T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 18-04-2011, n. 197 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti espongono:

– in data 18 dicembre 2000 l’Amministratore A. approvava, ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, il progetto del terzo lotto della variante alla strada statale tra Teramo e Giulianova;

– l’atto fissava in 1.440 giorni il termine per il compimento delle procedure espropriative ed in 1.800 quello per la conclusione dei lavori, decorrenti dalla data del medesimo provvedimento;

– con decreto 6 giugno 2001 il Prefetto di Teramo autorizzava, per la durata di quattro anni, l’occupazione temporanea d’urgenza di terreni di loro proprietà;

– in data 29 maggio 2005 era loro notificata la determinazione dell’indennità provvisoria di esproprio, avvertendoli della possibilità di beneficiare dell’aumento del 50% mediante la cessione volontaria delle aree;

– la proposta veniva accettata per talune particelle, mentre -rispetto alle altre- veniva chiesta la rettifica della liquidazione in quanto inficiata, in questa parte, da errore materiale nella classificazione delle aree come "incolte", anziché come "seminative" e "seminative irrigue";

– l’A. non dava alcun riscontro alla comunicazione e procedeva al deposito dell’indennità provvisoria, come se la stessa fosse stata rifiutata;

– nell’approssimarsi del termine fissato per la conclusione delle procedure espropriative, l’A. chiedeva la proroga fino al 21 novembre 2005 del termine finale dell’occupazione d’urgenza, concessa con il decreto prefettizio 6 maggio 2005 oggetto di impugnazione;

– con decreto 17 novembre 2005, anch’esso impugnato, il Prefetto emanava il decreto di esproprio.

Nei confronti di tali atti viene dedotto:

1) difetto di motivazione e violazione dell’art. 13 L. 2359 del 1865: ai sensi di tale disposizione con la dichiarazione di pubblica utilità devono essere fissati i termini per il compimento dei lavori e delle procedure espropriative, il cui superamento determina il venir meno della stessa dichiarazione salva la concessione di eventuali proroghe "per casi di forza maggiore o per altre cagioni indipendenti dalla volontà dei concessionari". Poiché il decreto di occupazione fissava il termine di quattro anni per la conclusione delle procedure espropriative, l’A. avrebbe avuto termine fino al 6 giugno 2005 per l’emanazione del relativo decreto, diventando, in mancanza, l’occupazione illegittima. La proroga di tale termine avrebbe dovuto essere adeguatamente motivata in riferimento ai presupposti di cui al richiamato art. 13, requisito che il decreto impugnato non possiede, limitandosi lo stesso a ritenere "meritevoli di accoglimento" le ragioni di natura tecnica ed organizzativa addotte dall’A. nella sua istanza. L’illegittimità della proroga determinerebbe il vizio del provvedimento di esproprio, a questo punto assunto fuori dal termine concesso;

2) eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria, violazione dell’art. 13 L. 2359 del 1865: il Prefetto, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti di legge, avrebbe dovuto verificare, dandone atto in provvedimento, le ragioni addotte dall’A., adempimento palesemente non assolto visto che il provvedimento di proroga è stato adottato solo tre giorni dopo la presentazione della richiesta;

3) violazione dell’art. 7 L. 241/90, per non avere, la Prefettura, comunicato ai proprietari l’avvio del procedimento avviato dalla richiesta di proroga;

4) violazione degli artt. 12 e 13 l. 865 del 1971, per non avere l’A. dato seguito all’avvenuta accettazione da parte dei ricorrenti dell’indennità provvisoria, che precludeva il deposito dell’indennità e la conseguente emanazione del decreto di esproprio.

Si sono costituite in giudizio l’amministrazione intimata, l’A. e la ditta esecutrice dei lavori che hanno sollevato taluni profili di inammissibilità e comunque difeso la legittimità dei provvedimenti impugnati e quindi concluso per il rigetto del ricorso.

Con successive memorie le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive conclusioni.

All’udienza di discussione hanno rinviato agli scritti difensivi ed il ricorso è stato spedito in decisione.

2. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità sollevata da TOTO s.p.a. e fondata sulla mancata impugnazione di atti presupposti. Nessuna delle censure contenute in ricorso, infatti, rimette in discussione il contenuto di atti oramai inoppugnabili, come la dichiarazione di pubblica utilità. L’oggetto del giudizio è invece dato da atti autonomamente lesivi e perciò autonomamente impugnabili per vizi propri.

Quanto al merito, va osservato -come argomentato dalle parti resistenti- che l’atto di approvazione del progetto fissava il termine entro cui doveva essere disposta l’espropriazione al 21 novembre 2005 (giorni 1.800 decorrenti dal 18 dicembre 2000), per cui il relativo decreto -emanato il 17 novembre 2005- è stato assunto nei termini previsti, senza necessità di alcuna proroga. Il che rende infondati i primi due motivi che invocano, quale paradigma di legittimità, l’art. 13 L. 2359 del 1865. Le circostanze che giustificano, ai sensi di tale disposizione, la proroga dei termini originari non sono infatti attinenti al caso di specie, dove la proroga ha riguardato unicamente la durata dell’occupazione d’urgenza, che è stata comunque mantenuta nell’ambito di validità della dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’opera ("l’art. 13 si riferisce alle procedure espropriative e non è automaticamente applicabile alle procedure di occupazione d’urgenza, perché non è possibile sovrapporre i termini dell’una fase e dell’altra": Cons. Stato, sez. VI, 4 aprile 2003 n. 1768).

D’altra parte la proroga "deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento solo nel caso in cui si tratti di prorogare i termini per l’adozione del decreto di esproprio e solo per una volta, non certo nel caso di successiva proroga (nel termine massimo infraquinquennale) dell’occupazione d’urgenza conseguente alla concessa proroga della procedura espropriativa" (Cons. Stato, cit.). Ciò in quanto è stato escluso l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento qualora non vi sia una situazione pregiudicabile dal provvedimento finale ovvero un interesse giuridicamente protetto, o comunque, allorquando manchi una utilità concreta per l’azione amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 248 del 2000). Non sembra dubbio che, a fronte di opera realizzata, la perdita di efficacia dell’occupazione d’urgenza, permanendo comunque l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e quindi la soggezione ad esproprio delle aree in questione, non sarebbe stata in grado di assicurare alcuna utilità ai proprietari, posto che nessun vantaggio appare conseguibile, nei pochi mesi intercorrenti tra la perdita di efficacia dell’occupazione d’urgenza ed il termine finale entro cui l’esproprio avrebbe dovuto essere disposto, dal proprietario di aree su cui insiste una strada. Infatti, la suddetta perdita di efficacia non sarebbe in grado di incidere in alcun modo sulla possibilità di espropriare l’area, essendo ancora efficace la dichiarazione di pubblica utilità.

Né è d’altra parte la proroga della disposta occupazione necessita di una specifica motivazione o una particolare attività istruttoria, visto che, a differenza del richiamato art. 13 in relazione alla proroga dei termini relativi al compimento delle espropriazioni, l’art. 20 l. 865 del 1971 ("l’occupazione può essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso") non lega la possibilità di proroga ad alcun particolare presupposto.

Quanto all’ultimo motivo, va rilevato che risulta dagli atti che i ricorrenti si sono dichiarati disposti alla cessione volontaria per talune particelle, mentre per altre hanno dichiarato uguale disponibilità "a patto, ovviamente, che l’indennità sia calcolata con riferimento alla opportuna classificazione catastale sopra proposta" (nota 21 giugno 2004). La proposta in questione, contrariamente a quanto esposto in ricorso, non scaturisce da un preteso errore materiale, che avrebbe dato titolo a pretendere la rettifica dall’ente espropriante in modo da consentire l’accettazione di un’indennità adeguata, ma a differenti valutazioni in ordine al valore delle particelle in questione che hanno alla fine portato a non accettare l’indennità liquidata.

Va sul punto comunque osservato che "la denuncia da parte dell’espropriando di omissioni o vizi della fase procedimentale successiva all’offerta dell’indennità provvisoria e concernenti la determinazione dell’indennità definitiva in sede amministrativa, che si siano tradotti in un impedimento all’esercizio della facoltà di convenire la cessione volontaria del bene a norma dell’art. 12, l. 12 ottobre 1971 n. 865, si ricollega a posizioni di diritto soggettivo, stante la stretta connessione delle regole procedimentali che si assumono violate con la determinazione dell’indennità e con il presupposto legittimante il potere ablativo dell’Amministrazione, e spetta quindi alla giurisdizione del giudice ordinario, nel cui potere rientra il sindacato incidentale sulla legittimità dell’operato dell’Amministrazione" (T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 gennaio 2011, n. 46; analogamente T.A.R. Piemonte, sez. I, 20 maggio 2009, n. 1443). Per cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario nel caso di controversie riguardanti la cessione volontaria dei beni nel corso di una procedura espropriativa, e ciò in relazione a tutte le controversie concernenti non solo il pagamento ma anche di riliquidazione o integrazione dell’indennità concordata, a norma dell’art. 12 l. n. 865 del 1971, in quanto le relative domande si fondano sul diritto soggettivo all’indennizzo per la perdita del bene che trova immediata tutela nello speciale modello procedimentale previsto da detta normativa, che non lascia margine di discrezionalità alla p.a." (Cass., sez. un., 6 dicembre 2010, n. 24687).

3. Il ricorso va perciò in parte rigettato, mentre per la restante parte va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, presso cui può essere in questa parte riproposto ai sensi dell’art. 11 d.lg. 104 del 2010.

4. Le spese di giudizio possono essere interamente compensate.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo rigetta e per altra parte dichiara il proprio difetto di giurisdizione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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