Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-03-2011) 19-04-2011, n. 15611 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Vicenza, con provvedimento del 26/5/2010, convalidava il sequestro preventivo di urgenza del P.M. e emetteva contestuale decreto di sequestro del manufatto, sito in (OMISSIS), fl. 34, mapp. 203, nei confronti di V.C., in proprio e quale legale rappresentante della Agricola Maine s.r.l. proprietaria dell’area su cui insiste il manufatto de quo, indagato per ipotesi dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.

Il Tribunale del riesame di Vicenza, con ordinanza dell’11/6/2010, ha rigettato la istanza avanzata dall’indagato ex art. 322 c.p.p..

Propone ricorso per cassazione la difesa del V., con i seguenti motivi:

– insussistenza del fumus commissi delicti, rilevato che nella specie sono stati realizzati meri interventi di manutenzione del fabbricato esistente da molti anni (decenni)e che tali interventi non richiedevano nè il permesso di costruire, nè l’autorizzazione paesaggistica;

– insussistenza del periculum in mora, erroneamente ravvisato dal decidente, sia perchè il manufatto risulta da tempo ultimato, sia perchè il decidente ha omesso di argomentare adeguatamente sul pericolo che deriverebbe dall’uso del bene da parte dell’indagato.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente a sostegno della impugnata pronuncia, si palesa logica e corretta.

Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la ordinanza de qua emerge, in maniera inequivoca, che il giudice di merito ha tenuto conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti.

Il Tribunale, infatti, rileva come, da un lato, la documentazione prodotta dalla difesa dell’indagato non dimostri con certezza che il manufatto oggetto di contestazione sia stato realizzato ove si trovava l’annesso rustico (stalla), peraltro abusivo; dall’altro lato, anche ammesso che le fotografie prodotte dalla difesa si riferiscano alla stalla, illecitamente edificata antecedentemente, e che la stessa si trovasse nello stesso luogo in cui oggi insiste il nuovo fabbricato, è evidente l’assoluta diversità tra il predetto ricovero di animali e la nuova edificazione, sia per le sue caratteristiche morfologiche, sia perchè all’interno della struttura vi sono un camino e un forno in muratura, elementi questi comprovanti una voluta diversa destinazione per uso abitativo, dell’immobile.

Appare evidente, quindi, la sussistenza del fumus dei reati contestati.

Quanto al periculum, il giudice del merito, compiutamente evidenzia che, qualora l’immobile restasse nella piena disponibilità del V., nello stesso ben potrebbero essere eseguiti ulteriori lavori di ultimazione, quali la tamponatura delle pareti, la suddivisione in più locali e quant’altro per completare l’intervento edificatorio;

se invece si considerasse il fabbricato ormai ultimato, può legittimamente essere disposto il sequestro dello stesso, poichè le conseguenze che la misura cautelare è destinata ad evitare vanno identificate nell’ordinato assetto e sviluppo del territorio e nel corretto uso e governo di esso, in conformità alla normativa urbanistica (Cass. 30932/09; Cass. 8441/07).

Osservasi, sul punto, che in tema di violazioni edilizie, ai fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, la sola esistenza di una struttura abusiva, realizzata senza autorizzazione e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, come nella specie, integra il requisito della attualità del pericolo, indipendentemente, dall’essere la edificazione criminosa ultimata o meno, posto che l’offesa al territorio e gli effetti lesivi all’equilibrio urbanistico perdurano e sono anzi aggravati dalla utilizzazione della costruzione ultimata (Cass. 11/6/2008, n. 23681).

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il V. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, deve, altresì, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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