Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-01-2011) 19-04-2011, n. 15618 Responsabilità penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

li Antonio e Avv. Abate Salvatore del foro di Lecce.
Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Prato ha ritenuto S.G.A. responsabile del reato di cui all’art. 590 c.p. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena di due mesi di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore dell’infortunato, cui assegnava una provvisionale di 50000,00 Euro.

2. La Corte di appello ha confermato la sentenza.

3. L’incidente per cui è processo si verificava il 18.9.2004, allorchè G.A., mentre lavorava come cameriere nel ristorante "(OMISSIS)" della società Artimino, di cui S. era legale rappresentante e delegato alla sicurezza, utilizzava dell’alcool per accendere delle fiaccole per l’illuminazione dei giardini della villa che il personale della Artimino stava allestendo per un ricevimento; a causa di un ritorno di fiamma, la bottiglia di alcool che G. aveva in mano esplodeva e il medesimo riportava ustioni di primo e secondo grado per circa il 35% della superficie corporea.

4. Secondo il primo giudice la responsabilità del S. emergeva dalle deposizioni testimoniali rese dalla persona offesa e dal teste So., secondo le quali l’alcool era utilizzato abitualmente nell’operazione "de quo"; So. era stato assunto da poco e lavorava ancora in nero, tanto che in un primo momento si era cercato di nascondere la natura di infortunio sul lavoro dell’incidente; inattendibili dovevano invece ritenersi le contrarie affermazioni dei testi della difesa, variamente interessati ad allontanare dalla società ed anche da sè medesimi eventuali responsabilità; rilevava altresì il giudice che il documento per le procedure di sicurezza stilato dalla società Artimino e consegnato ai dipendenti, non poneva alcun divieto di utilizzare un tale, pericoloso, mezzo di accensione.

5. Il giudice di appello aggiungeva che non poteva darsi credito a quanto sostenuto dall’imputato, secondo cui a tutti i dipendenti, e quindi anche a G., veniva fornito all’atto dell’assunzione un documento antinfortunistico con le istruzioni da seguire per l’accensione delle fiaccole; la consegna di tale documento era infatti solitamente controfirmata dai dipendenti, ma la firma di G. mancava; le istruzioni contenute nel documento in questione erano comunque in ogni caso insufficienti in quanto non prevedevano il divieto di usare l’alcool per l’accensione delle fiaccole.

6. Ricorre per cassazione il difensore del S. deducendo con un primo motivo il vizio di difetto di motivazione sotto l’aspetto della mancata valutazione di prove emerse nel giudizio e del travisamento dei fatti; secondo il ricorrente, G. avrebbe deciso autonomamente di usare l’alcool, e non, come ritenuto dai giudici di merito, su indicazione di colleghi; sua pertanto era l’intera responsabilità dell’incidente; il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia invece ritenuto responsabile l’imputato basandosi sulla deposizione della persona offesa e trascurando le censure svolte in merito alla sua credibilità; si è trascurato il contrasto tra le dichiarazioni dallo stesso rese in giudizio e nelle fasi precedenti e che il medesimo aveva ammesso di aver mentito nelle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ritenendo di non aver l’obbligo di dire la verità; ci si lamenta della omessa valutazione della deposizione resa da N.A. che aveva escluso l’uso dell’alcol per l’accensione delle fiaccole e di quelle rese da P., Gu., L., O. e So.. Si sostiene inoltre la illogicità della motivazione circa la consegna del documento contenente le procedure operative e di sicurezza; la mancanza di firma del G. non poteva ritenersi prova certa della mancata consegna del documento dal momento che tutti i testi avevano dichiarato che le istruzioni venivano date anche oralmente ed in particolare So. aveva dichiarato che erano state loro consegnate. Ci si duole della inutilizzabilità delle dichiarazioni sottoscritte da P. due mesi prima del processo, in cui aveva ammesso che il superiore N. gli aveva dato ordine, come pure a G., di usare l’alcool.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su censure che non tengono conto della motivazione della sentenza impugnata.

La Corte di appello infatti, dopo aver dato atto della forte animosità che sussisteva tra le parti e della difformità delle loro dichiarazioni circa la corretta formazione dei dipendenti ed in particolare di G., tanto che il giudice di primo grado aveva trasmesso gli atti all’ufficio del pubblico ministero per eventuali reati di falso, ha fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato su una circostanza pacificamente accertata nel procedimento e cioè sul fatto che, come riconosciuto sia dall’imputato che dai testi, tutti i dipendenti ricevevano, all’atto della assunzione, un apposito documento in cui erano contenute le prescrizioni circa l’accensione delle fiaccole; era stato prodotto in giudizio dallo stesso imputato il verbale di consegna recante le firme di tutti i dipendenti; mancava però la firma di G., circostanza che corroborava la dichiarazione resa dal medesimo secondo cui a lui tale documento non era mai stato consegnato. Su tale base la Corte ha ritenuto positivamente accertato che l’imputato era venuto meno all’obbligo di formazione e informazione nei confronti del proprio dipendente, non senza rilevare che le istruzioni contenute nel predetto documento erano comunque generiche e pertanto tali da non fornire una corretta informazione specie su una pratica, quella dell’uso dell’alcol, di cui è facile prevedere l’utilizzo in mancanza di idonea formazione e controllo. Ha poi escluso l’imprevedibilità della manovra effettuata da S., rilevando che si tratta di una pratica cui frequentemente viene fatto ricorso per agevolare l’accensione e che l’eventuale imprudenza del lavoratore non elide il nesso di causalità, secondo un principio assolutamente pacifico.

La valutazione è corretta e logica, fondata sulle risultanze processuali apprezzate nel senso della conferma del giudizio di responsabilità. Le censure del ricorrente non tengono conto di tale percorso motivazionale, ma si soffermano ancora a contestare la credibilità della persona offesa e le dichiarazioni dei vari testi, ribadendo censure già formulate con l’appello, dalla Corte superate nel senso sopra indicato, di cui il ricorrente non tiene conto. Ne deriva la inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore del cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita, che vengono liquidate in complessivi Euro 3000,00 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita in complessivi Euro 3000,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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