Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-02-2011) 19-04-2011, n. 15584 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.R. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza emessa in data 29 ottobre 2008 dal tribunale di Spoleto, riduceva la pena inflitta ad anni due di reclusione, disponendone la sospensione condizionale, nonchè la somma liquidata titolo di risarcimento danni in favore di B.M., Be.Ma. ed E.A.; revocava la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e disponeva l’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela.

Il ricorrente, carabiniere all’epoca dei fatti, era stato condannato in primo grado per il reato previsto punito dall’art. 61 c.p., n. 5, artt. 609 bis e septies c.p. per avere proceduto a palpeggiamenti nei confronti di B.M., minore di anni 15, mentre la stessa si trovava all’interno della sua autovettura. Reato commesso in (OMISSIS); denunce querele del 28 novembre e del 2 dicembre 2004.

Deduce in questa sede il ricorrente:

1) violazione dell’art. 120 c.p., artt. 336 e 337 c.p.p., art. 333 c.p.p., comma 2, art. 609 bis c.p., art. 529 c.p.p.. Al riguardo si censura l’irregolarità della querela del 28 novembre 2004 in quanto sporta dalla minore in presenza dei genitori e del legale, facendosi al riguardo rilevare che la querela configura un atto giuridico negoziale unilaterale e non collegiale.

Si evidenzia inoltre che l’invalidità non poteva essere nemmeno superata dalla successiva querela sporta in data 2 dicembre 2004 dai genitori della ragazza in quanto, avendo la figlia quell’epoca compiuto i 15 anni, non avevano diritto di presentare la querela stessa per conto di quest’ultima.

2) Violazione falsa applicazione dell’art. 609 bis c.p. art. 192 c.p. e ss.; art. 546, lett. e); art. 530 c.p.p. non potendo ritenersi raggiunta la prova dell’asserita violenza. Si rileva al riguardo che erroneamente l’attendibilità delle dichiarazioni della minore è stata compiuta con riferimento esclusivo alla intrinseca coerenza interna del racconto e che non potevano costituire valido di motivo di riscontro le dichiarazioni rese dai genitori di quest’ultima e dagli amici considerando le numerose discordanze di esse. Si aggiunge che la corte d’appello non aveva tenuto conto dei risultati dell’istruttoria dibattimentale che avevano dimostrato come le attenzioni del P. erano in realtà legate ad una indagine per fatti di droga; che la ragazza fu regolarmente riaccompagnata al locale; che il padre fu subito avvertito e che incredibilmente aveva negato di essere stato contattato il giorno dopo dal carabiniere;

che, infine, era stato comunque avvertito dello svolgimento delle indagini per droga anche il comandante della stazione. Per contro si confuta che gli elementi posti dalla corte di appello alla base della declaratoria di responsabilità possano assurgere al rango di gravi, precisi e concordanti indizi sulla condotta di violenza e si afferma che la stessa ragazza aveva descritto in maniera contrastante le modalità degli asseriti palpeggiamenti e che aveva dimostrato di non ricordare nemmeno altri significativi particolari non avendo saputo precisare se fu chiusa in sicurezza la macchina durante il tragitto o se vi fossero lavori in corso sulla strada, nè se vi fosse stato l’arresto dell’autovettura in occasione di una inversione di marcia.

3) violazione degli artt. 538, 539 e 541; dell’art. 192 c.p.p.; art. 2059 c.c. e art. 185 c.p. in ordine alla liquidazione del danno, asserendosi che la liquidazione stessa è avvenuta in maniera iperbolica, senza alcuna giustificazione e che la riduzione operata dai giudici di appello non appare comunque congrua non essendovi la prova nè del perturbamento nè della sua entità sulla ragazza e sui genitori tant’è che la stessa ragazza si era recata il giorno dopo al locale in cui era stata avvicinata dall’imputato ed il padre aveva invece rassicurato nel corso della telefonata avvenuta il giorno successivo il carabiniere dicendogli di non preoccuparsi perchè non era successo niente; anche se poi aveva incredibilmente negato la telefonata. Non si ritiene decisiva in tale contesto la circostanza evidenziata dalla corte di merito che la ragazza era scoppiata a piangere durante l’esame dibattimentale e si rileva, infine, che il padre della ragazza era a sua volta implicato in un procedimento penale per violenza ad un ragazzo minorenne. A tal proposito si censura anche la corte di appello per avere inopinatamente rigettato la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale per acquisire gli atti di quel procedimento.

Le parti civili, intervenuta in data odierna, hanno concluso per la conferma della sentenza.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Il primo motivo, come rilevato dal procuratore generale della Corte, si risolve nella reiterazione della eccezione già formulata dinanzi ai giudici di appello e peraltro correttamente respinta dalla stessa corte di merito.

La corte di merito, infatti, ha già rilevato che la presenza dei genitori in data 28 novembre 2004, così come quella dell’avvocato Teglia, non abbiano avuto alcuna incidenza sulla volontà della minore di sporgere querela, sostanziandosi unicamente in una assistenza morale – per quanto riguarda il genitori – e tecnico legale per quanto riguarda il difensore alla minore, ragion per cui non può in alcun modo ritenersi vulnerato il principio della personalità del diritto di querela.

Va per contro ricordato come l’art. 609 decies cod. pen. per i reati di violenza sessuale stabilisca in linea di principio che debba essere assicurata alla persona offesa minorenne in ogni stato e grado del procedimento l’assistenza affettiva psicologica attraverso la presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dalla stessa minorenne e che tale disposizione non può non valere, per l’interesse che persegue, nel caso in cui la minore, come nella specie, si sia rivolta ai carabinieri per denunciare l’accaduto e sporgere querela.

Del pari correttamente è stata rilevata la superfluità della successiva querela del 2 dicembre 2004 da parte dei genitori, stante la regolarità del primo atto.

Il secondo motivo si pone ai limiti dell’inammissibilità.

Correttamente, infatti, i giudici di appello hanno vagliato l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa confrontandole con la coerenza del narrato, l’assenza di contraddizioni, nonchè con il rilievo della sostanziale concordanza delle circostanze riferite dalla minore stessa nella querela e nel corso del dibattimento.

I giudici d’appello hanno espressamente escluso l’esistenza di contraddizioni e/o incongruenze nel racconto esaminando i particolari evidenziati dall’appellante.

Appaiono logicamente valutati la telefonata della ragazza al padre, lo sviluppo degli accadimenti e vengono correttamente indicate le ragioni per le quali non poteva trovare accoglimento la versione dell’imputato il quale si è sempre difeso negando gli approcci sessuali e giustificando invece l’invito a salire sulla propria autovettura formulato alla minore in ragione della necessità di acclarare circostanze utili ad una indagine per droga stante una informazione confidenziale secondo cui la B. sarebbe stata in possesso di "roba buona".

Al riguardo si valorizzano logicamente il racconto dei ragazzi che avevano assistito alla richiesta dell’imputato di far salire la minore sulla propria autovettura e che avevano concordato nel ritenere insolito l’invito stesso, nonchè la deposizione del maresciallo Palazzo che ha riferito della irritualità della condotta del carabiniere, peraltro in licenza ordinaria la sera in cui si erano svolti i fatti, e che ha comunque escluso di essere stato avvisato preventivamente dell’operazione.

Logicamente si rileva in motivazione che nessun riscontro alla tesi sostenuta dall’imputato è venuto dalla successiva perquisizione in quanto la B. non è stata trovata in possesso di droga.

Nessun elemento decisivo appare pertanto trascurato di motivazione.

Nè in questa sede può essere sollecitata una diversa valutazione degli elementi di prova, indipendentemente dalla plausibilità della diversa prospettazione, essendo precluso in sede di legittimità l’esame del merito in presenza di motivazione correttamente supportata anche sul piano logico da parte del giudice di merito.

Neanche il terzo motivo può essere infine accolto.

La quantificazione del danno risulta già ridotta dalla corte di appello.

Non può, tuttavia, negarsi in assoluto il turbamento psichico della minore per l’accaduto e si appalesa logica la deduzione dei giudici di appello che valorizzano al riguardo la sofferenza mostrata dalla B. nel raccontare l’episodio in dibattimento e che non hanno ritenuto decisiva la circostanza che la ragazza si sia nuovamente recata il giorno successivo presso il locale nel quale il giorno precedente aveva incontrato il P..

Anche il danno morale patito dai genitori risulta adeguatamente motivato e non possono essere sollecitate in proposito valutazioni di merito.

Quanto al dedotto coinvolgimento del padre in episodi di violenza sessuale non consta in realtà alcun accertamento definitivo al riguardo per cui correttamente i giudici di appello hanno soprasseduto all’acquisizione dell’art. di stampa o ad atti del procedimento penale in corso per quei fatti.

Alla conferma della decisione di appello consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili B.M., Be.Ma. ed E.A., complessivamente liquidate in Euro 3000 oltre accessori di legge.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso che condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla diffusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili complessivamente liquidate in Euro 3000 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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