Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-12-2010) 18-04-2011, n. 15512

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 6-3-2009 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza emessa in data 3 marzo del 2008 dal Tribunale di Alessandria nei confronti di M.I., condannata come responsabile del reato di furto aggravato e continuato indicato in epigrafe (contestato ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., art. 624 c.p., art. 625 c.p., n. 2 e art. 61 c.p., n. 11, fatti commessi tra il (OMISSIS)) – previa concessione delle generiche equivalenti alle aggravanti – alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

Nella specie si trattava di somme sottratte alla SNAI presso la quale la predetta imputata svolgeva mansioni di cassiera, come indicato in rubrica. In sentenza si evidenziava che l’imputata aveva eseguito l’attività di addetta alla cassa,nel periodo in contestazione, e si erano assunte deposizioni testimoniali, nonchè elementi di prova documentale dai quali era emersa l’illecita sottrazione delle somme indicate in rubrica.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore,deducendo l’erronea valutazione delle risultanze processuali e la violazione dell’art. 192 c.p.p., oltre la carenza e contraddittorietà della motivazione.

In ordine a tale motivo la difesa rilevava l’assenza di elementi idonei a provare con certezza che gli ammanchi di cassa nell’agenzia della SAI, fossero addebitabili alla stessa imputata, dato che costei aveva svolto il lavoro in un periodo di prova e la difesa riteneva incerta ed inverosimile la condotta tesa a realizzare i furti contestati, essendo la predetta assistita da altro collaboratore.

In base a tali considerazioni la difesa riteneva dunque che il giudizio di colpevolezza risultasse fondato su mere ipotesi o sospetti, ritenendo carenti anche le risultanze della prova testimoniale, sia per l’episodio di furto avvenuto in data 14-11-2004 che per gli ulteriori fatti (non essendo per le altre fattispecie di furto raggiunta con certezza l’individuazione del responsabile, ed avendo avuto esito negativo la perquisizione personale dell’imputata eseguita dai Carabinieri).

Pertanto la difesa riteneva che l’imputata dovesse essere assolta ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2. 2 – Con ulteriore motivo deduceva l’erronea applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2 inerente all’uso di un mezzo fraudolento,evidenziando che tale circostanza era stata contestata per avere l’imputata effettuato false registrazioni delle somme che risultavano sottratte, immediatamente prima dell’azione di prelievo, allo scopo di nascondere l’illecita condotta.

A riguardo tuttavia la difesa rilevava che le false registrazioni erano parte della stessa condotta di furto, non richiedendo per la loro esecuzione alcuna attività ulteriore rispetto alla consumazione della sottrazione delle somme alla stregua di indirizzo giurisprudenziale di legittimità sul punto richiamato (Cass. Sez. 4, 27.4.2007, n. 24232).

Per tali motivi la difesa chiedeva dunque l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La Corte rileva l’inammissibilità del ricorso.

Invero deve evidenziarsi che le censure formulate nel primo motivo di impugnazione risultano ripetitive dei temi compiutamente esaminati dalla Corte territoriale.

Peraltro tendono unicamente a prospettare diversa interpretazione dei dati probatori che non vengono censurati in diritto.

Invero la sentenza a fl.4 rileva l’infondatezza della tesi difensiva circa l’inverosimiglianza dell’accusa a carico della imputata che era alla prima presenza nel luogo di lavoro,assistita da un collaboratore.

Sul punto la Corte ha specificato che la M. era stata impegnata nel lavoro di terminalista presso la SNAI di Alessandria da alcuni giorni prima della data di assunzione(15-11-2004 al 7-12-2004) e che gli ammanchi si erano verificati in coincidenza con detto periodo.

Inoltre, a seguito della rilevazione degli ammanchi si era deciso di monitorare in data 7 dicembre la postazione di cassa alla quale era addetta l’imputata, e in tal modo era emerso che veniva fatta figurare la restituzione delle somme sottratte, pari a Euro 500,00.

D’altra parte si erano valutate deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l’imputata si era anche recata presso il locale ove si trovava una cassettiera priva di protezioni in cui era custodito il denaro provento delle giocate.

La Corte ha pertanto motivato in base a prove testimoniali ed esiti di controlli documentalmente attestati, eseguiti al termine dell’attività lavorativa della M..

La motivazione risulta logica e adeguata a legittimare la conferma del giudizio di responsabilità formulato in primo grado, non scalfito, in fatto, dalle argomentazioni difensive.

Tale motivazione deve ritenersi dunque incensurabile,data la genericità delle deduzioni della ricorrente tese alla diversa interpretazione dei dati probatori, priva di riferimenti a circostanze trascurate nel giudizio di merito.

2 – Parimenti deve ritenersi manifestamente infondata la censura riferita alla esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 2.

Invero la Corte ha reso sul punto motivazione conforme all’orientamento giurisprudenziale di legittimità, ritenendo applicabile l’aggravante nell’ipotesi di cui si tratta, essendo stato accertato che la sottrazione di somme era stata mascherata attraverso false registrazioni di cassa.

Tali modalità non sono assorbite nella condotta tipica del delitto di furto, rappresentando un quid pluris sufficiente a configurare l’aggravante enunciata dall’art. 625 c.p., n. 2 costituendo una operazione straordinaria improntata ad astuzia o scaltrezza, diretta ad eludere le cautele ed a rendere vani gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa delle proprie cose (in tal senso v.

Sez. 2, del 24 luglio 1991, n. 7840 ed altre conformi – Sez. 4, del 13 luglio 2006, n. 24232, nonchè Sez 4, del 9 luglio 2007,n.26432,e 30 marzo 2009,n. 13871).

La Corte deve pertanto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza,e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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