Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-03-2011) 19-04-2011, n. 15603 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Bari riformava parzialmente la sentenza emessa il 24 marzo 2009 dal G.U.P. del Tribunale di Bari nei confronti di B.T., C. G., S.S., CI.Mi., C. L., F.V. per violazione della legge sugli stupefacenti e favoreggiamento, rideterminando le pene loro rispettivamente inflitte.

Avverso tale decisione i predetti proponevano ricorso per cassazione.

B.T. e C.G. personalmente deducevano:

– violazione di legge e difetto di motivazione lamentando che la decisione impugnata era del tutto priva di motivazione in ordine alla loro responsabilità ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche;

S.S. deduceva, tramite il proprio difensore:

– violazione dell’art. 378 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 osservando che la sentenza mancava di riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed al contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate e non vi erano riscontri alle chiamate in correità;

– inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche di cui al RIT 928/05 in quanto il Pubblico Ministero procedente aveva disposto l’effettuazione d’urgenza delle operazioni presso la sede del reparto Carabinieri di Foggia pur in presenza di postazioni libere presso gli uffici di Procura come attestato da certificazione in atti.

– Mancanza del dolo specifico in ordine alla aggravante ad effetto speciale di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;

CI.Mi., personalmente, deduceva:

– violazione di legge e carenza di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata era priva di idonea motivazione relativamente alla affermazione di responsabilità nei suoi confronti;

CA.Le. personalmente, deduceva:

– violazione di legge e carenza di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata era priva di idonea motivazione relativamente alla affermazione di responsabilità nei suoi confronti;

F.V. e CI.Mi. tramite il proprio difensore, deducevano:

– violazione degli artt. 192 e 533 c.p.p. e vizio di motivazione osservando che dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate non emergono mai, neppure con riferimento al linguaggio criptico utilizzato, elementi sufficienti per ricondurre l’oggetto delle conversazioni allo spaccio di stupefacenti. I giudici dell’appello erano quindi giunti a formulare affermazioni del tutto apodittiche o frutto di mere congetture;

– omesso esame, da parte della Corte d’Appello, dei motivi di gravame relativi alla posizione del F.;

– violazione di legge in quanto il riconoscimento della speciale attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 avrebbe dovuto comportare l’esclusione della recidiva ovvero un giudizio di prevalenza della predetta attenuante rispetto alla recidiva contestata.

Tutti insistevano, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

I ricorsi di B.T., C.G., CA. L. nonchè quello presentato personalmente da C. M. sono inammissibili perchè generici e manifestamente infondati.

In particolare, B.T. e C.G. si limitano a contestare l’assenza di motivazione in modo del tutto indeterminato senza indicare le ragioni poste a fondamento della censura.

Viene inoltre lamentata la mancata concessione delle attenuanti generiche che, al contrario, sono state applicate ad entrambe come risulta chiaramente dalla sentenza impugnata.

La mancanza di specificità dei motivi caratterizza anche i ricorsi presentati personalmente da CA.Le. e C. M..

Alla generica doglianza circa la carenza di motivazione segue infatti la mera elencazione del contenuto di alcune decisioni di questa Corte senza alcuna prospettazione delle ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica.

Manifestamente infondato è, inoltre, il ricorso presentato tramite difensore da CI.Mi. e F.V..

Invero la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha compiutamente esaminato il contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate e, con argomentazioni in fatto del tutto coerenti e prive di vizi logici, ha riconosciuto la piena attendibilità del contenuto nonostante l’utilizzazione di un linguaggio convenzionale.

La Corte d’Appello non manca di indicare nel dettaglio i riscontri effettuati dalla polizia giudiziaria sulla base delle risultanze delle intercettazioni e, con riferimento al contenuto delle conversazioni tra il CI. ed il F. oggetto di specifica contestazione in ricorso, la Corte territoriale si dilunga non solo nell’indicare l’inequivoco contenuto delle conversazioni medesime, ma anche a confutare dettagliatamente le doglianze mosse con l’atto di appello e sostanzialmente riproposte in questa sede di legittimità.

Anche la posizione del F. viene a lungo e compiutamente esaminata dai giudici dell’appello, con considerazioni in fatto che, essendo motivate in maniera adeguata e non manifestamente illogica, non possono essere censurate in sede di legittimità.

Del tutto destituita di fondamento appare, inoltre, la lamentata violazione delle disposizioni sulla recidiva ritenuta equivalente alle attenuanti concesse.

Invero, come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza allorchè il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen., l’abbia ritenuta più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto irrogata (Sez. 6^ n. 6866, 19 febbraio 2010).

Risulta affetto da manifesta infondatezza, infine, anche il ricorso proposto nell’interesse di S.S..

Va osservato con riferimento al primo ed al terzo motivo di ricorso che gli stessi sono del tutto generici.

Nel primo motivo viene infatti lamentata semplicemente la mancanza di riscontri esterni alle chiamate in correità ed alle intercettazioni telefoniche senza tuttavia indicare a quali specifici dati probatori acquisiti al procedimento siano riferite le doglianze, mentre il terzo motivo si limita ad affermare, senza null’altro aggiungere, che l’esclusione dell’aggravante ad effetto speciale di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 sarebbe dovuta mancando il dolo.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, riferito alla inutilizzabilità delle operazioni di intercettazione perchè eseguite in sede diversa dagli uffici della Procura, occorre ricordare che la giurisprudenza di questa Corte in tema di utilizzabilità di impianti in dotazione alla polizia giudiziaria, menzionata nel provvedimento, ha anche recentemente ribadito che il requisito dell’inidoneità dell’impianto che giustifica l’utilizzo di apparecchiature esterne agli uffici della Procura non riguarda esclusivamente l’aspetto "tecnico-strutturale", relativo alle condizioni materiali dell’impianto, bensì anche quello "funzionale", da prendere in considerazione relativamente al tipo di indagine che si svolge e allo specifico delitto per il quale si procede (Sez. 6^ n. 17231, 6 maggio 2010).

Orbene, come si desume dal tenore letterale del decreto del Pubblico Ministero allegato al ricorso, risulta compiutamente assolto l’onere di motivazione imposto dall’art. 268 c.p.p., comma 3, avendo l’organo dell’accusa chiaramente indicato la particolare natura del servizio da attuare, finalizzato alla cattura di un latitante accusato di gravi reati e la necessità di coordinare le operazioni di ascolto con altre in corso sul territorio ad opera del Reparto di polizia giudiziaria delegato e finalizzate alla cattura del predetto.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità". (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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