Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-07-2011, n. 15519 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Secondo quanto si riferisce nella sentenza impugnata Bi.

G., B.V., B.G., B.L., B.T. ed B.E., proprietari della p.ra. 1 della particella p. ed. 25 CC Carzano, convenivano in giudizio dinanzi al Pretore di Borgo Valsugana Fiorello e C.R., T.A., A.A., nonchè Ci., G., S., C. ed C.E. proprietari delle finitime pp. mm. 2 e 3 della p. ed. 2 3 C.C. Carzano e comproprietari, unitamente agli attori, dell’antistante p.f. 27/1 C.C. Carzano perchè fosse accertato a loro favore, l’acquisto per usucapione della proprietà della terrazza e del sottostante ripostiglio eretti dal loro padre B.G. sulla particella p.f. 27/1, nonchè fosse dichiarata la p.m. della particella p. ed 25 gravata da servitù di passo lungo la scala di accesso alla terrazza e sulla terrazza medesima, per una larghezza di mt. 1 lungo il muro della casa, a favore delle porzioni immobiliari di proprietà dei convenuti.

Si costituivano in giudizio C.R., T.A. e A.A. i quali chiedevano il rigetto della domanda proposta dagli attori e, in via riconvenzionale, che fosse accertata l’illegittimità della costruzione per violazione delle distanze legali.

Il Pretore dichiarava l’usucapione soltanto del ripostiglio, rigettando le altre domande rispettivamente proposte.

Il Tribunale, nell’accogliere parzialmente l’impugnazione incidentale proposta dai convenuti, condannava gli attori ad arretrare la costruzione usucapita, in quanto eretta in violazione delle distanze legali di cui all’art. 873 cod. civ., confermando nel resto la decisione di primo grado laddove aveva fra l’altro escluso l’usucapione della terrazza soprastante il ripostiglio: nel disattendere l’eccezione di novità della domanda di arretramento per violazione delle distanze legali, formulata dagli attori – secondo i quali tale domanda sarebbe stata avanzata soltanto con l’appello incidentale – la sentenza rilevava che la stessa era stata, seppure implicitamente, proposta con la domanda riconvenzionale di primo grado, mentre riteneva non riproposta in appello dagli attori l’eccezione di prescrizione del diritto dei convenuti all’abbattimento.

Avverso la sentenza del Tribunale gli attori proponevano ricorso per cassazione, che era accolto relativamente al motivo con cui era stata censurata la condanna all’arretramento del manufatto per violazione delle distanze legali.

Secondo la Suprema Corte non era stata compiuta alcuna verifica in merito alla localizzazione degli immobili e non era stato tenuto conto del principio secondo cui l’usucapione della proprietà di un fabbricato costruito a distanza illegale comporta altresì l’acquisto del diritto di servitù a mantenerlo a distanza inferiore a quella prescritta; erano invece dichiarati assorbiti i motivi con cui era stata censurata la sentenza laddove aveva ritenuto ammissibile la domanda di ripristino per violazione delle distanze legali e inammissibile l’eccezione di prescrizione del diritto al ripristino.

Con sentenza del 20 gennaio 2005 il Tribunale di Rovereto, quale giudice di rinvio, davanti al quale la causa era riassunta, accoglieva in parte l’appello incidentale proposto dai convenuti, condannando gli attori ad arretrare la terrazza e i relativi pilastri di sostegno sovrastanti il ripostiglio.

Per quel che interessa nella presente sede, i Giudici di appello ritenevano che; non era domanda nuova quella con cui i convenuti, riducendo l’originaria richiesta, avevano limitato il petitum alla demolizione soltanto della terrazza e non anche del sottostante ripostiglio; si era formato il giudicato sulla circostanza che la proprietà del ripostiglio era stata usucapita dagli attori e che la terrazza era in comproprietà fra le parti.

La domanda di riduzione in pristino del ripostiglio doveva essere rigettata a stregua del principio soprarichiamato statuito dalla Suprema Corte.

Diversamente doveva ritenersi circa la terrazza soprastante, in quanto la realizzazione a distanza illegale dal fondo dei convenuti comportava la creazione di una servitù illegittimamente costituita contro la volontà dei titolari del fondo servente, i quali avevano esercitato l’actio negatoria servitutis: d’altra parte gli attori, non avendo usucapito la proprietà della terrazza, non avevano neanche acquistato il diritto di mantenere a distanza illegale la costruzione nè avevano mai proposto domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione di tale servitù a favore del fondo in comproprietà. 2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione Bi.

G., B.V., B.G., B.L., B.T. ed B.E. sulla base di quattro motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso C.R., T.A. e A.A..
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345, 394 con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ. nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano la decisione gravata che non aveva dichiarato inammissibili, perchè nuove – in quanto basate su presupposti di fatto del tutto diversi – le domande formulate con l’appello incidentale e in sede di giudizio di rinvio, laddove era stata chiesta per la prima volta la demolizione della terrazza per t violazione delle distanze legali quando nel giudizio di primo grado era stato chiesta la demolizione dell’intero manufatto perchè realizzato su terreno consortale e non usucapito: in sostanza la demolizione era stata chiesta e accolta per motivi diversi da quelli posti a base dell’originaria domanda. 1.1. Il motivo è infondato.

Occorre premettere che nel caso di cassazione con rinvio la questione dichiarata assorbita dalla Suprema Corte intanto può essere esaminata dal giudice davanti al quale la causa è riassunta ai sensi dell’art. 392 cod. proc. civ., in quanto sia espressamente riproposta in tale sede; pertanto, incorre nel vizio di omessa pronuncia la sentenza emessa dal giudice di rinvio che non decida sulla questione che sia stata dichiarata assorbita dalla sentenza di cassazione, solo quando tale questione sia ad esso espressamente riproposta, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo delle domande, eccezioni e delle deduzioni in precedenza proposte.

In virtù del principio di autosufficienza del ricordo per cassazione, sarebbe stato onere dei ricorrenti allegare e dimostrare di avere espressamente riproposto in sede di giudizio di rinvio la questione in esame (che non risulta in alcun modo trattata dalla sentenza impugnata): tale onere non è stato ottemperato.

La mancata riproposizione dinanzi al giudice di rinvio della questione sollevata con il ricorso per cassazione e dichiarata assorbita dalla Suprema Corte comporta il passaggio in cosa giudicata della relativa statuizione emessa dal giudice di merito: nella specie, deve ritenersi ormai coperta dal giudicato l’affermazione del Tribunale di Trento che aveva ritenuto che la domanda di ripristino per violazione delle distanze legali era stata già proposta nel giudizio di primo grado.

Correttamente, d’altra pare, è stato ritenuto che la mera riduzione della domanda, formulata in sede di rinvio, non poteva costituire domanda nuova, dovendo qui ricordarsi che si configura il vizio di ultrapetizione o extrapetizione quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione ("petitum" e "causa petendi") e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ("petitum" immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ("petitum" mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato: il che nella specie,come si è detto,non si è verificato.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 356 cod. proc. civ., nel testo anteriore alla novella di cui alla L. n. 353 del 1990, e 112 cod. proc. civ., deduce che, a seguito di eccezione di essi ricorrenti, il Giudice istruttore della causa di rinvio aveva fatto sciogliere dal Collegio la riserva dal medesimo assunta, senza che della questione fosse stato investito il Collegio con la trasmissione del fascicolo e la precisazione delle conclusioni : il fascicolo era passato al Collegio senza che le parti ne avessero avuto conoscenza e senza che le medesime avessero potuto prendere posizione sulle questioni decise: su tale eccezione il giudice di rinvio aveva omesso di pronunciarsi.

2.1. Il motivo va disatteso.

Va innanzitutto chiarito che, secondo il rito anteriore alla modifica di cui alla novella introdotta dalla L. n. 353 del 1990, qualora il giudice istruttore rimetta la causa al Collegio per la decisione sull’ammissione di un mezzo di prova, non è previsto che le parti debbano essere invitate a precisare le conclusioni, tenuto conto di quanto è, invece, disposto dall’art. 189 cod. proc. civ. (comma 1) che al riguardo contempla le ipotesi di cui agli artt. 187 e 188 cod. proc. civ., stabilendo altresì (comma 2) che in tali casi il Collegio è comunque investito anche del merito della intera causa (che potrebbe decidere): il che si verifica, oltrechè nelle ipotesi in cui la causa sia matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova ( art. 187 cod. proc. civ., comma 1) o l’istruttoria sia stata completata ( art. 188 cod. proc. civ.), anche quando il Collegio è investito della decisione di una questione di carattere preliminare o pregiudiziale (citato art. 187, commi 2 e 3).

Nell’ipotesi in cui sia investito della decisione in ordine alle richieste istruttorie, il Collegio decide in base alle richieste e deduzioni verbalizzate dinanzi all’istruttore, senza che sia necessario invitare le parti a precisare le conclusioni. D’altra parte, il provvedimento con il quale il giudice di appello abbia disposto l’assunzione di mezzi di prova ha carattere ordinatorio sia sotto il profilo formale che sostanziale e non è idoneo a pregiudicare la decisione della causa, essendo sempre modificabile o revocabile anche attraverso la successiva decisione di merito.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 346 e 122 cod. proc. civ. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano la sentenza impugnata laddove non si era pronunciata sulla eccezione di prescrizione del diritto al ripristino che il Tribunale di Trento aveva erroneamente ritenuto non riproposta nel giudizio di gravame, quando invece avevano dimostrato con le deduzioni ed eccezioni formulate la volontà di provocarne l’esame: la questione, oggetto del ricorso per cassazione, era stata dichiarata assorbita dalla Cassazione e avrebbe dovuto essere esaminata dal giudice di rinvio.

3.1. Il motivo va disatteso.

Il denunciato vizio di omessa pronuncia è insussistente. La sentenza impugnata ha rilevato che -in relazione alla domanda riconvenzionale di negatoria servitutis proposta dai convenuti per il rispetto delle distanze legali, gli attori non avevano usucapito la proprietà della terrazza nè il diritto di servitù di tenere a distanza illegale la costruzione, così implicitamente escludendo che potesse essere maturata la prescrizione del diritto di chiedere il ripristino.

Qui occorre ricordare che l’azione per ottenere il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo, essendo imprescrittibile, salvo gli effetti dell’eventuale usucapione, la quale da luogo all’acquisto del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale: dunque la eccezione di prescrizione (acquisitiva; poteva assumere rilevanza esclusivamente sotto il profilo dell’acquisto da parte degli attori dell’usucapione del diritto di servitù, che come si è detto, è stato escluso dalla sentenza impugnata.

4. Con il quarto primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 e cod. civ., art. 112 cod. proc. civ., nonchè omessa, carente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano in subordine la decisione gravata che aveva recepito acriticamente le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio che si era peraltro limitata ad applicare le distanze di cui all’art. 873 citato senza tenere conto che a tal fine vanno considerati soltanto quei manufatti che possano ritenersi costruzione: tale non potevano considerarsi i pilastri con funzione architettonica e che non reggevano la terrazza, la quale d’altra parte, secondo quanto riferito dallo steso consulente, era a distanza di tre metri dall’edificio p. ed. 23, mentre non era stato considerato che la stessa era in aderenza all’edificio di cui alla part. 25. Deducono ancora che erroneamente erano state calcolate le distanze.

4.1. La censura va disattesa.

Il motivo difetta di autosufficienza, in quanto non sono stati trascritti i passi salenti della consulenza tecnica d’ufficio, tenuto conto che viene censurata la sentenza impugnata che aveva fatto proprie le risultanze della consulenza, senza peraltro tenere conto di quanto era emerso dalla stessa relazione dell’ausiliare; sono altresì denunciati gli errori compiuti dal consulente circa le modalità di calcolo delle distanze : l’omessa trascrizione non consente alla Corte di verificare la decisività o meno delle censure. Ed invero premesso che le doglianze, censurando in sostanza gli accertamenti dei fatti posti a base della decisione – che sono insindacabili in sede di legittimità se non per il vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 – si risolvono nella denuncia del vizio di motivazione, occorre ricordare che, in relazione al vizio di motivazione per omesso o erroneo esame di un documento, di una prova o della consulenza tecnica d’ufficio o di parte, il ricorrente ha l’onere, a pena di inanimissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento o la prova nella sua integrità ovvero i passi salienti della consulenza tecnica in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura(Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove essi fossero stati presi in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dei resistenti costituiti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

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