Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-07-2011, n. 15538

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Svolgimento del processo

1 – Con ricorso presentato in data 16 marzo 2005 l’ing. G. R. chiedeva una modifica delle condizioni della separazione consensuale, omologata dal Tribunale di Lodi in data 13 giugno 2003, adducendo un peggioramento del proprio reddito, derivante dal mancato rinnovo del proprio contratto di lavoro all’estero con la Società AGIP KCO, ragion per cui non sarebbe più stato in grado di versare, come stabilito, la somma di Euro 4.500,00 a favore della moglie Sig.ra B.B., a titolo di contributo per il proprio mantenimento.

1.1 – Il Tribunale di Lodi, con decreto in data 20 settembre 2005, riduceva l’importo dell’assegno ad Euro 1.800,00. 1.2 – La Corte di appello di Milano, con il decreto in esame, depositato in data 5 luglio 2007, pronunciando sui, reclami proposti dal G. e, in via incidentale dalla B., rideterminava l’ammontare dell’assegno in Euro 3.000,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT, condannando il marito alla rifusione in favore della controparte di metà delle spese processuali, compensate nel resto.

1.3 – Avverso tale decreto il G. propone ricorso, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la B..
Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la Corte territoriale considerato le conseguenze della diminuzione della capacità reddituale dell’Ing. G..

2.1 – Con il secondo motivo si denuncia omessa pronuncia ed omessa motivazione relativamente alla questione del rimborso I.R.P.E.F..

2.2 – Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel luglio dell’anno 2007, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis cod. proc. civ.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 2.3 – Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni, atteso che il secondo motivo, quanto alla violazione denunciata, non si conclude con la formulazione del quesito di diritto, che contenga un’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto, così come i riferimenti alla regola di diritto applicata dal giudice di secondo grado ed a quella diversa regula iuris che, a giudizio del ricorrente, avrebbe dovuto essere applicata (Cass., Sez. Un. 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 25 luglio 2008, n. 20454).

Quanto al vizio motivazionale dedotto con il primo motivo e, in parte, con il secondo, manca del tutto quel momento di sintesi omologo del quesito di diritto, nel senso sopra evidenziato.

2.5 – Deve quindi procedersi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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