo condannare l’Amministrazione al pagamento di ulteriori somme di denaro, quando l’obbligo di cui si chiede l’adempimento costituisce, esso stesso, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. Occorre considerare che, in tal caso, per il ritardo nell’adempimento sono già previsti dalla legge gli interessi legali: ai quali, pertanto, la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi, con effetti iniqui di indebito arricchimento per il creditore. Anche la giurisprudenza civile formatasi sull’art. 614 bis c.p.c., che ha introdotto nel processo civile una disposizione analoga, è orientata nel senso dell’ammissibilità di tale istituto a fronte dell’inadempimento di obblighi di fare infungibile o di non fare (il Tribunale di Cagliari, ord. del 19.09.2009, ha ritenuto che l’art. 614 bis si riferisca per l’appunto attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare).

Benché la norma non lo preveda espressamente, è da ritenere infatti che la somma di denaro debba andare a favore del creditore; e – benché la dottrina sia incerta sulla natura giuridica dell’astreinte – è preferibile qualificare la stessa come criterio di liquidazione del danno (e non come pena privata o sanzione civile indiretta), proprio al fine di evitare ingiustificati arricchimenti del creditore della prestazione principale. Ancora una volta, occorre richiamare la giurisprudenza civile, secondo cui "la misura prevista dall’art. 614bis c.p.c. è volta ad assicurare l’attuazione sollecita del provvedimento e, come per la condanna, è quindi funzionale, innanzi tutto, a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente e, conseguentemente, ad evitare la produzione del danno o, quanto meno, a ridurre l’entità del possibile pregiudizio" (Tribunale di Cagliari, ord. del 19.09.2009).

Le spese del presente giudizio, secondo la regola della soccombenza, sono poste a carico dell’inadempiente Comune e vanno liquidate nell’importo indicato in dispositivo, cui deve aggiungersi il rimborso, in favore della parte che le ha anticipate, delle spese relative al contributo unificato, se ed in quanto effettivamente assolto.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, domanda, deduzione ed eccezione, così provvede:

accoglie il ricorso in epigrafe, nei limiti di cui in motivazione, dichiarando l’obbligo del Comune di Barano d’Ischia di dare esecuzione, nel termine e nei limiti di cui in motivazione, alla sentenza in epigrafe indicata.

Per il caso di ulteriore inottemperanza, nomina Commissario ad acta il Presidente della Sezione Regionale Controllo atti della Corte dei Conti della Campania (con facoltà di delega ad un funzionario dell’Ufficio), che provvederà nei sensi e nei termini di cui in motivazione;

Respinge la domanda di fissazione di una somma di denaro dovuta dall’Amministrazione resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato;

Condanna il Comune di Barano d’Ischia al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano nella somma complessiva di euro 500,00 (cinquecento), oltre il rimborso, in favore del medesimo ricorrente, delle spese relative al contributo unificato, se ed in quanto effettivamente assolto.

Liquida nella somma complessiva di euro 1.000,00 (mille), a carico dell’amministrazione intimata, il compenso che dovrà corrispondersi al commissario ad acta per il caso in cui, ove il Comune non ottemperi, si dovesse rendere necessario lo svolgimento della funzione sostitutoria

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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