Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-04-2011) 20-04-2011, n. 15717

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Messina, con sentenza in data 17 gennaio 2008, dichiarava V.A. colpevole del reato di riciclaggio per avere ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa di un’autovettura Fiat Panda, oggetto di furto, mediante l’apposizione di altra targa e la saldatura del numero di telaio di altre autovettura Fiat Panda, legittimamente in uso allo stesso imputato e condannato alla pena di anni due, mesi 10 di reclusione e Euro 800 di multa.

La Corte di appello di Messina,con sentenza in data 3 maggio 2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dell’imputato, riduceva la pena ad anni uno, mesi 10, giorni 20 di reclusione e Euro 600 di multa, confermando nel resto la sentenza.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla affermazione di colpevolezza del ricorrente attraverso il semplice richiamo alla sentenza di primo grado;

b) violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al reato di riciclaggio, mancando la prova della riconducibilità dell’attività dissimulatoria al ricorrente;

c) violazione di legge e difetto di motivazione non potendo essere l’imputato condannato per il reato di riciclaggio, essendo la condotta posta in essere sanzionata solo in via amministrativa del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 74;

d) violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento alla determinazione della pena, ritenuta eccessiva;

e) violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1) Con riferimento al primo e secondo motivo di ricorso la Corte territoriale richiama, in proposito, la chiara, esaustiva e condivisa motivazione del giudice di primo grado, ne ha ripercorso i punti salienti, condividendoli, ritenendo accertato, sulla base delle non equivoche risultanze probatorie, che l’imputato avesse la disponibilità dell’autovettura Fiat Panda, provento di furto, alla quale era stato manomesso, evidentemente dallo stesso V., al fine di impedirne l’identificazione della provenienza delittuosa, il numero di telaio e sostituita la targa originale con altra appartenente sempre ad un’autovettura Fiat Panda, ricevuta lecitamente dal prevenuto da C.D.. In proposito si deve osservare che in tema di motivazione della sentenza di appello, è consentita quella "per relationem", con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contengano (come nel caso di specie) elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso: il giudice del gravame non è infatti tenuto a riesaminare una questione formulata genericamente nei motivi di appello che sia stata già risolta dal giudice di primo grado con argomentazioni corrette ed immuni da vizi logici (Sez. 6, Sentenza n. 31080 del 14/06/2004 Cc. – dep. 15/07/2004 – Rv. 229299; Sez. 2, Sentenza n. 16716 del 11/02/2005 Ud. – dep. 16/05/2006 – Rv. 234409).

Con riferimento alla asserita mancanza di prova della delitto di riciclaggio, va osservato che la condotta, consistita nella suddetta alterazione o manipolazione dell’auto, è riconducibile, quanto meno nella forma del concorso di persone nel reato, all’imputato che aveva la disponibilità sia dell’autovettura oggetto di furto che della vettura da cui sono stati prelevati la targa e il numero di telaio apposti sul veicolo di provenienza furtiva; ed invero tale quid pluris va ravvisato nel caso di specie, come correttamente evidenziato dai giudici di merito, nel fatto che i numeri di telaio e la targa utilizzati per il camuffamento del veicolo in possesso del ricorrente erano relativi ad auto nella disponibilità del V., circostanza che corrobora ulteriormente l’assunto circa la riconducibilità al prevenuto di tale condotta di manipolazione.

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito, ove la sentenza sia logicamente motivata, come nel caso di specie.

2) Anche il terzo motivo è infondato.

Con la norma incriminatrice del riciclaggio il legislatore ha voluto reprimere sia le attività che si esplicano sul bene trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle altre che, senza incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienza delittuosa.

Questa Corte, con motivazione condivisa dal Collegio, ha affermato che configura il delitto di riciclaggio sia la sostituzione della targa che la manipolazione del numero del telaio di un’autovettura proveniente da delitto, perchè entrambe le condotte costituiscono operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura (Sez. 2, Sentenza n. 38581 del 25/09/2007 Ud. (dep. 18/10/2007) Rv. 237989;Sez. 2, Sentenza n. 44305 del 25/10/2005 Ud. (dep. 05/12/2005) Rv. 232770) Si configura il riciclaggio ogniqualvolta si pongono in essere operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, attraverso una attività che, con riferimento al caso delle autovetture, impedisce il collegamento delle stesse con il proprietario che ne è stato spogliato, come nel caso di sostituzione del numero di targa che costituisce un elemento fondamentale per la individuazione dell’autovettura e, quindi, per il collegamento della stessa con il proprietario che ne è stato spogliato; Sul punto questa Corte (Cass. sez. 2A, 23.2.2005, n. 13448) ha avuto modo di evidenziare che "dalla lettura della norma su riprodotta è agevole desumere che oggi il delitto di riciclaggio non è più distinguibile da quello di ricettazione sulla base dei delitti presupposti; e che le differenze strutturali tra i due reati debbono essere ricercate oltre che nell’elemento soggettivo (scopo di lucro come dolo specifico nella ricettazione, e dolo generico per il riciclaggio) nell’elemento materiale e in particolare nella idoneità a ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, che è elemento caratterizzante le condotte del delitto previsto dall’art. 648 bis c.p..".

Alla stregua di tali principi non può dubitarsi che la manomissione del numero di telaio dell’autovettura e la sostituzione della targa costituiscono operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della cosa. Il reato di riciclaggio è un reato a forma libera, che può essere integrato con qualunque modalità.

Eccepisce, inoltre il ricorrente che la medesima condotta va sanzionata solo in via amministrativa dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 74, che recita: "chiunque contraffa, asporta, sostituisce, altera, cancella o rende illeggibile la targhetta del costruttore, ovvero il numero di identificazione del telaio, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 2455 a Euro 9825".

Nella fattispecie, tuttavia, la condotta dell’imputato non si è limitata alle due fattispecie previste dalla norma citata, finalizzate a rendere illeggibile la targhetta del costruttore o il numero di identificazione del telaio, ma è diversa avendo anche il prevenuto sostituito la targa originale con altra. Deve ritenersi pertanto che l’elemento differenziale tra le due ipotesi di cui all’art. 648 bis c.p. e D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 74, consiste, nella diversità della condotta incriminata, consistente, nel reato di riciclaggio, oltre che nella sostituzione o trasferimento di denaro, beni o utilità provenienti da delitto, anche, come nella specie, nella interposizione di ostacoli alla identificazione della provenienza delittuosa di tali beni o utilità, non specificatamente limitate alle due sole fattispecie previste dalla violazione amministrativa. L’art. 648 bis c.p. e connotato da un "quid pluris", trattandosi di reato a forma libera, rispetto alla duplice condotta vincolata, specificatamente prevista dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 74.

In altri termini, quando l’acquisto o la ricezione del bene di provenienza illecita (fattispecie non contemplata dalla norma contravvenzionale) sono accompagnati dal compimento di operazioni o attività atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del veicolo, finalizzata a rendere illeggibile la targhetta del costruttore o il numero di identificazione in del telaio, con l’ulteriore condotta di sostituzione della targa (ipotesi non contemplata dalla norma contravvenzionale) non è configurabile la violazione amministrativa, ma si è in presenza del più grave reato di cui all’art. 648 bis c.p..

Tale elemento rappresenta indubbiamente l’elemento distintivo delle due fattispecie; anche se, per molti aspetti, ma non per tutti, le due condotte, sono sovrapponibili. Ma, appunto perciò, verificandosi un tipico caso di concorso apparente di norme, si deve applicare il cosiddetto principio di specialità, in virtù del quale quando tutti gli elementi contenuti nella fattispecie generale sono compresi nella fattispecie speciale, che presenta inoltre uno o più elementi particolari, è quest’ultima che si deve applicare con esclusione, quindi, della norma contravvenzionale. 3) Con gli ultimi due motivi il ricorrente si duole per una presunta carenza della motivazione in ordine all’entità della pena inflitta, ritenuta eccessiva in relazione al disvalore sociale del fatto e alla non concessione delle attenuanti generiche. In realtà la Corte territoriale ha già congruamente ridotto la pena comminata dal Tribunale al fine di adeguarla al caso concreto, esaminando i vari elementi fissati dall’art. 133 c.p. sia per la concessione delle attenuanti generiche, sia per individuare la pena più adeguata. La Corte territoriale ha negato la concessione delle attenuanti per i gravi precedenti penali del V., pur riducendo la pena inflitta in primo grado. Questa Suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691). Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte – condivisi dal Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo.

Lo stesso discorso vale, naturalmente, per l’individuazione, da parte del Giudice, della pena da irrogare. La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra, infatti, nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 del codice penale.

(Sez 4, sentenza nr. 41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004 -Rv.

230278).

Pertanto, anche tali motivi sono infondati. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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