Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-03-2011) 19-04-2011, n. 15588

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Avola, con sentenza del 3/12/09, dichiarava P.F. responsabile del reato di cui alla L. n. 963 del 1965, art. 15, lett. d), perchè effettuava la pesca dei polpi stordendoli a mezzo di soluzione contenente varechina, e lo condannava alla pena di Euro 2.000.00 di ammenda.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– il Tribunale ha affermato la colpevolezza dell’imputato in mancanza di prova dell’uso di sostanze tossiche da parte di esso nell’esercizio della attività di pesca;

– si contesta la entità della pena, non contenuta nel minimo edittale, nonchè il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione motivazionale, adottata dal giudice di merito, si rivela del tutto logica e corretta.

Il Tribunale, a fronte delle risultanze dibattimentali, a giusta ragione, ha ritenuto di potere affermare la colpevolezza del prevenuto in ordine al reato ad esso ascritto: l’attestazione dell’AUSL (OMISSIS) di Siracusa, con cui si da atto della determinazione di distruggere il pescato perchè probabilmente contaminato; le dichiarazioni degli agenti che hanno proceduto all’accertamento, i quali hanno dichiarato di avere accertato in sede di controllo che il P. esercitava la pesca senza autorizzazione, era in possesso di circa 15 chili di polipi e deteneva due contenitori, uno contenente ammoniaca, e, l’altro, una soluzione acquosa, presumibilmente varechina.

Peraltro con il primo motivo di ricorso si tende a procedere ad una rivisitazione in fatto delle emergenze istruttorie, la cui rianalisi estimativa resta preclusa in sede di legittimità: esula, infatti dai poteri del giudice di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito.

Osservasi che il sindacato di legittimità sul vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione è circoscritto al riscontro di un logico discorso giustificativo sui punti della decisione impugnata, perchè il legislatore non ha previsto la verifica della adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il proprio convincimento, nè la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Di conseguenza, il compito di questa Corte non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dal giudice di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se detto decidente abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Inoltre, come risulta dal chiaro dettato dell’art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio motivazionale deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che detto testo è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e non già opporre alla logica vantazione degli atti, effettuata dal giudice di merito, una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (ex plurimis Cass. 6/5/03, Curcillo).

Del pari infondate si palesano le censure attinenti alla entità della pena e alla mancala concessione della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 in quanto generiche, non essendo indicate specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto a sostegno delle stesse. Peraltro, sul punto, il decidente ha richiamato la incensuratezza dell’imputato in correlato all’effettivo disvalore del fatto, ritenendo di concedere le attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., nonchè i criteri di cui all’art. 133 c.p., in relazione alla dosimetria del trattamento sanzionatorio, ed ha considerato, implicitamente, di non potere applicare la invocata attenuante del danno di lieve entità.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *