Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-04-2011) 20-04-2011, n. 15716

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Cagliari, con sentenza in data 4 ottobre 2006, dichiarava T.P. e M.A. colpevoli, in concorso tra loro, dei seguenti reati:

a) appropriazione indebita della documentazione fiscale della società "Marea" di Ma.Lu. e della società "Love My" della quale avevano il possesso in qualità di commercialisti incaricati della gestione della contabilità;

b) estorsione aggravata per avere costretto con minacce la dipendente C.M. a sottoscrivere una dichiarazione di recesso dalla società "Marea s.s.l. e a presentare le dimissioni dallo studio.

Il solo T. veniva anche dichiarato colpevole di violenza sessuale ai danni delle dipendenti P.F., C. M. e di violenza privata ai danni della stessa P..

Il Tribunale, unificati i reati dal vincolo della continuazione, con le attenuanti generiche prevalenti per la M. ed equivalenti per il T., sull’aggravante contestata al capo b) (più persone riunite), condannava la prima alla pena di anni due, mesi otto di reclusione e Euro 1000 di multa e il T. alla pena di anni otto di reclusione, oltre al risarcimento dei danni a favore delle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale di Euro 50,000 per ciascuna delle parti civili a carico del solo T..

La Corte di appello di Cagliari, con sentenza in data 6 maggio 2009, in riforma della sentenza appellata da entrambi gli imputati, ritenuto più grave il reato di estorsione di cui al capo b), ai fini della determinazione della pena in continuazione inflitta al T., ritenute prevalenti le attenuanti generiche già concesse, riduceva la pena nella misura di anni sette di reclusione e Euro 1850 di multa, confermando, nel resto, la sentenza anche nei confronti di M.A..

Proponevano ricorso per cassazione i difensori di entrambi gli imputati. Nell’interesse di T.P. venivano dedotti i seguenti motivi connotati, tutti dalla mancanza, insufficiente, contraddittorietà manifesta della motivazione, violazione falsa applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza di tutti i reati contestati:

a) con riferimento al delitto di estorsione aggravata in danno di C.M. rilevava come i primi giudici avessero erroneamente sovrapposto condotte diverse; 1) dimissioni – licenziamento; 2) compilazione e sottoscrizione di quest’ultimo; 3) recesso societario davanti al notaio.

Evidenziava la libera scelta della C. di interrompere il rapporto di lavoro, sulla scia di analoga iniziativa presa dalle colleghe, contestando anche la sussistenza del danno in quanto la C., essendo l’unica dipendente dello studio, non avrebbe usufruito, in caso di licenziamento, di alcuna tutela all’infuori dell’indennità di preavviso (Euro 900), rilevando la inattendibilità delle testimonianze delle colleghe di studio della C..

In relazione al reato di estorsione relativo al recesso dalla società Marea s.r.l., evidenziava la mancanza di prova storica dei fatti nonchè della ingiustizia del profitto e del danno.

Contestava, inoltre, l’efficacia intimidatrice delle espressioni pronunciate insieme alla moglie ("ti farò vedere i sorci verdi", "ti tapperò la bocca"), non valutate col metro delle massime di comune esperienza, così come la dedotta appartenenza alla massoneria nel terzo millennio, non poteva essere paragonata all’adesione ad una setta satanica, contestando la carenza di un legame logico tra la prospettazione della esibizione, al marito della C., delle audaci fotografie ritraenti la moglie nuda e la risoluzione del rapporto di lavoro, rilevando anche la insubordinazione della dipendente che si era rifiutata di redigere a mano la "prima nota", così come richiesto dal suo datore di lavoro, con un atteggiamento di totale insubordinazione, ritenendo insussistente il delitto di estorsione per l’inesistenza dei suoi elementi strutturali e la mancanza di prova di una efficace minaccia, eziologicamente efficiente rispetto all’abbandono del posto di lavoro, nonchè di un effettivo danno o profitto nei confronti dei vari protagonisti dell’episodio;

b) con riferimento ai delitti in materia sessuale ribadiva la impossibilità della loro commissione temporale, con riferimento all’epoca dei presunti fatti e la insanabilità logica delle reciproche confidenze delle colleghe di lavoro, non adeguatamente valutata dalla Corte territoriale, ritenendo inattendibili le dichiarazioni delle parti offese;

c) in relazione al reato di violenza privata evidenziava come la C., la P. e la Pe., avessero consapevolmente e strumentalmente mentito, essendo l’episodio in questione privo di alcun connotato di costrizione, avendo la Mu., a seguito della richiesta della P., aperto immediatamente la porta dell’Ufficio, consentendole di uscire. d) riguardo al delitto di appropriazione indebita delle scritture contabili e della documentazione fiscale della società "Marea" di Ma.Lu. e della società "Love My", escludeva la sussistenza del reato, non avendo la Corte specificato per quale motivo il T. avrebbe dovuto impossessarsi dei libri contabili e quale potesse essere l’utile economico o di altra natura che intendeva trame, avendo elaborato un piano per la restituzione dei documenti con la dottoressa F. che aveva avuto l’incarico di curare i contatti tra la Ma. e lo studio del T., stante la difficoltà di restituire tale documentazione nel periodo feriale e avendo l’intero staff impiegatizio abbandonato lo studio, mancando elementi da cui poter desumere l’ingiusto profitto, quale conseguenza di tale condotta;

e) mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al comma otto dell’art. 609 bis c.p., ritenendo trattarsi di fatti di minore gravità previsti dall’attenuante;

f) eccessività del trattamento sanzionatorio, stante l’incensuratezza del prevenuto, professionista ineccepibile e genitore di un figlio minore.

Il difensore di M.A. deduceva i seguenti motivi:

a) violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al reato di estorsione per mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto nella prima si afferma che il danno sarebbe stato determinato dalla perdita del posto di lavoro, mentre in sentenza viene individuato nella perdita dell’indennizzo che alla C. sarebbe spettato a seguito dell’annullamento del licenziamento per giustificato motivo se con tale formula essa fosse stata licenziata;

rilevava, inoltre la mancanza di un effettiva diminuzione del patrimonio della persona offesa in quanto il danno subito dalla parte offesa conseguirebbe esclusivamente a seguito di una decisione giudiziale che, nel caso di specie è mancata.

Rilevava, anche, l’inesistenza del danno ingiusto conseguente al recesso della C. dalla società Marea s.a.s., affermato dalla Corte in contrasto con le stesse dichiarazioni della parte offesa che ha dichiarato di non aver subito, al riguardo, alcun danno in quanto aveva svolto il ruolo di "prestanome", nella qualità di socia della predetta società, senza alcun vantaggio di natura patrimoniale;

rilevava, comunque, che, non essendo stato trascritto il recesso nel registro delle imprese, non aveva perso la titolarità delle quote societarie, potendo ravvisarsi, tutt’al più, gli estremi del tentativo;

b) violazione di legge per aver ritenuto la Corte territoriale sussistente l’aggravante delle più persone riunite in relazione al capo b) della rubrica, mai contestata agli imputati;

c) violazione di legge per il contrasto tra l’imputazione di appropriazione indebita e la condotta ascritta all’imputata emergendo dalla lettera in data 26/4/2002 che solo il T. era il professionista incaricato dalla Ma. della tenuta della contabilità delle due società, come emerge anche dalla ulteriore documentazione in atti mentre, erroneamente, la sentenza impugnata ha ritenuto che l’omessa restituzione della documentazione fosse imputabile, quale appropriazione indebita, anche alla M. che, non essendo mai stata incaricata della gestione della contabilità predetta non aveva mai rinunciato al mandato, mancando la correlazione tra imputazione e sentenza, essendo stata condannata in forza di un asserito concorso morale per aver "appoggiato" il T. in occasione del suo intervento successivo allorquando venne chiamato in causa dalla F.;

d) violazione di legge e difetto di motivazione per carenza dei presupposti nel reato di appropriazione indebita, non avendo la ricorrente il possesso delle scritture contabili, essendo l’unico possessore il T. che seguiva la contabilità delle due società, ed avendo solamente quest’ultimo rinunciato al mandato, con eventuale interversione del possesso solamente in capo allo stesso, avendo solo quest’ultimo l’obbligo di restituire la documentazione. Essendosi il reato di cui all’art. 646 c.p. consumato per il T. allorchè non rispose alle richieste della Ma., la successiva condotta della M. non poteva integrare concorso morale ascrittole dalla Corte di merito, trattandosi di intervento successivo alla commissione del reato, non risultando specificate le ragioni per le quali la condotta dell’imputata abbia costituito un sostegno dell’altrui proposito criminoso;

e) intervenuta prescrizione del reato di appropriazione indebita, in quanto trattandosi di reato istantaneo, il tempus commissi delicti va individuato nel 3 giugno 2002, un mese dopo la lettera inviata dalla Ma. in data 3 maggio 2002, ed essendo ormai decorso da tale data il termine massimo di sette anni e sei mesi.
Motivi della decisione

1) Con riferimento al primo motivo di ricorso relativo al reato di estorsione in danno della C., comune ad entrambi gli imputati, sia pure per ragioni parzialmente diverse, lo stesso deve ritenersi infondato, ad eccezione dell’episodio relativo al recesso della C. dalla società Marea s.a.s per le ragioni che saranno evidenziate.

Con riferimento ai motivi dedotti dal T., in relazione alle dimissioni della C. da dipendente dello studio professionale T. – M., il ricorrente, propone solo censure di merito ad una sentenza motivata in modo esaustivo, logico e non contraddittorio e che presenta una valutazione corretta delle risultanze processuali.

Il Giudice di primo grado ha, invero, a solo titolo di esempio, ben evidenziato che a seguito della richiesta del professionista alla C. di redigere a mano la prima nota (definita strumentale in quanto non vi era alcuna ragione per la quale si dovesse riportare mano una contabilità già predisposta al computer), a seguito dell’inottemperanza della dipendente che aveva inteso tale intimazione come un dispetto dovuto al suo rifiuto di assecondare le richieste di prestazioni sessuali provenienti dall’imputato, aveva detto alla C., spalleggiato dalla M., intervenuta nel frattempo, che l’avrebbero "sbattuta fuori dallo studio a calci", pretendendo che firmasse una lettera in cui dava le dimissioni e che si recasse dal notaio D.M. al fine di recedere dalla società "Marea s.a.s", minacciandola, nel caso in cui non avesse firmato le dimissioni o si fosse rifiutata di effettuare il recesso dalla predetta società, di farle vedere "i sorci verdi", schierandole contro uno stuolo di avvocati e che, se avesse detto a qualcuno di quelle minacce, le avrebbero "apparato la bocca per sempre".

Inoltre il T. l’aveva minacciata di far revocare il mutuo che la C., anche con l’aiuto dell’imputato che ne aveva accelerato i tempi del rilascio, aveva contratto presso una locale banca, affermando anche il T. che l’avrebbe rovinata (pag. 61 sentenza).

Sussiste, nella fattispecie, la idoneità delle minacce, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione, dovendo essere valutate con giudizio ex ante ai fini della obiettiva capacità di porre in essere un attacco alla libertà psichica della vittima e alla libertà di determinazione del soggetto passivo che viene, in conseguenza, a trovarsi in stato di costrizione, conseguente alla pressione morale esercitata sull’animo.

Come rilevato dalla Corte di merito, la C., anche se aveva manifestato, in altre occasioni, l’intenzione di trovare altro lavoro, certamente non intendeva perdere quello attuale prima di avere la certezza di altra occupazione, anche considerando che doveva far fronte al mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione, smentendo l’assunto difensivo della libera scelta della C. di interrompere il rapporto di lavoro.

Per consolidato orientamento di questa Corte "la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali, in cui questa opera" (Cass. Sez. 2A sent. n. 37526 del 16.6.2004 dep. 23.9.2004 rv 229727) Riguardo all’elemento dell’ingiusto profitto costituito dal far risultare come dimissioni, un licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, va evidenziato come lo stesso si estrinsechi in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto, perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso. (Sez. 2, Sentenza n. 16658 del 31/03/2008 Ud. (dep. 22/04/2008) Sez. 2, Sentenza n. 29563 del 17/11/2005 Ud.

(dep. 04/09/2006).

La Corte territoriale ha correttamente evidenziato che, nel caso di dimissioni, non spetta, a differenza del licenziamento senza giusta causa, al lavoratore il diritto all’indennizzo e al risarcimento dei danni non patrimoniali. Orbene la ricostruzione del fatto – cosi come operata dalla Corte di merito, con riferimento alla modalità di licenziamento, secondo un apparato logico-argomentativo uniforme – risulta insindacabile in questa sede di legittimità e pone all’evidenza, in termini logici e consequenziali, la concatenazione temporale e logica tra i vari segmenti della condotta, la strumentalità delle minacce, nei confronti della parte offesa, finalizzati alla coazione dell’altrui volontà al fine di ottenerne le dimissioni, mediante i comportamenti loro ascritti nel capo d’imputazione, con una condotta vessatoria e contraria al dovere di correttezza e leale collaborazione, provati in corso di causa.

Infondato è il rilievo concernente la mancanza di un’effettiva diminuzione del patrimonio della persona offesa in quanto il danno subito dalla parte offesa conseguirebbe esclusivamente a seguito di una decisione giudiziale che, nel caso di specie, è mancata, in quanto è sufficiente, ai fini di ritenere la sussistenza del danno patrimoniale, il nocumento di natura economica individuabile nei confronti della parte lesa, indipendente dalle modalità con cui tale danno può essere evitato, potendo la parte lesa ricorrere ad una transazione col datore di lavoro o esperire un’azione giudiziaria per ottenere l’indennità di licenziamento e il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, conseguenti al licenziamento senza giusta causa.

Anche la minaccia di esibizione al marito della C. di fotografie, ritraenti la stessa nuda, (poco importa se reali o fotomontaggi) costituisce, in base alla coerente valutazione della Corte di merito, una "pesantissima" interferenza nella sfera personale e familiare della stessa vittima, così come la minaccia relativa alla revoca del mutuo fondiario, ancorchè non sussistessero ragioni legittime per tale revoca (non essendo la beneficiarla morosa), tuttavia aveva avuto l’effetto di intimorire la C., consapevole dell’influenza del T. con i funzionari della banca che gli aveva concesso il mutuo anche per suo interessamento.

2) Va, anche, disatteso il motivo relativo alla mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto nella prima si afferma che il danno sarebbe stato determinato dalla perdita del posto di lavoro, mentre in sentenza viene individuato nella perdita dell’indennizzo che alla C. sarebbe spettato a seguito dell’annullamento del licenziamento per giustificato motivo se con tale formula essa fosse stata licenziata. Nella fattispecie non si è verificata alcuna immutazione della correlazione fra la imputazione originariamente contestata (che come abbiamo visto descrive una condotta sviluppatasi in un ben determinato arco temporale) ed il fatto ritenuto in sentenza, è assolutamente pacifico alla luce della giurisprudenza di questa Corte che per aversi violazione del principio di correlazione fra l’imputazione e la sentenza occorre che si verifichi una trasformazione del fatto nei suoi elementi essenziali, non ravvisabile nella fattispecie, tale da pregiudicare, in concreto, il diritto alla difesa.

Ha osservato, infatti, questa Corte che "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione". (Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996 Cc. (dep. 22/10/1996) Rv. 205619).

Sussiste, anche l’elemento soggettivo del reato, vale a dire la coscienza e volontà da parte degli imputati di costringere con minacce la parte lesa alle dimissioni, con la consapevolezza dell’ingiustizia del profitto. 3) Diversa valutazione va fatta, con riferimento al reato di estorsione, contestato al capo b) in continuazione, in relazione all’episodio relativo al danno patrimoniale conseguente al recesso della C. dalla società Marea s.a.s. Anche se questa Corte ha affermato che nella estorsione patrimoniale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto un rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno (Sez. 1, Sentenza n. 18722 del 31/03/2010 Ud. (dep. 18/05/2010) Rv. 247450; Sez. 6, Sentenza n. 10463 del 05/02/2001 Cc. (dep. 14/03/2001) Rv. 218433), occorre, tuttavia che venga, in concreto, individuato anche un danno patrimoniale nei confronti della parte lesa. La Corte territoriale ha ritenuto tale danno sussistente nella mera dismissione delle quote, a prescindere dal loro valore nominale, perchè rappresentavano un cespite del patrimonio della persona offesa, del quale la stessa è stata costretta a privarsi contro la sua volontà (pag. 69 sent.).

Tuttavia, sussiste una evidente difetto di motivazione del provvedimento impugnato che non ha tenuto conto delle dichiarazioni della persona offesa resa all’udienza dell’8 febbraio 2005 (pag. 39 verbale) avendo affermato di essere entrata a far parte della società Marea s.a.s. " per fare un favore alla Ma."…

"… giusto per fare un prestanome, non avevo interessi in questa società, non le chiedevo niente… " confermando che l’uscita dalla società non le avrebbe provocato alcun danno.

In tema di delitti contro la libertà individuale, se la coartazione da parte dell’agente è diretta a procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, mancando, tuttavia, come nella caso di specie, l’altrui danno – che rivesta la connotazione di ordine patrimoniale e consista in una effettiva "deminutio patrimoni" – ricorre il delitto meno grave di violenza privata ( art. 610 c.p.) e non quello di estorsione ( art. 629 c.p.) Integra, quindi, il delitto di violenza privata la condotta di colui che, con minacce, pretenda il recesso di una persona da una società, di cui tuttavia sia solo un "prestanome", senza alcun interesse economico patrimoniale, considerato che entrambe le fattispecie incriminatrici in questione (estorsione e violenza privata) tutelano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, ma ricorre il delitto di violenza privata allorchè (come nella specie) la coartazione, ancorchè sia preordinata a procurare al soggetto attivo un ingiusto profitto, non provochi un danno patrimoniale alla parte lesa.

Qualificata la condotta degli imputati che hanno indotto la C. a recedere dalla società Mara s.a.s., quale violenza privata,aggravata ai sensi dell’art. 610 c.p., comma 2, per essere stato commesso il fatto da più persone riunite, in luogo dell’originaria imputazione di estorsione, va dichiarata la prescrizione del reato.

Analogamente, deve ritenersi prescritto il reato di violenza privata in danno della P. (capo c), ascritto al T..

Applicandosi – ex L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 2, modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 393 del 23/11/2006 – le nuove regole sulla prescrizione, il termine massimo di prescrizione per entrambi i reati è di sette anni e sei mesi (sei anni +1/4%), termine che risulta decorso, con riguardo alla condotta estorsiva specificata, di cui al capo b) derubricato in violenza privata, commesso in data (OMISSIS) (prescrizione maturata il 10.4.2010, già considerati n. 77 gg. di sospensione per rinvio dell’udienza Tribunale per astensione avv.ti dal 10.7.2006 al 27.9.2006), e, con riguardo al capo c) (prescrizione maturata nell’aprile 2010, reato commesso nel periodo (OMISSIS) + 77 gg di sospensione della prescrizone). Non potendo considerarsi il ricorso proposto per motivi manifestamente infondati e, come tale, non essendo inammissibile, non preclude la rilevazione della prescrizione del reato maturata nelle more della sua discussione.

(Sez. 6, Sentenza n. 35391 del 11/07/2003 Ud. (dep. 10/09/2003).

4) Infondato è il motivo di ricorso del T. con riferimento ai delitti in materia sessuale.

Il ricorrente ribadisce la loro impossibilità temporale, con riferimento all’epoca dei presunti fatti, e la insanabilità logica delle reciproche confidenze delle colleghe di lavoro, non adeguatamente valutata dalla Corte territoriale, ritenendo il vizio logico della motivazione per aver ritenuto attendibili le dichiarazioni delle parti offese.

Entrambi i giudici di merito hanno, in effetti, evidenziato la divergenza tra le dichiarazioni dei testimoni e "lungi dal sottovalutarla o trascurarla – il Tribunale – la giustifica con il fatto che la C. nella sua deposizione sovrapposte in ricordo delle confidenze fatte alla F. sulle vicende che riguardavano se stessa, con quello dei fatti che avevano riguardato la P.".

La Corte di merito, confermando la valutazione non illogica dei primi giudici, ha ritenuto che "una tale sovrapposizione di ricordi non sorprende e non assume rilievo significativo nel giudizio sull’attendibilità di quelle dichiarazioni perchè, come emerso pacificamente del dibattimento, nella vicenda in esame si erano intrecciate condotte molteplici, parte delle quali avvenivano con frequenza, e ciò rende comprensibilmente complessa la loro ricostruzione a distanza di qualche tempo, specialmente da parte di soggetti fortemente coinvolti dal punto di vista emotivo, per essere state vittime di quelle violenze sessuali" (pag. 56 sent.) Peraltro, la Corte territoriale evidenzia che tale difformità hanno un valore "tutto sommato secondario nella ricostruzione della vicenda, perchè riguardano esclusivamente le modalità con le quali sarebbero avvenute le confidenze tra le tre donne ma non il nucleo essenziale di quei fatti, riportato in modo conforme dalla C., dalla P. e dalla Pe.", confermando l’attendibilità delle persone offese e della testimone Pe., non coinvolta negli episodi di violenza sessuale, che consente alla Corte di ritenere le divergenze indice ulteriore dell’autonomia delle fonti dalle quali provengono e dell’assenza di versioni architettate artificiosamente e studiate a tavolino" (pag. 57 sent.) Le modalità della condotta concretamente le violenze sessuali ai danni di P.F. (pag. 57 – 60) e C.M. (pag 73-74) sono analiticamente descritte sia dal Tribunale e dalla Corte territoriale, risultano precise, circostanziate e dettagliate e non sono specificatamente contestate quanto al loro accadimento, se non con riferimento alla mancanza di credibilità delle parti offese, esclusa, con valutazione coerente e logica, dalla Corte territoriale che ha, invece, ritenuta la piena attendibilità delle dichiarazioni accusatorie concernenti i reati sessuali ascritti al T..

Questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di Cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi a cui essa è "geneticamente" informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri. (Si veda fra le tante Sez. Un. Sentenza. 00012 del 23/06/2000 – UD.31/05/2000 – RV. 216260, Imp. Jakani,) 5) In ordine logico va trattato il motivo di ricorso relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 8, ritenendo il ricorrente trattarsi di fatti di minore gravità previsti dall’attenuante in parola, deducendo la contraddizione della motivazione della sentenza che, ai fini della determinazione della pena, ritiene trattarsi di condotta, certamente odiosa e invasiva della sfera sessuale delle persone offese ma che, per la sua stessa natura, (palpeggiamenti, abboccamenti) non si collocano tra quelli più gravi, mentre ha negato la sussistenza dell’attenuante in questione affermando che le modalità con cui sono state realizzate le condotte e il grado di invasione della sfera personale delle vittime escludono la qualifica di minore gravità prevista dall’attenuante in parola.

In effetti non sussiste alcuna contraddizione al riguardo in quanto la valutazione della Corte della condotta dell’imputato è stata effettuata ai fini della graduazione della pena, non avendo affermato che trattavasi di fatti di minore gravità, idonei al riconoscimento della prevista attenuante, per la quale occorrono anche altri elementi, non ritenuti sussistenti, con valutazione non censurabile in sede di legittimità.

Questa Corte, peraltro, con valutazione condivisa dal collegio, ha ritenuto che gli elementi soggettivi di cui all’art. 133 c.p., comma 2, non rilevano ai fini della configurabilità dell’ipotesi di minore gravità del reato di violenza sessuale, non rispondendo la mitigazione della pena all’esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo e alle circostanze attinenti alla sua persona ma alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima (Sez. 3, Sentenza n. 27272 del 15/06/2010 Ud. (dep. 14/07/2010) Rv. 247931).

In tema di abusi sessuali, ai fini dell’accertamento della diminuente del fatto di minore gravità prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonchè al danno arrecato alla parte lesa, anche e soprattutto in considerazione dell’età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi (Sez. 3, Sentenza n. 45604 del 13/11/2007 Ud. (dep. 06/12/2007) Rv. 238282; Sez. 3, Sentenza n. 10085 del 05/02/2009 Ud.

(dep. 06/03/2009) Rv. 243123).

Con valutazione logica la Corte di merito ha escluso la sussistenza dell’attenuante in considerazione della "reiterazione delle condotte nei confronti di più dipendenti, le modalità di quelle descritte nei capi e) ed f) (realizzati con violenza consistito nell’afferrare la vittima al collo e immobilizzarla spingendole contro il muro), le stesse caratteristiche degli atti sessuali (consistiti in toccamenti reiterati in varie parti del corpo), le modalità subdole con le quali sono state realizzate le condotte descritte al capo d) nei confronti della P., l’elevato grado di invasione della sfera personale delle vittime, costrette a subire in più occasioni quelle condotte da parte di chi, come datore di lavoro, rivestiva nei loro confronti una posizione sovraordinata" (pag. 74-75 sent.).

Quindi, è stata correttamente negata dei primi giudici l’attenuante in considerazione della gravità delle descritte azioni delittuose.

6) Va, invece, dichiarata, la prescrizione del reato di appropriazione indebita ascritto ad entrambi gli imputati al capo a) della rubrica. Trattandosi di reato istantaneo, la consumazione del reato si verifica nel momento in cui l’agente compie l’atto di disposizione "uti domini", con la volontà espressa o implicita, nella fattispecie, di non restituire la documentazione altrui di cui ha il possesso, trattandosi di comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso.

La sentenza impugnata colloca la consumazione del reato sin dal momento della rinuncia al mandato (con missiva del T. in data 26.4.2002) che obbligava gli imputati alla restituzione immediata della documentazione, "specialmente in virtù delle richieste che fin dal 3 maggio 2002 la Ma. aveva rivolto loro" (pag. 81 sentenza).

Con riferimento a tali nuove regole sulla prescrizione, il delitto di appropriazione indebita si prescrive in sette anni e sei mesi (sei anni + 1/2), già decorso dal tempo del commesso reato, fissato, al più tardi, al (OMISSIS) e, per le considerazioni già espresso con riferimento agli altri reati dichiarati prescritti, la prescrizione è maturata il 18.2.2010, considerato il periodo di sospensione di gg. 77.

La sentenza impugnata va anche annullata senza rinvio, limitatamente al reato di appropriazione indebita ascritto ad entrambi gli imputati essendo il reato estinto per prescrizione.

Il motivo relativo alla imputazione di appropriazione indebita, formulato dalla M., rimane assorbito dalla declaratoria di prescrizione del relativo reato, sussistendo concreti elementi di responsabilità nei confronti della prevenuta in ordine al "concorso morale" in tale reato, congruamente evidenziati dalla Corte di merito.

7) Con riferimento al ricorso della M., va preliminarmente, rilevato che per mero errore materiale la Corte ha fatto riferimento alla L. n. 108 del 1990, art. 18, mentre, all’evidenza, il riferimento è alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, come sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 2 che prevede che "risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto…".

In relazione agli ulteriori motivi di ricorso dell’imputata, sono stati già esaminati (in quanto comuni anche al T.) e disattesi, il primo relativo alla mancanza di correlazione tra imputazione sentenza, con riferimento al reato di estorsione relativo alle dimissioni-licenziamento della C. e derubricato in violenza privata l’originaria imputazione di estorsione con riferimento alle dimissioni della stessa parte offesa dalla società Marea s.a.s.

(entrambi i reati contestati in continuazione al capo b), con conseguente declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

E’ infondato il motivo relativo alla eccepita violazione di legge per aver ritenuto la Corte territoriale sussistente l’aggravante delle più persone riunite in relazione al capo b) della rubrica, mai contestata agli imputati. La Corte di merito, con riferimento alle modalità della condotta estorsiva ascritta congiuntamente ad entrambi gli imputati ha ritenuto che "integra certamente la contestazione in fatto dell’aggravante delle più persone riunite";

questa Corte, con motivazione condivisa dal Collegio, ha ritenuto che "ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con sua enunciazione letterale, nè l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la propria difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante" (Sez. 5, Sentenza n. 38588 del 16/09/2008 Ud. (dep. 13/10/2008) Rv. 242027; Sez. 2, Sentenza n. 47863 del 2003).

Nella fattispecie, l’elemento di fatto integrante l’aggravante in questione, ossia delle più persone riunite, risulta contestato in fatto nell’imputazione, così come esattamente evidenziato dalla Corte territoriale.

Nè rileva, al riguardo, che il Pubblico Ministero, nelle proprie conclusioni riportate nel verbale d’udienza, non abbia di fatto tenuto conto di tale aggravante nella richiesta della pena, non essendo tale circostanza rilevante ai fini della ritenuta contestazione in fatto della circostanza, ritenuta dalla Corte di merito contestata nel capo d’imputazione.

Va, conseguentemente, annullata la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente ai reati di appropriazione indebita (capo a), violenza privata, così derubricato l’originario reato di estorsione relativamente all’episodio del recesso della C. dalla società Marea s.a.s., (capo b) e violenza privata (capo c) per essere i reati estinti per prescrizione.

La stessa sentenza va anche annullata con rinvio limitatamente alla pena, che va rideterminata nei confronti di entrambi gli imputati con riferimento alle residue imputazioni, con trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari per nuovo giudizio sul punto.

Vanno rigettati, nel resto, i ricorsi di entrambi gli imputati.

Va, conseguentemente, affermato il passaggio in giudicato dell’affermazione di colpevolezza per reati rinviati al giudice di merito, in quanto nella fattispecie, vale il principio che, in caso di rinvio per la sola determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità degli imputati, con la definitività della decisione su tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive successive all’annullamento parziale, trattandosi di cause sopravvenute non incidenti su quanto deciso in maniera definitiva (Cass. S.U. 23.5.97 n. 4904, ud. 26.3.97, rv. 207640).
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente ai reati di appropriazione indebita (capo a), violenza privata, così derubricato l’originario reato di estorsione relativamente all’episodio del recesso della C. dalla società Marea s.a.s., (capo b) e violenza privata (capo c) per essere i reati estinti per prescrizione.

Annulla con rinvio la stessa sentenza limitatamente alla pena, e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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