T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-04-2011, n. 3363 Aziende di credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 13 novembre 2009 e depositato il 25 novembre 2009, la società I. S.p.A., con sede in Napoli, in persona del suo legale rappresentante protempore, ha impugnato il provvedimento in epigrafe meglio specificato, deducendo le seguenti censure:

1) Difetto di competenza – Violazione e falsa applicazione della normativa speciale di cui al d.lgs. n. 385/1993 in materia di pubblicità dei finanziamenti – Eccesso di potere

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è priva di ogni attribuzione in ordine a pratiche commerciali afferenti al settore finanziario, che è disciplinato dalla specifica normativa del d.lgs. n. 385/1993 (e in particolare dall’art. 116) e dalle sottostanti disposizioni regolatorie del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (delibera del 4 marzo 2003) e dalle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia (del 25 luglio 2003), anche per quanto concerne gli obblighi informativi e la pubblicità dei servizi finanziari (si invoca il parere della I Sezione del Consiglio di Stato n. 3999 del 3 dicembre 2008), e rimane quindi assoggettato ai poteri di vigilanza e sanzionatori della Banca d’Italia o dell’Ufficio italiano dei cambi.

2) Violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 20, 21, 22 e 23 comma 1 lettera e) del d.lgs. n. 206/2005 e della direttiva 2005/29/CE – Carenza dei presupposti – Irragionevolezza e illogicità manifeste – Eccesso di potere

Il messaggio promozionale di prodotti creditizi non può in alcun modo condizionare il consumatore in ordine all’assunzione di una decisione commerciale, poiché ad esso seguono specifiche informazioni che devono essergli obbligatoriamente fornite prima della stipulazione del contratto (l’avviso, il foglio informativo, il documento di sintesi e lo schema di contratto), nell’ambito delle quali attinge puntuale conoscenza del tasso d’interesse, delle condizioni contrattuali e di ogni altro onere.

Nel caso di specie, peraltro, il volantino contiene chiaro rinvio al T.A.E.G. "in osservanza del Decreto Legislativo 01 settembre 1993 n. 385 sulla trasparenza delle operazioni finanziarie", nonché indicazione del sito internet della società e dell’indirizzo email, attraverso i quali sono agevolmente reperibili tutte le informazioni sui servizi svolti, oltre che attraverso il contatto diretto con l’agente di zona, pure indicato.

3) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, delle norme degli artt. 20, 21, 22 e 23 comma 1 lettera e) del d.lgs. n. 206/2005 – Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, erroneità, assenza dei presupposti, irragionevolezza e illogicità, sviamento

L’indicazione del T.A.E.G., a tenore delle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, è obbligatoria soltanto se l’intermediario finanziario indichi il tasso d’interesse, oppure se nell’ambito delle informazioni obbligatorie -non riferibili a mero messaggio promozionale- sia reso noto il tasso globale medio; le prescrizioni del C.I.C.R., a loro volta, dispongono soltanto che l’annuncio pubblicitario specifichi la natura del servizio e dichiari la disponibilità per la clientela dei fogli informativi.

Soltanto nella disciplina del credito al consumo, servizio affatto estraneo a quelli offerti e reclamizzati dalla società ricorrente, è prevista l’indicazione obbligatoria del T.A.E.G. anche negli annunci pubblicitari.

D’altro canto, poiché il volantino reca esemplificazioni sulle rate di restituzione di prestiti, è agevole per il consumatore ricavare "con una semplice moltiplicazione il costo complessivo del credito concesso".

La possibilità di anticipazioni immediate, come indicate nel volantino, non può avere alcuna portata confusiva poiché nessun elemento del volantino poteva indurre il consumatore a presumere che essi sarebbero stati concessi a sola richiesta e fuori dalle valutazioni della direzione della società, ancorché ciò possa senz’altro accadere per clienti abituali.

E’ altresì veritiera l’informazione dell’assenza di spese d’istruzione della pratica, che conseguono soltanto a seguito della formulazione di specifici preventivi e in fase di conclusione del contratto.

In ogni caso le informazioni, in relazione alle ridotte dimensioni del volantino, erano sufficienti, salva la possibilità per il consumatore di attingerne di più complete.

4) Violazione e falsa applicazione delle norme e principi di cui all’art. 3 della legge n. 689/1981 – Illegittimità del provvedimento per difetto di responsabilità della società in ordine alla diffusione del volantino – Illegittima attribuzione di responsabilità oggettiva

Soltanto per errore, secondo quanto già rappresentato all’Autorità, erano stati stampati volantini privi del T.A.E.G., poi sostituiti con altri recanti tale indicazione, essendo rimasta estranea la società alla loro distribuzione, ed avendo anzi impartito disposizioni telefoniche all’agente tese a evitarne la diffusione.

5) Illegittimità della sanzione per violazione e falsa applicazione delle norme e principi di cui al capo I Sez. I della legge n. 689/1881, per difetto d’istruttoria e di prova, carenza dei presupposti, sproporzione, incongruità, difetto di motivazione, irragionevolezza

E’ eccessiva la misura della sanzione irrogata:

– in relazione all’ambito spaziale di diffusione del volantino, poiché non vi è prova che esso sia più ampio del territorio del comune di Partinico, in provincia di Palermo, nel quale è stato rinvenuto;

– in ragione della limitata incidenza delle contestate omissioni informative, tenuto conto dell’ampia informazione fornita alla clientela prima della stipulazione del contratto;

– in rapporto all’ampia collaborazione assicurata dalla società in sede istruttoria;

– in considerazione della non imputabilità alla società della diffusione del volantino;

– in funzione della brevità della durata della circolazione del messaggio (soltanto due mesi);

– nell’assenza di qualsivoglia precedente condotta sanzionata dall’Autorità.

Costituitasi in giudizio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con memoria difensiva dell’Avvocatura generale dello Stato depositata il 28 ottobre 2010, ha dedotto, a sua volta, l’infondatezza del ricorso, in base ai rilievi di seguito specificati:

a) le disposizioni del d.lgs. n. 206/2005, in quanto dirette ad apprestare una tutela generale e complementare, non confliggono con quelle del d.lgs. n. 385/1993, che peraltro non presentano il grado di completezza, dettaglio e autosufficienza proprie del d.lgs. 58/1998, considerato nel noto parere n. 3999/2008 della I Sezione del Consiglio di Stato; ne consegue la piena competenza dell’Autorità intimata in ordine a pratiche commerciali scorrette del tipo di quella sanzionata;

b) è incontestabile che il volantino non recasse informazioni essenziali ai fini di una decisione consapevole dei consumatori, sia quanto all’omessa indicazione del T.A.E.G., sia quanto alla possibile restrizione all’erogazione di anticipi immediati, sia quanto ai costi di istruzione della pratica, ivi compreso il compenso del mediatore creditizio, a nulla rilevando la reperibilità di tali informazioni in momento successivo, in relazione al principio di autosufficienza informativa del messaggio pubblicitario;

c) la sanzione applicata è stata rettamente determinata in funzione della durata e gravità della pratica commerciale scorretta e della sua diffusione spaziale.

Con memoria difensiva depositata il 256 ottobre 2010 e memoria di replica depositata il 29 ottobre 2010, la società ricorrente ha ribadito e ulteriormente illustrato le censure svolte in ricorso, anche in relazione alle avverse deduzioni difensive.

All’udienza pubblica del 10 novembre 2010, il ricorso è stato discusso e deciso come da dispositivo depositato in segreteria, secondo la richiesta espressa della società ricorrente formulata ai sensi dell’art. 119 comma 5 cod.proc.amm.
Motivi della decisione

1.) Il ricorso in epigrafe è fondato limitatamente alle censure dedotte con il quinto motivo e deve essere quindi accolto limitatamente alla misura della sanzione pecuniaria irrogata, con la sua conseguente riduzione.

1.1.) Giova premettere in punto di fatto che:

– a seguito di segnalazione della Guardia di Finanza, con comunicazione del 4 marzo 2009 è stata avviata istruttoria tesa ad accertare se la diffusione di un volantino pubblicitario volto a reclamizzare l’erogazione di prestiti e di mutui, da parte della società I. S.p.A. e del mediatore creditizio indicato nel volantino M.G.D., costituisse pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 20, 21, 22 e 23, comma 1, lettera e) del d.lgs. n. 206/2005;

– il volantino, stampato sui due lati, recava su una facciata la ragione sociale "I. società per azioni", iscrizione U.I.C. n. 29725, con due claim ("nessuna spesa di istruzione pratica" e "anticipi immediati") e sull’altra una tabella con alcuni esempi di finanziamento con indicazione dell’importo delle rate in funzione dell’arco temporale di restituzione, l’avvertenza "TAEG in osservanza del Decreto Legislativo 01 settembre 1993 n. 385 sulla trasparenza delle operazioni finanziarie", l’invito "entra in una delle nostre agenzie ed un nostro collaboratore sarà a tua disposizione per illustrarti altre soluzioni finanziarie" e in un riquadro il timbro "Mediatore creditizio D’Angelo M. G. Ag. 4 Partinico Via Mirabella, n. 2", seguita da un numero di utenza telefonica mobile, nonché di un sito internet (www.italserfin.it) e di un indirizzo di posta elettronica (info@italserfin.it);

– il volantino non recava, invece, alcuna più specifica indicazione delle condizioni economiche di erogazione dei finanziamenti e dell’incidenza delle voci inerenti alla determinazione dei costi complessivi;

– con memorie difensive depositate il 2 aprile 2009 e il 3 giugno 2009, la società I. S.p.A. chiariva:

– di essere società abilitata all’esercizio dell’attività creditizia, operante nel settore del credito garantito, mediante finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio, delegazione di pagamento e prestiti personali convenzionati, a dipendenti di enti pubblici, statali, aziende municipalizzate e società private, regolarmente iscritta nell’elenco tenuto dall’Ufficio italiano dei cambi (U.I.C.) nonché all’Associazione bancaria italiana (A.B.I.);

– che tutte le condizioni economiche, ivi compreso il T.A.E.G. (tasso annuo effettivo globale), il T.A.N. (tasso annuo nominale) e le spese fisse (pari a Euro 250,00) sono puntualmente indicate nella documentazione informativa a disposizione della clientela, predisposta secondo le prescrizioni della deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 4 marzo 2003 e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia del 29 luglio 2003;

– che gli anticipi immediati sono concessi in esito all’esame della documentazione fornita a richiesta dai clienti, previa verifica da parte di consulenti interni della società, in specie e di solito a clienti abituali e fidelizzati;

– che la stessa società aveva commissionato un quantitativo di volantini recanti l’indicazione di T.A.E.G. e T.A.N. e che per mero errore di stampa, avvenuta in fasi discontinue, una parte di essi non conteneva tale indicazione;

– che pertanto la diffusione del volantino carente dei predetti elementi informativi era da ascriversi al mediatore creditizio sig.ra M.G.D., che forse non aveva provveduto a distruggere i volantini privi dell’informazione, nonostante le istruzioni diramate al riguardo dalla società, in via breve e telefonica, o ne aveva fatti stampare altri simili;

– a sua volta il mediatore creditizio sig.ra M.G.D., con memoria difensiva depositata il 2 aprile 2009, ammetteva di aver svolto attività di mediazione in favore della società I. S.p.A. in Partinico sino al 31 dicembre 2008, senza erogare direttamente crediti, e negava di aver incaricato alcuno della stampa o distribuzione del volantino;

– con la deliberazione assunta nella seduta del 22 luglio 2009, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto che la diffusione del volantino pubblicitario integri violazione degli artt. 20, 21, 22 e 23, comma 1 lettera e), del d.lgs. n. 206/2005 "in quanto contraria alla diligenza professionale e idonea a falsare il comportamento del consumatore medio cui sono destinate…(in funzione della)…natura ingannevole nonché omissiva della medesima pratica, nella misura in cui fornisce informazioni non rispondenti al vero, inesatte, incomplete o omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale";

– in particolare, l’Autorità, ferma l’ascrivibilità alla società e al mediatore della diffusione del messaggio pubblicitario, e osservato che "rispetto al settore finanziario, la valutazione della completezza e chiarezza delle informazioni fornite alla clientela vada effettuata in modo particolarmente rigoroso, in considerazione dell’asimmetria informativa esistente tra operatori economici e consumatori, da ricondurre alla complessità della materia e alla scarsa conoscenza del consumatore rispetto ad un servizio cui non si ricorre con frequenza", ha ritenuto che:

– "Il messaggio, riportando delle indicazioni relative ad alcuni esempi di finanziamenti e delle relative rate di rimborso, non indica, tuttavia, chiaramente, gli elementi essenziali da cui ricavare gli esatti costi del finanziamento. Infatti, il TAEG, indicatore che consente al consumatore di valutare e calcolare l’esatto importo dell’intera operazione finanziaria, è unicamente indicato attraverso l’espressione "TAEG in osservanza del Decreto Legislativo 1° settembre 1993 n. 385 sulla trasparenza delle operazioni finanziarie’, che per la sua assoluta genericità non consente al consumatore un effettivo e valido calcolo circa i costi complessivi";

– "L’assenza di puntuali indicazioni circa il TAEG non consente quindi al consumatore di effettuare un’adeguata valutazione della effettiva convenienza dell’offerta, perché lo priva della possibilità di avere contezza del costo complessivo dell’operazione, del costo, cioè, inclusivo degli interessi e di tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito. Per il consumatore, infatti, proprio perché trattasi di un settore particolarmente complesso, è fondamentale avere chiara conoscenza di tale elemento per poter valutare sia l’onerosità dell’operazione sia la convenienza della proposta in raffronto ad altre simili";

– "… il fine promozionale si realizza esclusivamente attraverso il messaggio, il quale esaurisce la sua propria funzione nell’indurre il destinatario a rivolgersi al professionista, cosicché il rinvio a ulteriori fonti informative cui il consumatore è invitato a rivolgersi non può essere ritenuto idoneo a sanare l’incompletezza delle informazioni fornite su elementi riconosciuti essenziali quali le condizioni economiche di offerta del servizio pubblicizzato";

– "Anche con riferimento alla possibilità di concessione di "anticipi immediatì bisogna distinguere a seconda che l’affermazione venga riferita alla I. S.p.A. oppure al mediatore creditizio. Infatti, nel primo caso, l’affermazione risulta ingannevole in considerazione del fatto che per stessa ammissione della società "la concessione di anticipi immediati è subordinata al giudizio insindacabile della Direzione Generale e non costituisce una possibilità riconosciuta a tutti né praticata nello standard lavorativo, essendo limitata per lo più ad ipotesi di clienti abituali e fidelizzati con i quali si pratica una prassi basata su consolidata "fiducia’. Mentre nel caso del mediatore l’ingannevolezza dell’espressione utilizzata deriva dalla natura dell’attività di mediazione

creditizia, che presuppone che i consumatori che avanzino richieste di finanziamento non possono avere, in realtà, alcuna certezza circa la tempistica e la concreta possibilità di ottenere l’anticipo accordato, nei fatti, da un soggetto terzo. Sotto tale aspetto, il messaggio appare omissivo non specificando che l’effettiva immediata concessione di un anticipo è rimessa all’ente erogante non potendo, pertanto, essere garantita", con la conseguenza che "…da una parte, vengono fornite informazioni non veritiere in ordine alla natura del prodotto, dall’altra, vengono omesse informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale", tenuto conto altresì che, per tale profilo, oltre alle riscontrate violazioni degli artt. 21 e 22, sussiste anche quella dell’art. 23 comma 1 lettera e), poiché "…vista l’evidenza che la concessione di anticipi immediati dipende dal giudizio discrezionale del soggetto erogante, il servizio offerto dal mediatore equivale ad un invito all’acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti";

– "Il messaggio è, altresì, ingannevole con riferimento a quanto prospettato dai professionisti circa l’assenza di costi da sostenere e, in particolare, riguardo all’espressione "nessuna spesa di istruzione pratica’. In particolare, si evidenzia che a fronte della conclamata assenza di spese, tutti i contratti di finanziamento depositati sia dalla I. S.p.A. che dalla sig.ra M. G. D’Angelo, per i quali la stessa ha svolto attività di mediazione, contemplano, oltre agli importi dovuti per la remunerazione del capitale, una serie di detrazioni effettuate in sede di liquidazione del prestito a titolo di: "commissioni/spese dell’intermediariò a copertura ad esempio di compensi e prestazioni istruttorie; "Oneri e spese (notifiche, istruttoria, bolli…)’; "Costi assicurativì a copertura del rischio vita, perdita impiego; "Commissioni bancariè che comprendono la remunerazione dell’attività imprenditoriale e prestazioni, quali l’istruttoria, l’esame della documentazione; "Commissioni finanziariè che comprendono la remunerazione dell’attività imprenditoriale e prestazioni, quali l’istruttoria, l’esame della documentazione. Tale circostanza, altresì, è richiamata dalla I. S.p.A. nella propria memoria difensiva, che indica in 250,00 euro l’ammontare delle spese fisse da sostenere per ottenere il finanziamento";

– l’Autorità ha quindi riconosciuto la sussistenza di una pratica commerciale scorretta, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha quantificato la sanzione in misura pari a Euro 50.000,00 nei confronti della I. S.p.A. (e a Euro 5.000,00 nei confronti del mediatore creditizio), in relazione ai rilievi di seguito precisati:

– "Con riguardo alla gravità della violazione si tiene conto, nella fattispecie in esame, dell’ampiezza e della capacità di penetrazione del messaggio, della debolezza dei destinatari, soggetti che presumibilmente versano in una situazione di particolare debolezza psicologica dovuta alle proprie condizioni economiche, nonché dell’entità del pregiudizio potenziale per i consumatori", in ragione altresì dell’esigenza di maggior completezza informativa rispetto alla particolare asimmetria informativa nel settore specifico;

– "Con riferimento all’ampiezza e alla capacità di diffusione del messaggio, quanto alla I. S.p.A. in ragione della modalità di diffusione (trasmissione dei volantini per la distribuzione nei territori di competenza alle filiali di Caserta, Napoli, San Giorgio a Cremano, Salerno, Avellino, Piombino, Grosseto, Catania….)…suscettibile di aver raggiunto un numero elevato di consumatori", a differenza che per la diffusione ad opera del mediatore creditizio nella sola provincia di Palermo;

– "Per quanto riguarda poi la durata della violazione, dagli elementi disponibili in atti, il messaggio pubblicitario risulta diffuso per un periodo di circa due mesi (maggio e giugno 2008)".

1.2) Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente ha dedotto l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, sotto vari profili.

1.2.1) La prima e più radicale censura, di cui al motivo sub 1), attiene alla profilata incompetenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in funzione dell’invocata competenza della Banca d’Italia o dell’Ufficio italiano dei cambi.

La società ricorrente sostiene che il settore dell’attività creditizia è disciplinato in modo compiuto, anche per quanto attiene agli obblighi informativi, dal d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (recante il "Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia"), ed in specie dall’art. 116 e dalle sottostanti prescrizioni del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio e dalle istruzioni della Banca d’Italia, con conseguente assoggettamento alle sole sanzioni stabilite dal predetto testo unico e connessa esclusione, per pratiche commerciali scorrette, dell’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (recante il "Codice del consumo") e della potestà sanzionatoria dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

A sostegno della prospettata incompetenza dell’Autorità intimata è richiamato il noto parere della I Sezione del Consiglio di Stato n. 3999/2008, emanato nell’adunanza del 3 dicembre 2008.

Quest’ultimo, peraltro, come esattamente osservato in replica dall’Avvocatura generale dello Stato, non attiene propriamente al settore del credito, sebbene al settore finanziario, disciplinato dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (recante il "Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria") e dalle sottostanti disposizioni regolamentari della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), onde i principi ivi enunciati non sono immediatamente e automaticamente sovrapponibili alla tematica delle pratiche commerciali scorrette nel settore creditizio.

Osserva il Tribunale che il prospettato profilo d’incompetenza (relativa) dell’A.G.C.M., per quanto suggestivo, è destituito di fondamento giuridico.

Com’è noto, l’art. 116 del d.lgs. n. 385/1993, intitolata alla "Pubblicita", nel testo vigente al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato (la disposizione, già modificata dall’articolo 23 del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, dall’art. 25 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, dall’art. 13 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, dall’art. 1 comma 5, del d.lgs. 29 dicembre 2006 n. 303, è stata infatti da ultimo sostituita dall’art. 4 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141) disponeva che:

"In ciascun locale aperto al pubblico sono pubblicizzati i tassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla clientela e ogni altra condizione economica relativa alle operazioni e ai servizi offerti, ivi compresi gli interessi di mora e le valute applicate per l’imputazione degli interessi. Non può essere fatto rinvio agli usi (comma 1).

Il Ministro del tesoro, sentita la Banca d’Italia, stabilisce, con riguardo ai titoli di Stato:

a) criteri e parametri per la determinazione delle eventuali commissioni massime addebitabili alla clientela in occasione del collocamento;

b) criteri e parametri volti a garantire la trasparente determinazione dei rendimenti;

c) gli ulteriori obblighi di pubblicità, trasparenza e propaganda, da osservare nell’attività di collocamento (comma 2).

3. Il CICR:

a) individua le operazioni e i servizi da sottoporre a pubblicità, sentite la Banca d’Italia e la CONSOB;

b) detta disposizioni relative alla forma, al contenuto, alle modalità della pubblicità e alla conservazione agli atti dei documenti comprovanti le informazioni pubblicizzate;

c) stabilisce criteri uniformi per l’indicazione dei tassi d’interesse e per il calcolo degli interessi e degli altri elementi che incidono sul contenuto economico dei rapporti;

d) individua gli elementi essenziali, fra quelli previsti dal comma 1, che devono essere indicati negli annunci pubblicitari e nelle offerte, con qualsiasi mezzo effettuati, con cui i soggetti indicati nell’art. 115 rendono nota la disponibilità delle operazioni e dei servizi (comma 3).

Le informazioni pubblicizzate non costituiscono offerta al pubblico a norma dell’art. 1336 del codice civile" (comma 4).

E’ evidente, già in prima approssimazione, che la disposizione si riferisce, anzitutto ed essenzialmente, agli obblighi informativi specifici da osservare nei confronti della clientela, in funzione di un contatto commerciale già avvenuto e quindi in fase precontrattuale, come si evince dal richiamo alla presenza della documentazione informativa "in ciascun locale aperto al pubblico", ossia in ogni sede o agenzia dell’intermediario finanziario, rinviando al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio la più puntuale individuazione tipologica delle operazioni e servizi assoggettati a tale "pubblicità", intesa come informativa alla clientela, nonché della sua forma, contenuto, modalità (e conservazione, non per caso concernente le "informazioni pubblicizzate").

Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, con deliberazione del 4 marzo 2003, ha a sua volta, per quanto qui interessa, enucleato quattro forme tipizzate di informazioni alla clientela, con rinvio a ulteriori prescrizioni della Banca d’Italia:

– il cosiddetto "avviso", denominato "principali norme di trasparenza", "…contenente l’indicazione dei diritti e degli strumenti di tutela previsti ai sensi del titolo VI del testo unico bancario", da esporre nei locali aperti al pubblico e tenere a disposizione della clientela (art. 4);

– i "fogli informativi", contenenti indicazioni sull’intermediario, i tassi, le spese, gli oneri e le altre condizioni contrattuali e sui principali rischi dell’operazione o del servizio, da aggiornare debitamente, da tenere a disposizione della clientela e, secondo le prescrizioni della Banca d’Italia, da consegnare al cliente prima della stipulazione del contratto in caso di operazioni e servizi di "particolare complessità" (art. 5);

– gli "annunci pubblicitari", con cui "…l’intermediario rende nota la disponibilità di operazioni e servizi (che) specificano la propria natura di messaggio pubblicitario e indicano che i fogli informativi sono a disposizione della clientela" (art. 6);

– la "informazione precontrattuale", ossia una "copia completa per una ponderata valutazione del contenuto", la cui consegna al cliente "non impegna le parti alla conclusione del contratto".

A sua volta la Banca d’Italia, in base alle richiamate attribuzioni specifiche e a quella più generale dell’art. 13 comma 1 della delibera del C.I.C.R., con atto del Governatore del 25 luglio 2003 ha emanato disposizioni intitolate alla "Trasparenza delle operazioni e dei servizi finanziari", la cui sezione II è rubricata "Pubblicità e informazione precontrattuale", che nel paragrafo I ("Premessa") indica testualmente quali "strumenti di pubblicità delle operazioni e dei servizi offerti e delle relative condizioni contrattuali":

– " "l’ "avvisò contenente le "principali norme di "trasparenza’, atto a richiamare l’attenzione dei clienti sui diritti e sugli strumenti di tutela previsti a loro favore";

– "il "foglio informativo’, contenente informazioni analitiche sull’intermediario e su tassi, spese, oneri ed altre condizioni contrattuali nonché sui principali rischi tipici dell’operazione o del servizio";

– "la copia completa dello schema di contratto che può essere richiesta dal cliente prima della conclusione del contratto";

– "il documento di sintesi delle principali condizioni contrattuali, unito al testo del contratto".

L’art. 6 della richiamata normativa della Banca d’Italia è dedicato, poi, agli "Annunci pubblicitari" e stabilisce che:

"Gli annunci pubblicitari devono essere chiaramente riconoscibili come tali. In particolare, essi specificano:

– la propria natura di messaggio pubblicitario con finalità promozionale;

– che per le condizioni contrattuali è necessario fare riferimento ai "fogli informativi", indicando le modalità in cui questi ultimi sono messi a disposizione dei clienti.

Gli annunci pubblicitari relativi a operazioni di finanziamento nei quali l’intermediario dichiara il tasso di interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, indicano – ove previsti – il TAEG o l’indicatore sintetico di costo, specificando il relativo periodo di validità".

La società ricorrente sostiene che, poiché sia la deliberazione del C.I.C.R. che la normativa sulla trasparenza della Banca d’Italia contemplano gli "annunci pubblicitari", individuandone il contenuto minimo, nessun più generale obbligo informativo ulteriore graverebbe sull’intermediario finanziario nel contatto con i consumatori, onde sarebbero inapplicabili l’art. 21 (in tema di azioni ingannevoli), l’art. 22 (concernente le omissioni ingannevoli) e l’art. 23 (quanto alle pratiche in ogni caso ingannevoli) del d.lgs. n. 206/2005 (come sostituiti dall’art. 1 del d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146).

In sostanza, in relazione alla violazione dell’art. 116 del d.lgs. n. 385/1993 e delle sottostanti disposizioni delle autorità creditizie sarebbe applicabile, nei confronti di amministratori, dirigenti e dipendenti degli intermediari finanziari, con responsabilità solidale e salvo regresso delle banche, società ed enti cui appartengono gli autori della violazione, la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 144 comma 3 del d.lgs. n. 385/1993 (in origine da Lire 2.000.000 a Lire 25.000.000; ora, dopo l’integrale novella di cui all’art. 4 del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, da Euro 5160 a Euro 64.555, ma solo in caso di "…rilevante inosservanza delle norme…e delle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie", con la sanzione accessoria in caso di "violazioni gravi e ripetute" della sospensione o cancellazione dall’elenco degli intermediari finanziari).

In realtà, secondo quanto rilevato da questo Tribunale con giurisprudenza ormai consolidata, e richiamata nelle memorie difensive dell’Avvocatura generale dello Stato, anche nel settore creditizio si delinea, con riferimento all’accertamento e alla repressione delle pratiche commerciali scorrette un conflitto soltanto apparente di norme coesistenti.

Come già osservato nella sentenza di questa Sezione 19 maggio 2010, n. 12277, le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 385/1993 "…debbono tuttavia essere raccordate alla specifica finalità dell’attività di vigilanza affidata alle autorità creditizie, che è principalmente quella di garantire la "sana e prudente gestione dei soggetti vigilati’, la "stabilità complessivà nonché l’efficienza e la competitività del sistema finanziario, unitamente all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. L’interesse pubblico primario affidato all’Autorità di settore riguarda dunque la conformazione del mercato del credito (in particolare attraverso i poteri di vigilanza, di regolazione, o anche solo di moral suasion) ai suindicati obiettivi di stabilità, di competitività e di efficienza.

E’, pertanto, alla luce di tale essenziale funzione che debbono essere interpretate le norme in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali, poste a tutela degli utenti finali nonché quelle, eventualmente elaborate dalle Autorità creditizie, a completamento di siffatta disciplina.

L’Autorità di settore delinea, ex ante, il "quadro" degli obblighi specificamente gravanti sugli operatori vigilati, ma non possiede, a parere del Collegio, alcuna competenza in ordine alla definizione del modello di "professionista diligente", ricavabile dal Codice del Consumo, ed applicato di volta in volta, nella fattispecie concrete, dall’Autorità antitrust.

E’ bene anche ricordare che le due Autorità, antitrust e di settore, sebbene perseguano entrambe, in via diretta o servente rispetto alla cura dell’interesse pubblico primario di cui sono titolari, la tutela del consumatore, lo fanno attraverso strumenti del tutto diversi.

Di talché alcuna sovrapposizione può realmente esservi, se non nell’ipotesi in cui l’intervento dell’Autorità antitrust non si limiti a sanzionare, in concreto, una pratica sleale, ma finisca con l’introdurre, surrettiziamente, misure di tipo regolatorio rientranti nelle prerogative dell’Autorità di settore.

In sostanza, le due Autorità sono fisiologicamente destinate ad operare in maniera complementare, posto che se – come già più volte rilevato dalla Sezione – l’esistenza di un quadro regolatorio evidenzia l’elevato grado di professionalità richiesto alle imprese operanti nel settore, tale disciplina, tuttavia, non esaurisce ogni possibile regola di comportamento esigibile dalle imprese medesime a tutela della libertà di scelta e di autodeterminazione del consumatore".

Nel caso di specie, deve recisamente escludersi che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia in qualsiasi modo, sia pure surrettizio, inteso esercitare attribuzioni di tipo regolatorio che le sarebbero, ovviamente, precluse nel settore creditizio, assoggettato a poteri regolatori e di vigilanza di altre Autorità indipendenti (la Banca d’Italia sulla base degli indirizzi generali del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio).

Essa, infatti, si è limitata a rilevare che il volantino pubblicitario (che in effetti non presenta nemmeno le caratteristiche tipiche dell’annuncio pubblicitario innanzi richiamate perché né specifica espressamente la propria natura di messaggio promozionale, né contiene alcuna espressa indicazione in ordine all’esigenza di fare riferimento ai "fogli informativi" e alle modalità di acquisirne la disponibilità) conteneva elementi confusivi, omettendo informazioni rilevanti ai fini della possibilità del consumatore di assumere una decisione consapevole, anche con riferimento alla scelta di rivolgersi alla società o al mediatore creditizio, quali la precisa indicazione del T.A.E.G. (per il quale nei volantini acquisiti a seguito della segnalazione della Guardia di Finanza si faceva rinvio affatto generico, e come tale inidoneo, a "TAEG in osservanza del Decreto Legislativo 01 settembre 1993 n. 385 sulla trasparenza delle operazioni finanziarie"), e contenendo indicazioni confusive e ingannevoli circa la possibilità di "anticipi immediati", sottacendo che la loro erogazione era soggetta a valutazioni affatto discrezionali dell’intermediario, e in pratica ristretta (come ammesso dalla società ricorrente) ai soli "clienti abituali e fidelizzati", nonché in ordine all’assicurazione che non vi era "nessuna spesa di istruzione pratica", laddove invece, secondo quanto pure ammesso dalla società ricorrente tale spesa era sussistente e si aggirava su somma non irrisoria (Euro 250,00).

Alla stregua dei rilievi che precedono, è confermata, pertanto, l’infondatezza della più radicale censura d’incompetenza dedotta con il primo motivo di ricorso.

1.2.2) Con il motivo di ricorso sub 2), si deduce l’inidoneità delle omissioni informative e degli altri claims riferiti alla possibilità di "anticipi immediati" e all’assenza di spese di istruzione della pratica a incidere sul comportamento economico del consumatore, poiché, in ogni caso, tutte le informazioni rilevanti (avviso, foglio informativo, documento di sintesi, schema di contratto) sono messi a sua disposizione prima della conclusione del contratto, e comunque a informazioni più dettagliate è possibile accedere in funzione dell’indicazione nel volantino del sito internet della società ricorrente (www.italserfin.it) e del suo indirizzo di posta elettronica (info@italserfin.it).

Al riguardo deve rammentarsi che è orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e pacifico quello della c.d. autosufficienza informativa, secondo il quale l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario non è esclusa dalla possibilità che il consumatore, contattando l’impresa di cui è pubblicizzata l’attività, sia posto in condizione, prima della stipula del contratto, di acquisire maggiori dettagli, in quanto la verifica condotta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato riguarda il messaggio pubblicitario in sé, e, pertanto, la sua idoneità a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili a contatto già avvenuto, e quindi, ad effetto promozionale ormai prodotto (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 14 settembre 2009, n. 8670), non potendosi riconoscere che una sorta di "attitudine eterointegrativa", costituita dal rinvio ad altri mezzi informativi, possa valere ad elidere la violazione degli obblighi del professionista in relazione ad un’informazione strutturalmente carente.

1.2.3) Con il motivo di ricorso sub 3), la società ricorrente contesta che nel volantino pubblicitario dovesse essere indicato il T.A.E.G. e che i claims relativi all’erogazione di "anticipi immediati" e all’assenza di spese di istruzione della pratica abbiano portata ambigua e confusiva.

Quanto alle invocate disposizioni della deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 4 marzo 2003 e della normativa sulla trasparenza della Banca d’Italia del 27 luglio 2003, deve ribadirsi che la circostanza che più dettagliate e complete informazioni sui tassi d’interesse, i costi e gli oneri delle operazioni creditizie debbano essere recati dalla documentazione informativa da mettere a disposizione del cliente, a contatto avvenuto, non esclude affatto che l’operatore pubblicitario debba assicurare, nell’ambito della diligenza professionale esigibile in un settore delicato quale quello dei servizi di credito, una informazione corretta e minimamente esauriente e idonea nei mezzi pubblicitari indirizzati a reclamizzare la propria attività almeno sugli elementi conoscitivi fondamentali ai fini della possibilità per il consumatore di valutare, prima facie, la convenienza e l’opportunità di rivolgersi alla società o al mediatore creditizio.

Il T.A.E.G. (tasso annuale effettivo globale), o indice sintetico di costo (I.S.C.), in quanto comprensivo non soltanto del costo di remunerazione del credito sebbene anche delle spese accessorie obbligatorie inerenti il finanziamento, ivi comprese assicurazioni obbligatorie, spese di istruttoria della pratica e commissioni d’incasso, assume intuitivo e fondamentale rilievo informativo, tanto più evidente in operazioni di credito dirette verso consumatori "minori", che accedono a quella particolare forma di finanziamento costituito dal "prestito dipendenti" o c.d. "cessione del quinto dello stipendio", ossia a finanziamenti personali, a tasso d’interesse fisso, con rimborso a rate costanti eseguite mediante trattenute sulla retribuzione da parte del datore di lavoro (pubblico o privato).

L’incidenza dell’omissione informativa è tanto più rimarchevole, poi, quando, come nel caso di specie, altri elementi del messaggio pubblicitario, per loro intrinseca ambiguità, assumono portata confusiva, lasciando intendere che il prestito sia particolarmente vantaggioso, per la possibilità di "anticipi immediati", senza alcuna specificazione atta a consentire di comprendere che essi sono ristretti, secondo le valutazioni della società finanziaria, soltanto a particolari categorie di consumatori, ossia, come riconosciuto dalla ricorrente, ai soli "clienti abituali o fidelizzati" (e quindi, a consumatori che, in effetti, già rientrano nella clientela della società, e ai quali, dunque, non è diretto in effetti il claim pubblicitario), e per l’assenza di spese di istruzione della pratica, al contrario presenti e corrispondenti a somma non irrisoria (Euro 250,00 secondo quanto riconosciuto dalla società finanziaria).

D’altro canto, non è sicuramente priva di significato la circostanza che la stessa società finanziaria abbia avuto cura di far stampare (o ristampare) volantini recanti l’informazione omessa (con indicazione di un T.A.N. pari al 4,750% e di un T.A.E.G. pari a seconda della rateazione a sessanta o centoventi mesi al 8,570% e al 7,200%), così manifestando piena consapevolezza della sua assoluta rilevanza anche ai fini della preliminare valutazione di opportunità e convenienza dei consumatori in ordine al successivo contatto con la società e il mediatore creditizio.

1.2.4) Prive di qualsivoglia riscontro probatorio sono, invece, le censure prospettate con il motivo di ricorso sub 4), tese ad accreditare la tesi che i volantini privi delle informazioni rilevanti siano stati stampati "per errore" e distribuiti all’insaputa della società o addirittura contro le sue indicazioni.

E’ evidente, infatti, che l’operatore pubblicitario ha l’onere di assicurarsi che i propri messaggi siano completi di tutte le indicazioni necessarie e non può che imputare a se l’incompletezza dei medesimi, dovendo nel caso di specie verificare, prima del rilascio per la stampa della bozza del volantino, se esso conteneva tutti gli elementi informativi, e soprattutto dovendo curarne il ritiro e assicurarsi che il mediatore creditizio, che li "personalizza" mediante apposizione di proprio timbro, non provveda comunque alla loro diffusione.

Ne consegue che il fatto obiettivo della distribuzione di volantini privi degli elementi informativi è necessariamente imputabile tanto alla società ricorrente, che ne ha ordinato la stampa dopo averne definito il contenuto e la presentazione grafica, quanto al mediatore creditizio (che peraltro non risulta aver impugnato il provvedimento) che li ha personalizzati e ha provveduto alla diffusione.

E ciò a prescindere dal rilievo che anche l’esemplare di volantino esibito dalla società ricorrente è pur sempre connotato dalle indicazioni ambigue e di portata confusiva concernenti la possibilità di "anticipi immediati" e dall’assenza di spese di istruzione della pratica.

1.2.5) Sono invece fondate le censure dedotte con il quinto motivo di ricorso, relative all’entità della sanzione irrogata, pari a Euro 50.000,00 in quanto non motivatamente parametrata all’effettiva consistenza e gravità della condotta commissiva sanzionata e alla personalità dell’autore della violazione.

Com’è noto, ai sensi dell’art. 27 comma 9 del d.lgs. n- 206/2005, l’Autorità, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, applica una sanzione pecuniaria da Euro 5.000,00 a Euro 500.000,00, "…tenuto conto della gravità e della durata della violazione".

In effetti il richiamo, di cui al successivo comma 13, alle disposizioni di cui al capo I sezione I della legge 24 novembre 1981, n. 689 (oltre che agli artt. 26, 27, 28 e 29 della stessa legge), implica l’obbligatorio riferimento, nella commisurazione della sanzione amministrativa pecuniaria, all’art. 11 della legge n. 689/1981, a tenore del quale: "Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo e un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche".

Né può obliterarsi che in generale, in tema di sanzioni irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (e sia pure con riferimento a quelle previste dalla legge 10 agosto 1990, n. 287 e in specie dall’art. 15 in tema di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante) la giurisprudenza amministrativa era già ferma e consolidata nell’ammettere che, ad onta del testuale e circoscritto riferimento della sfera cognitoria del G.A. ai soli ambiti della giurisdizione esclusiva (e dunque non anche ad una giurisdizione estesa al merito), trovava applicazione l’art. 23 comma 11 della legge n. 689/1981 che consente al giudice non soltanto di annullare, in tutto o in parte, il provvedimento irrogativo della sanzione ma altresì di "modificarlo" "anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta", ammettendo così un potere riduttivo della misura della sanzione medesima (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 20 febbraio 2009, n. 595 e 597).

Nell’ambito dei poteri di giurisdizione di merito attribuiti al giudice amministrativo dal combinato disposto degli artt. 7 comma 6 e 134 comma 1 lettera c) del cod. proc. amm., è invece ormai acquisito che la misura della sanzione pecuniaria possa essere rideterminata direttamente dal giudice amministrativo.

Orbene, la deliberazione impugnata, nell’irrogare una sanzione pecuniaria di Euro 50.000,00 -corrispondente ad un decimo del massimo edittale pari a Euro 500.000,00 non ha tenuto nel debito conto la complessiva personalità dell’operatore professionale, manifestata dalla condotta procedimentale improntata comunque ad uno sforzo collaborativo, come comprovata sia dalla pronta esecuzione di tutti gli incombenti istruttori richiesti, né ha adeguatamente considerato la durata non eccessiva della diffusione del messaggio (due mesi) e la sostanziale desistenza dalla pratica commerciale in relazione alla sostituzione dei volantini con altri recanti le indicazioni originariamente omesse, almeno quanto al T.A.E.G. e al T.A.N.

La considerazione di tutte le circostanze oggettive e soggettive sopra indicate consente quindi di rilevare che la sanzione amministrativa pecuniaria, nella misura applicata, non è coerente con il principio di proporzionalità, rispetto al quale risulta più adeguata e ragionevole una sanzione corrispondente a 3/5 di quella irrogata, e quindi ridotta ad Euro 30.000,00.

2.) In conclusione, il ricorso in epigrafe deve essere accolto, con l’annullamento della deliberazione impugnata e la rideterminazione della sanzione pecuniaria amministrativa in misura pari a Euro 30.000,00 (trentamila/00).

3.) Sussistono giusti motivi, in relazione all’accoglimento del ricorso limitatamente alla misura della sanzione, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e onorari del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso per la parte relativa alla misura della sanzione amministrativa pecuniaria, rideterminata in Euro 30.000,00. (trentamila/00).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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