Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-03-2011) 19-04-2011, n. 15598 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 29.06.2009 la Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna alle pene della reclusione e della multa inflitte nel giudizio di primo grado a Co.Ro. quale colpevole di avere illecitamente importato e detenuto, al fine di spaccio, ingenti quantitativi di cocaina, di cui kg. 5,400 sequestrati, nonchè a T.F. e C.S. quali colpevoli di avere illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico quattro pistole, con le relative munizioni, aventi matricole abrase e per avere ricevuto le armi quale provento del delitto di abrasione delle matricole.

Riteneva la Corte territoriale che l’esaustiva motivazione della sentenza del GUP non fosse scalfita dalle censure mosse con gli atti d’appello.

Proponevano ricorsi per cassazione gli imputati denunciando:

– Co.: violazione di legge e vizio di motivazione sia sull’affermazione di responsabilità poichè non era stato accertato che egli fosse uno degli interlocutori delle telefonate intercettate;

non erano state individuate le persone che colloquiavano, nè l’oggetto dei loro discorsi sia sulla determinazione della pena in considerazione della modifica normativa di cui alla L. n. 49 del 2006 sia sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità;

– T.: mancanza di motivazione sulla sussistenza del delitto di porto d’armi che erano state rinvenute in una camera ove egli si trovava al momento della perquisizione;

– C.: violazione di legge sull’affermazione di responsabilità sol perchè egli era occasionalmente presente al momento della perquisizione. Egli ignorava la presenza delle armi nella stanza in cui si era trovato col T.. Comunque mancava la prova che egli avesse concorso nel porto delle armi. Aggiungeva che nella determinazione della pena non era stato indicato il reato sul quale stabilire la pena base e quantificare gli aumenti per la continuazione e che non era stata apportata la diminuzione per la scelta del rito abbreviato.

Chiedevano l’annullamento della sentenza.

Il ricorso di Co. è manifestamente infondato.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito riporti compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze negli stessi avanzate.

Il giudice d’appello è libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Nel caso in esame, nel giudizio d’appello è stato ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare la conferma dell’affermazione di responsabilità.

Sono state a tal fine richiamate le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure esposte nei motivi di gravame che sono articolate in fatto e distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali, Co. lamenta che i giudici di merito non abbiano assolto l’obbligo di motivazione ma sostanzialmente propone rilievi, articolati in fatto e giuridicamente erronei, che i predetti hanno già esaminato ritenendoli inidonei a sostenere un giudizio a lui favorevole.

Sono stati riscontrati a suo carico specifici e concreti elementi costituiti da un nutrito numero d’intercettazioni telefoniche in cui sono perfettamente individuati gli interlocutori impegnati in conversazioni nelle quali evidente era riferimento a traffici di sostanze stupefacenti, sicchè correttamente è stato ritenuto provato il suo diretto coinvolgimento nell’acquisto all’estero del rilevante quantitativo di cocaina, che è stato sequestrato.

L’individuazione di solidi elementi probatori a carico dell’imputato e le convincenti confutazioni dei rilievi difensivi rendono incensurabile la decisione di condanna investita da un’inammissibile richiesta di rivisitazione del fatto.

Non è puntuale la censura sulla ritenuta aggravante dell’ingente quantitativo stante l’accertata possibilità di ricavare un numero eccezionale di dosi commerciali di cocaina quantificabile nell’ordine di svariate migliaia, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui "in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la circostanza aggravante della quantità ingente di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 è configurabile quando, suda base di un accertamento che il giudice di merita deve condurre in concreto – indipendentemente dal riferimento a prefissati indici quantitativi, non contemplati dal legislatore – la sostanza sequestrata sia tale da costituire un rilevante pericolo per la salute pubblica, in quanto idonea a soddisfare le esigenze di un numero elevata di tossicodipendenti, senza che rilevi la situazione del mercato e la sua eventuale saturazione, trattandosi di un elemento di difficile valutazione, considerata l’impossibilita di disporre al riguardo di dati certi e verificabili in concreto" (Cassazione Sezione 4^ n. 24571/2010 RV. 247823).

La doglianza sulla determinazione della pena con riferimento alla modifica del minimo edittale del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 introdotta dalla L. n. 26 del 2006 è generica e, comunque, manifestamente infondata stante che la pena inflitta al Co. non era stata fissata nel previgente minimo edittale.

C. si duole di essere stato ingiustamente condannato per i delitti in materia di armi, ma la critica, quanto alla detenzione delle armi clandestine, è sterile perchè punta all’inammissibile rivisitazione dei fatti accertati in sede di merito con motivazione logica ed esauriente fondata sulla constatata sua presenza, unitamente al correo, nella stanza ove le armi e le munizioni erano riposte, occultate sotto un letto, e sulla condotta di fuga assunta al momento dell’irruzione delle forze dell’ordine.

E’, invece, fondato il motivo, proposto da C. e da T., sulla condanna per i reati di porto abusivo delle armi, di cui ai capi n. 4 e 5 dell’imputazione, per la quale la corte territoriale ha soltanto asserito che la disponibilità di armi costituisce prova del porto nell’abitazione in cui sono state rinvenute.

Tale superficiale rilievo, però, non può vale a sostenere un giudizio di condanna occorrendo, a tal fine, l’esame del contesto dell’accadimento del fatto e della posizione di ciascun imputato stante che, si assume, che solo T. aveva la disponibilità dell’appartamento.

Ne consegue che, sul punto, la sentenza sostanzialmente non è motivata donde il consequenziale annullamento con rinvio per nuovo esame anche per l’eventuale rideterminazione della pena.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di T. F. e di C.S. limitatamente ai reati di porto illegale di armi e di munizioni capi n. 4 e 5 della rubrica con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Rigetta nel resto il ricorso del C..

Dichiara inammissibile il ricorso di Co.Ro. che condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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