T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 15-04-2011, n. 394Accertamento, opposizione e contestazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il ricorso in epigrafe la sig.ra A.P., in proprio e quale legale rappresentante della "M. s.n.c. di P.A. & C.", ha impugnato i seguenti atti, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare:

a) il provvedimento prot. n. 1061/Area I, del 9 gennaio 2009, con il quale il Prefetto del Verbano Cusio Ossola ha ordinato la chiusura, per giorni sette, del pubblico esercizio denominato "Astragalo Restaurant e Cocktail’ (gestito dalla ricorrente), a seguito della comunicazione della Polizia Stradale del 29 novembre 2008 che aveva accertato, all’interno dell’esercizio, la commissione dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 6, comma 2, del decretolegge n. 117 del 2007, convertito in legge n. 160 del 2007 (somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2:00);

b) la suddetta comunicazione della Polizia Stradale;

c) il verbale di accertamento dell’illecito, redatto da personale della Polizia di Stato in data 29 novembre 2008, alle ore 2:20, "e contestato direttamente alla Sig.ra P.A.".

2. La ricorrente solleva una pluralità di motivi di gravame, così riassumibili:

I) Violazione dell’art. 18 della legge n. 689 del 1981, nonché dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990: nonostante la ricorrente abbia prodotto all’amministrazione una propria memoria difensiva, la Prefettura non l’avrebbe valutata (ed anzi l’avrebbe "ignorata del tutto"), disponendo la chiusura del locale senza nemmeno convocare l’istante;

II) Incompetenza del Prefetto, posto che la norma ritenuta violata (l’art. 6, comma 2, del decretolegge n. 117 del 2007, convertito in legge n. 160 del 2007) sarebbe "radicalmente estranea alla materia della sicurezza stradale", rientrando invece in quella del "commercio", con conseguente potestà sanzionatoria in capo al Comune "in virtù della delega operata con il D.P.R. n. 616/77";

III) Erroneità dei presupposti e dell’istruttoria, posto che – nella ricostruzione della ricorrente – "dopo le ore 2,00 nel locale non era difatti in corso alcuna attività di "somministrazionè di bevande alcoliche ma solo il "consumò da parte di taluni avventori di bevande precedentemente somministrate entro le ore 2,00";

IV) Incostituzionalità dell’art. 6, comma 2, del decretolegge cit., per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost., posto che tale norma – proprio perché rientrante nella materia "commercio", che è di competenza legislativa regionale esclusiva – non poteva essere dettata con legge statale;

V) Incostituzionalità della medesima norma per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., posto che essa determinerebbe una disparità di trattamento, con connessa distorsione della concorrenza, tra i locali nei quali si svolgono "spettacoli o altre forme di intrattenimento" (nei quali non è consentita la somministrazione di bevande alcooliche oltre le ore 2,00) e gli altri esercizi pubblici come i bar, i pub, od altri punti di ristoro dove tali attività di spettacolo o di intrattenimento non si svolgono (nei quali la somministrazione di alcoolici non incontra limiti temporali);

VI) Irragionevolezza ed illogicità, in considerazione dell’efficacia immediata dell’impugnato ordine di chiusura (senza che sia stato previsto un differimento dell’effetto sanzionatorio al compimento di un congruo periodo di tempo, al fine specifico di consentire all’interessato l’esercizio della tutela giurisdizionale cautelare).

3. L’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio, limitandosi a far pervenire alcune brevi note depositate in data 21 gennaio 2009.

4. Con decreto presidenziale monocratico, prima, e con ordinanza cautelare (la n. 75 del 2009), poi, questo TAR ha accolto la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati.

5. Alla pubblica udienza del 30 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Il ricorso non è fondato, in base alle osservazioni che seguono.

6.1. Deve premettersi che il decretolegge n. 117 del 2007, convertito in legge n. 160 del 2007, ha introdotto "Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione", sulla premessa che fosse necessario ed urgente, ai sensi dell’art. 77 Cost., "contenere il crescente tasso di incidentalità sulle strade, sia individuando linee di intervento preventivo, sia inasprendo il regime sanzionatorio connesso alle violazioni che comportino maggior incidenza di rischio per la sicurezza stradale" (così si legge nell’epigrafe del decreto). L’art. 6 del decreto – che viene in considerazione nel presente giudizio – ha dettato "Nuove norme volte a promuovere la consapevolezza dei rischi di incidente stradale in caso di guida in stato di ebbrezza" (così la rubrica dell’articolo), ed ha subito recenti modificazioni per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 120 del 2010, intitolata, a sua volta, "Disposizioni in materia di sicurezza stradale".

Già da queste prime notazioni letterali si evince che precipuo scopo del legislatore, sia nel 2007 che nel 2010, è stato quello di dettare disposizioni che consentissero di arginare il preoccupante fenomeno – costantemente in ascesa e frequentemente alla ribalta della cronaca – degli incidenti stradali causati da guida in stato di ebbrezza e/o di alterazione psicofisica (le c.d. stragi del sabato sera). Di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 152 del 2010, ha per l’appunto evidenziato che le misure previste dalle leggi citate (di natura sia preventiva sia sanzionatoria) "mirano a favorire una presa di coscienza dei pericoli, per l’incolumità degli utenti della strada, derivanti dall’abuso di bevande alcoliche, e dunque alla fissazione di limiti alla loro somministrazione negli esercizi commerciali che costituiscono luogo di abituale ritrovo soprattutto di quei soggetti – i più giovani – rispetto ai quali è maggiormente avvertita la necessità di una responsabilizzazione in ordine alle conseguenze del consumo di alcolici". Con la sentenza n. 259 del 2010, poi, la stessa Corte costituzionale – nel risolvere, in senso favorevole allo Stato, un conflitto di attribuzioni con la Provincia autonoma di Bolzano – ha ribadito che i provvedimenti adottati in attuazione dell’art. 6 del decretolegge n. 117 del 2007 "sono volti esclusivamente ad evitare che si possano verificare episodi di guida in stato di ubriachezza potenzialmente lesivi dell’ordine pubblico".

L’art. 6, commi 2 e 3, che costituisce la norma rilevante nel presente giudizio, al momento dell’adozione degli atti impugnati (ossia, prima delle modifiche introdotte con la legge n. 120 del 2010), così disponeva:

"2. Tutti i titolari e i gestori di locali ove si svolgono, con qualsiasi modalità, spettacoli o altre forme di intrattenimento, congiuntamente all’attività di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche, devono interrompere la somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2 della notte e assicurarsi che all’uscita del locale sia possibile effettuare, in maniera volontaria da parte dei clienti, una rilevazione del tasso alcolemico; inoltre devono esporre all’entrata, all’interno e all’uscita dei locali apposite tabelle che riproducano:

a) la descrizione dei sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica nell’aria alveolare espirata;

b) le quantità, espresse in centimetri cubici, delle bevande alcoliche più comuni che determinano il superamento del tasso alcolemico per la guida in stato di ebbrezza, pari a 0,5 grammi per litro, da determinare anche sulla base del peso corporeo.

3. L’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 2 comporta la sanzione di chiusura del locale da sette fino a trenta giorni, secondo la valutazione dell’autorità competente".

6.2. Alla luce del complessivo quadro normativo, come sopra tratteggiato ed interpretato dalla recente giurisprudenza della Corte costituzionale, è possibile, sin da subito, evidenziare l’infondatezza del secondo, del quarto e del quinto dei motivi di gravame.

Non è, anzitutto, fondata l’eccezione di incompetenza del Prefetto. Nella specie viene infatti in considerazione, come argomentato dalla sent. n. 259 del 2010 della Corte costituzionale, non certo la materia del commercio, ma quella (senz’altro rientrante nella competenza statale) dell’ordine e della sicurezza pubblici. La competenza ad adottare l’ordine di chiusura impugnato, pertanto, spettava senz’altro all’autorità statale (nella specie, impersonata dal Prefetto) e non a quella comunale, come del resto, anche recentemente, ha affermato in casi analoghi la giurisprudenza amministrativa (cfr., ex multis: TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, n. 687 del 2009; TAR FriuliVenezia Giulia, n. 114 del 2003; TAR Piemonte, sez. I, n. 1295 del 2002).

Va, di conseguenza, dichiarata manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del decretolegge n. 117 del 2007, convertito in legge n. 160 del 2007, per asserita violazione dell’art. 117, comma 3, Cost.: se la materia nella quale è intervenuta la norma è da individuarsi in quella dell’ordine e della sicurezza pubblici, la competenza a legiferare spettava senz’altro allo Stato, in quanto materia di legislazione statale esclusiva ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. h, Cost.

Analogamente, va dichiarata la manifesta infondatezza dell’ulteriore questione di legittimità costituzionale della norma in esame, prospettata dalla ricorrente, sulla base dei parametri di cui agli artt. 3 e 41 Cost. Si tratta, infatti, della medesima questione già affrontata dalla Corte costituzionale e dichiarata non fondata con la richiamata sent. n. 152 del 2010, con la quale, in sintesi, è stato affermato:

a) che la scelta compiuta dal legislatore risponde all’obiettivo, non irragionevole, di limitare la somministrazione di bevande alcoliche in quelle situazioni nelle quali gli effetti conseguenti al loro consumo possono risultare ampliati dall’ascolto di musica, protratto per ore e talora fino al mattino;

b) che non ricorre, di conseguenza, alcuna "identità di condizioni soggettive ed oggettive" tra le categorie di commercianti considerate che valga a giustificare la parità del loro trattamento normativo;

c) che la norma censurata risponde ad esigenze di sicurezza delle strade (e, quindi, alla "sicurezza" degli utenti: con ciò integrandosi il limite di cui all’art. 41, comma 2, Cost.), con rilevanza della necessità di proteggere "i valori primari attinenti alla persona, il cui rispetto è il limite insuperabile di ogni attività economica".

6.3. Non è poi fondato il terzo motivo di gravame, mediante il quale la ricorrente ha denunziato, in sostanza, che l’amministrazione avrebbe commesso un travisamento dei fatti, allorché è stato ritenuto che all’interno del locale, dopo le ore 2:00 della notte del 29 novembre 2008, fosse in corso una "somministrazione" di bevande alcoliche.

Che, al contrario, quella somministrazione sia avvenuta è quanto si riscontra dal verbale di accertamento e contestazione di illecito amministrativo, redatto – nell’immediatezza dei fatti – dalla Polizia stradale del Verbano Cusio Ossola (doc. n. 3 della ricorrente). In tale verbale si legge che, alle ore 2:20 della notte, nel locale era in corso la "somministrazione di bevande alcoliche a tre avventori del locale- nella fattispecie tre birre alla spina da 500 ml’, mentre non è dato ricavare – come afferma la ricorrente – che fosse in corso unicamente la consumazione di tali bevande già somministrate prima delle ore 2:00.

Avendo il verbale natura di atto pubblico, e non essendo esso stato contestato nelle forme e nei modi della querela di falso (al fine di farne accertare un’eventuale falsità), i fatti in esso riportati rimangono assistiti da fede privilegiata; il verbale mantiene dunque, ai sensi dell’art. 2700 c.c., efficacia di piena prova per i fatti che il pubblico ufficiale ha attestato essere avvenuti in sua presenza.

6.4. L’infondatezza, appena rilevata, del terzo motivo di gravame è determinante per il rigetto anche della prima censura formulata nell’atto introduttivo, ed afferente alla supposta violazione dell’art. 18 della legge n. 689 del 1981 nonché all’art. 10 della legge n. 241 del 1990 (a causa della mancata valutazione degli scritti difensivi inoltrati all’amministrazione dopo la contestazione dell’illecito).

Osserva il Collegio, anzitutto, che l’art. 18 della legge n. 689 del 1981 non è applicabile alla fattispecie sanzionatoria de qua. Tale norma presuppone, infatti, che la sanzione amministrativa da irrogare, a seguito della contestata violazione, abbia natura pecuniaria, in vista dell’emissione dell’ordinanzaingiunzione. Più in generale, peraltro, è il tenore letterale dell’art. 12 della legge n. 689 del 1981 che consente l’applicabilità di tale legge alle sole violazioni "per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro", con esclusione, pertanto, delle violazioni che comportano una sanzione non avente natura pecuniaria (come nella specie: va infatti evidenziato che, all’epoca dei fatti, la formulazione del comma 3 dell’art. 6 del decretolegge n. 117 del 2007, quale convertito nella legge n. 160 del 2007, prevedeva unicamente la sanzione della chiusura dell’esercizio da sette a trenta giorni; la sanzione pecuniaria è stata introdotta solo con la legge n. 120 del 2010).

In ogni caso, a prescindere dall’inapplicabilità dell’art. 18 della legge n. 689 del 1981 anche alla sanzione per la quale è causa, la ricorrente non può in questa sede utilmente lamentare alcuna lesione delle prerogative di partecipazione procedimentale, posto che la memoria da essa redatta (ed "ignorata" dall’amministrazione) non avrebbe potuto arrecare alcun valido contributo alla determinazione del contenuto del provvedimento finale. Ciò, in quanto le argomentazioni ivi spese (sostanzialmente equivalenti a quelle in questa sede dedotte con il terzo motivo di gravame), in mancanza di una querela di falso promossa avverso il verbale, non possono considerarsi fondate (come si è visto in precedenza) e non avrebbero, pertanto, potuto formare oggetto di disamina favorevole.

Deve, dunque, conferirsi applicazione alla regola generale di cui all’art. 21octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, secondo la quale le violazioni di natura meramente formale, lesive dell’interesse partecipativo della parte, non possono condurre all’annullamento dell’atto che le abbia commesse, qualora appaia evidente che il contenuto dispositivo finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

6.5. Non è fondata, infine, neanche l’ultima censura avanzata da parte ricorrente, mediante la quale – in sostanza – si rimprovera al Prefetto di aver attribuito alla disposta chiusura dell’esercizio un’efficacia immediata, senza con ciò consentire all’interessata il proficuo esercizio della tutela giurisdizionale cautelare.

Va, in contrario, rilevato che, nonostante l’immediata efficacia di una misura interdittiva destinata a durare (come nella specie) solo pochi giorni, l’interessata aveva a disposizione uno strumento che l’ordinamento conferisce proprio per le ipotesi in cui il danno grave ed irreparabile – derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato – non possa trovare tempestiva tutela giurisdizionale nemmeno con il giudizio cautelare. Si tratta – come è noto – del decreto cautelare monocratico rimesso alla competenza del Presidente del TAR (cfr. l’art. 21, comma 9, della legge n. 1034 del 1971, vigente ratione temporis, ed ora confluito nell’art. 56 cod. proc. amm.), strumento del quale – peraltro – la ricorrente si è nella specie avvalsa in modo a sé favorevole (la richiesta era stata accolta con decreto del Presidente di questa Sezione n. 64 del 2009, giunto in tempo ad evitare la chiusura del locale per i giorni nei quali – come da prospettazione della ricorrente – vi erano "già moltissime prenotazioni").

Nessun danno può, pertanto, la ricorrente lamentare nella prospettiva di cui al motivo qui in esame. Va peraltro aggiunto – in ogni caso – che la stringente necessità ed urgenza di disporre, per motivi di sicurezza stradale, la chiusura di un locale ove si sono verificati fatti illeciti di somministrazione di bevande alcoliche, depone nel senso di una sicura legittimità del provvedimento sanzionatorio che sia stato adottato – come nella specie – nel più breve tempo possibile.

7. Non vi è luogo a pronunzia sulle spese di lite, stante la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,

Respinge

il ricorso in epigrafe.

Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *