Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-07-2011, n. 15503

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 9.4.1993 H.R., stando alla sentenza impugnata, conveniva in giudizio davanti al tribunale di Bolzano i fratelli H. e P.F., esponendo che, " in virtù di convenzione verbale tra lui ed il genitore dei convenuti, P. F., deceduto senza che con lui o con gli eredi venisse perfezionato l’atto di compravendita, aveva acquistato il possesso di una striscia di terreno – p.f. 323/3 C.C. (OMISSIS), già pp.ff.

324/1 e 323/2" , poi modificata, già confinante con la propria abitazione e relativa area ed il fondo del promittente venditore, che glielo aveva appunto promesso in vendita; che egli aveva quindi spostato il confine mediante la costruzione di uno steccato ed essendosi protratto il possesso pacificamente e pubblicamente per oltre venti anni, ne rivendicava la proprietà. Si costituiva solo H.F. eccependo che gli eredi avevano solo tollerato la detenzione ed in diverse occasioni avevano chiesto il rilascio del terreno, trovando a ciò l’attore favorevole ed, anche a interpretare la missiva del 7 gennaio 1979, loro trasmessa dall’attore, con la quale ribadiva la proposta di acquisto, come atto idoneo alla estrinsecazione della volontà di possesso, non era decorso il ventennio per l’usucapione.

Con sentenza 21.3.1997 il Tribunale di Bolzano, assunti testi ed espletata ctu, rigettava la domanda, accolta invece dalla Corte di appello di quella città, con sentenza del 18.11. 1998, cassata da questa Suprema Corte con sentenza n. 19721/03 che, in relazione alla richiamata convenzione, deduceva occorresse distinguere se la stessa si configuri come contratto ad effetti reali o obbligatori e, quindi escludere, nell’ipotesi in cui il godimento dell’immobile sia stato disposto con apposita clausola del preliminare, la disponibilità come esplicazione del possesso ad usucapionem, essendo il preliminare contratto ad effetti obbligatori e non reali.

La causa, veniva riassunta da F.H. in Z. nei confronti di R.H. e P.F., quest’ultimo rimaneva contumace, e la Corte di appello di Trento, con sentenza n. 87/05, respingeva l’appello avverso la sentenza del Tribunale che confermava, regolando le spese ed osservando che mai il R. era stato in una situazione di possesso, ciò sulla scorta delle testimonianze, avendo semplicemente detenuto senza che sia stata acquisita la prova dell’interversione. Ricorre R.H. con due motivi, resiste F.H. in Z.. Le parti hanno presentato memorie ed il ricorrente nota di replica alle conclusioni del P.G..
Motivi della decisione

Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 384 c.p.c., e di ogni altra norma in tema di applicazione del principio enunciato dalla Corte di Cassazione ed omessa applicazione di tale principio, avendo la S.C. cassato la sentenza della Corte di appello di Bolzano per avere affermato il possesso del R. in base ad un non corretto accertamento dell’elemento psicologico.

Il Giudice di rinvio ha omesso di verificare la reale natura della convenzione e non ha speso alcuna parola sul titolo, limitandosi a riferire delle testimonianze.

Col secondo motivo si lamentano violazione degli artt. 1140, 1141, 1158 c.c. e di ogni altra norma in tema di possesso ad usucapionem, vizi di motivazione, avendo la S.C. dato per scontato che l’accordo verbale includeva un patto accessorio che prevedeva il godimento, con immediato effetto traslativo del possesso.

Le censure non meritano accoglimento.

La sentenza di questa Suprema Corte n. 19721/03, premesso che, "al fine di stabilire se, in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile, si abbia un possesso idoneo all’usucapione, ovvero una mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso, a tal fine dovendosi distinguere se la convenzione si configuri come contratto ad effetti reali o obbligatori, solo nel primo caso potendosi il contratto ritenere idoneo a determinare nell’indicato soggetto l’animus possidendi ; deve pertanto escludersi che, nell’ipotesi in cui il godimento dell’immobile sia stato disposto nei confronti del promissario acquirente con apposita clausola del contratto preliminare, la disponibilità del bene da parte di quest’ultimo possa valere come esplicazione del possesso ad usucapionem, essendo il preliminare un contratto ad effetti obbligatori e non reali", ha rilevato:

"Orbene la Corte di appello ha osservato quanto segue: 1) R. possiede da oltre venti anni il tratto di terreno; 2) i convenuti avevano addotto una mera tolleranza, senza però dare la prova dell’assunto; 3)l’allora attore si era comportato "uti dominus, senza alcuna contestazione, tanto che aveva costruito uno steccato con fondamenta in calcestruzzo; 4)perciò tali elementi costituiscono i necessari presupposti per la maturazione dell’usucapione, e quindi consentono la declaratoria di trasferimento della proprietà della striscia di terreno in capo all’attuale resistente.

Si tratta però di rilievi non decisivi.

Ed invero, oltre a quanto già precisato con richiamo alla sentenza n. 7142/2000, la Corte di merito non ha tenuto conto del fatto che i testimoni esaminati, e precisamente M.D., M.F., Z.Z. e I.R., quest’ultima moglie di R., avevano dichiarato che più volte i proprietari, eredi della parte defunta, avevano rivendicato il rilascio del bene in varie occasioni, e che la controparte aveva riconosciuto il loro diritto a riottenere la disponibilità del tratto di terreno di che trattasi.

Quindi non risulta affatto presunto il dedotto possesso, piuttosto che la detenzione del bene eccepita con forza da F., per la quale, ai fini dell’usucapione, era invece necessaria l’interversione del possesso. La sentenza impugnata è quindi censurabile sia per avere affermato il possesso di R. in base alle opere dallo stesso realizzate sul terreno, sia per avere posto a carico della ricorrente l’onere della prova dell’interversione, che incombeva invece sull’allora attore. Su tali punti dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.

Ne deriva che essa va cassata con rinvio".

La sentenza, a seguito del rinvio, come dedotto, ha escluso il possesso, l’interversione e la maturazione del termine per usucapire, applicando correttamente la decisione della Suprema Corte e consolidati principi.

In particolare in ordine al primo motivo va osservato che la sentenza d’annullamento non ha affatto imputato alla sentenza annullata d’aver erroneamente accertato l’elemento psicologico in base ad emergenze istruttorie "astrattamente" inidonee, bensì di aver preso in considerazione emergenze istruttorie "specificamente" inidonee in rapporto all’affermato principio di diritto per cui la consegna del bene a seguito di contratto preliminare attribuisce la mera detenzione evolvibile in possesso solo attraverso interversione la cui prova è a carico di chi l’invoca.

Il giudice di rinvio, premesso il detto principio, sul fatto pacifico che il titolo dell’immissione nella disponibilità del bene fosse un contratto preliminare, quindi attributivo della semplice detenzione, e rivisitate le risultanze istruttorie, ha rilevato il difetto di prova dell’interversione, e ad abundantiam anche la prova contraria dell’espresso riconoscimento della proprietà altrui, così necessariamente pervenendo alla pronunzia di rigetto della domanda d’usucapione.

In ordine al secondo motivo va dedotto che è imperniato sulla tesi che dovesse essere accertato se il contratto del 1970 avesse natura reale od obbligatoria e se con l’immissione nella disponibilità del bene si fosse trasmesso il possesso piuttosto che la detenzione, ma tale presupposto è infondato e con esso il motivo, in quanto la sentenza d’annullamento aveva già accertato trattarsi di contratto preliminare e, quindi, attributivo della sola detenzione del bene consegnato, in conformità alla giurisprudenza all’epoca più accreditata, recentemente confermata dalle SS.UU. di questa Corte in sede di risoluzione del contrasto (sent. 27.3.08 n. 7930, conforme 1.3.10 n. 4863); per il che il giudice di rinvio non doveva affatto porsi il problema d’individuare la natura degli effetti del contratto ed adeguare a tale accertamento le ulteriori valutazioni, in quanto, così facendo, avrebbe violato il principio di diritto enunciato dalla sentenza d’annullamento sulla base di tale già effettuata individuazione ed, ove fosse in ipotesi pervenuta ad affermare la natura possessoria della conseguita materiale disponibilità del bene, sarebbe incorsa altresì in palese errore di diritto.

In ogni caso va osservato che per la configurabilità del possesso "ad usucapionem", è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno "ius in re aliena" (ex plurimis" Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).

Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454), ove, come nel caso, sia congniamente logica e giuridicamente corretta.

In ogni caso, appare decisiva la circostanza, per nulla smentita dalla prova testimoniale, che l’iniziale detenzione non ha dato luogo, nel tempo, ad interversione del possesso.

Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222).

La domanda di usucapione è stata correttamente disattesa, come dedotto, in riferimento alla mancanza del fatto "possesso" posto che la consegna del bene da luogo a mera detenzione presupponendo un "comodato", come dalla citata decisione delle S.U. 27 marzo 2008 n. 7930.

In senso conforme cfr. Cass. 1.3.2010 n. 4863 che fa salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis, nella specie non avvenuta.

In ogni caso il ricorrente da una errata lettura della sentenza della Suprema Corte e lamenta la mancata considerazione del titolo, senza tenere conto che un accordo verbale non può dar luogo ad effetti traslativi di un possesso giuridicamente rilevanti.

In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3200, di cui 3000 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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