Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-03-2011) 19-04-2011, n. 15610 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Napoli, quale giudice della esecuzione, in data 23/2/2010 ha rigettato la istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione e riduzione in pristino, avanzata da S.R., con riferimento alla sentenza passata in giudicato, resa dalla stessa sezione quinta della Corte in data 23/9/03, con cui l’imputato era stato riconosciuto colpevole dei reati di violazione urbanistica.

Propone ricorso per cassazione la difesa del S. con il seguente motivo:

– ha errato il decidente nel non accogliere la istanza avanzata in quanto il reato urbanistico è da considerarsi estinto in dipendenza del versamento della somma dovuta a titolo di oblazione.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria scritta nella quale conclude per la inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

La argomentazione motivazionale. adottata dalla Corte partenopea si palesa del tutto logica e corretta.

Il decidente, infatti, rileva che l’effetto estintivo del reato, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa del prevenuto, consegue alla positiva verifica dei requisiti di compatibilità e dalla definizione del procedimento amministrativo e, in assenza di un titolo abilitativi, il giudice della esecuzione ha il dovere di accertare la sussistenza delle seguenti condizioni: riferibilità della istanza di condono edilizio all’immobile di cui alla sentenza:

la legittimazione dell’istante; la procedibilità e la proponibilità della domanda con riferimento alla documentazione; la insussistenza di cause ostative; la eventuale avvenuta emissione di una concessione in sanatoria tacita per congruità della oblazione; l’attuale pendenza della istanza di condono; la non adozione di un provvedimento della PA contrastante con l’ordine di demolizione;

l’avvenuto eventuale rilascio del titolo abilitativi valido ed efficace.

Il decidente evidenzia che nel caso di specie trattasi di opera realizzata in area sottoposta a vincolo paesaggistico, che per la sua consistenza non può non ritenersi ininfluente al fine dell’impatto ambientale, nè ascrivibile alla categoria dei così detti abusi minori: trattasi di opera non condonabile, come ribadito dall’organo procedente che richiama le note acquisite dall’ufficio preposto del Comune di Napoli del 25/2/08, risultando, peraltro, che l’iter procedimentale amministrativo si è concluso con un provvedimento di rigetto per insussistenza dei requisiti di condonabilità e sanatoria dell’opera, di tal che il giudizio di compatibilità è da considerarsi escluso ab origine.

In ogni caso osservasi che quanto sostenuto dalla difesa del prevenuto in ordine all’effetto estintivo del reato, che sarebbe determinato dalla effettuazione dell’oblazione, L. n. 47 del 1985, ex art. 39 è fruito di una non corretta lettura del quadro normativo:

infatti, ai sensi dell’art. 38 della citata legge, in materia di sanatoria edilizia, va escluso che il legislatore abbia inteso comprendere la estinzione della pena e la cessazione della sua esecuzione fra le conseguenze derivanti dalla oblazione intervenuta dopo il giudicato di condanna, come nel caso che ci occupa, in quanto preciso intendimento legislativo è stato quello di limitare la efficacia estintiva del condono edilizio fino alla sentenza definitiva.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che gli effetti del disposto della L. n. 47 del 1985, art. 38 sono limitati e non possono estendersi sino ad incidere sui giudicati già formatisi in quanto la disposizione in esame non contempla alcuna abolitio criminis, mentre, per contro, devesi rilevare, che tutte le volte in cui il legislatore ha inteso introdurre istituti e meccanismi procedurali, aventi la efficacia di intaccare il giudicato, lo ha fatto espressamente, e con specifica disciplina, come negli artt. 671, 672, 673 e 674 c.p.p. (Cass. n. 26291/06).

A riprova di quanto affermato, rilevasi che l’art. 38, citato, al comma 3, regola espressamente il caso in cui la sanatoria intervenga dopo una sentenza definitiva di condanna, stabilendo che "ove nei confronti del richiedente la sanatoria sia intervenuta sentenza definitiva di condanna per i reati previsti dal comma precedente, viene fatta annotazione della oblazione nel casellario giudiziale. In tale caso non si tiene conto della condanna ai fini della applicazione della recidiva e del beneficio della sospensione condizionale della pena".

Su tali basi deve pervenirsi alla conclusione di negare che la oblazione di cui si discute da causa speciale di estinzione del reato possa degradare a causa estintiva della pena o della sua esecuzione, se corrisposta dopo intervenuto il giudicato irrevocabile, atteso che in tale ipotesi l’avvenuta sanatoria comporta la cessazione soltanto di alcuni degli effetti penali della condanna, essendosi esclusa la sua commutabilità ai fini della recidiva e la valutabilità della stessa come precedente ostativo alla concessione della sospensione condizionale della pena (Cass. 1/3/99, n. 3196; Cass. 15/4/09, n. 24665).

Peraltro, appare del tutto evidente che la Corte territoriale ha preso atto della esistenza del vincolo ambientale e delle dimensioni del manufatto che ne escludono la condonabilità per effetto della espressa disposizione della L. n. 326 del 2003, argomentando in maniera corretta ed esaustiva anche con riferimento alla valutazione negativa degli ulteriori parametri che la giurisprudenza di legittimità chiede di verificare, nonchè al già intervenuto rigetto della istanza di condono.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186 della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il S. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, altresì, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.. al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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