Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-07-2011, n. 15478 Responsabilità civile

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tuto Procuratore Generale dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 27.3.1995 l’Inail, premesso che il 6 aprile 1989 ,si era verificato in orario lavorativo un incidente stradale tra il motociclo condotto dal suo assicurato, P. E., e la vettura MG di proprietà di G.R., condotta da V.R., nel corso del quale il P. era deceduto, e premesso di aver pagato agli eredi l’indennizzo previsto in caso di infortunio sul lavoro, conveniva in giudizio il V., il G., la Tirrena Assicurazioni in l.c.a. e la Maa Assicurazioni, ora Milano Assicurazioni Divisione Nuova Maa, quale impresa designata per il Fondo di Garanzia, al fine di sentir dichiarare la responsabilità del G. e del V. per l’incidente stradale e per l’effetto condannare gli stessi e le compagnie assicuratrici a pagare ad essa Inail, in via solidale e/o alternativa, la somma di L. 131.889.883. Nel corso del giudizio, in cui il G. negava la propria responsabilità per aver il V., titolare di un’officina di riparazione, messo in circolazione la vettura contro le sue precise disposizioni, l’Inail nell’udienza di conclusioni chiedeva dichiararsi la cessazione della materia del contendere per effetto di definizione stragiudiziale raggiunta con la Tirrena. Con sentenza del 16.12.2004 il Tribunale adito dichiarava cessata la materia del contendere condannando l’Inail a rifondere al G. le spese processuali.

Avverso tale decisione l’Inail proponeva appello ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data il 13 marzo 2009, in accoglimento dell’impugnazione, dichiarava compensate le spese del giudizio di primo grado e condannava il G. alle spese del giudizio di appello.

Avverso la detta sentenza quest’ultimo ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato con memoria. Resiste con controricorso l’Inail, che ha depositato a sua volta memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

E’ opportuno premettere che la prima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 345 c.p.c. nonchè della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, è stata conclusa dal solo quesito di diritto, così formulato: "se sia corretta l’interpretazione della Corte d’Appello di Milano, nel l’impugnata sentenza, che ritiene non possa ravvisarsi domanda nuova in caso di difformità tra le conclusioni esposte in atto di citazione e quelle esposte nell’udienza di precisazione delle conclusioni, in particolare quando vi sia difformità nell’indicazione della parte cui era rivolta la domanda".

Ciò posto, si deve innanzitutto rilevare l’inammissibilità del profilo di doglianza, attinente al vizio motivazionale, in quanto non è stato accompagnato dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), volto a circoscriverne puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

E ciò, alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui "in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la "ratio" dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (S.U. 5624/09, Cass. 5471/08).

Quanto al profilo, riguardante la pretesa violazione dell’art. 345 c.p.c., torna utile chiarire che, ad avviso del ricorrente, la Corte avrebbe sbagliato quando, nell’interpretare la domanda di appello, ha ritenuto che l’Inail era incorso in un mero errore materiale nell’indicare nel V., piuttosto che nel G., la parte a cui carico andavano poste le spese del giudizio di secondo grado. Al contrario – così scrive il ricorrente – non vi era alcun motivo per considerare frutto di errore materiale la domanda dell’Inail nei confronti del V., il quale ben poteva essere ritenuto responsabile del sinistro. Con la conseguenza che la domanda avanzata nei suoi confronti avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per violazione dell’art. 345 c.p.c. in quanto proposta per la prima volta in secondo grado contro un soggetto diverso da quello indicato in prime cure. Anche tale censura è inammissibile. In primo luogo, perchè il quesito di diritto, basato su una pretesa violazione dell’art. 345 c.p.c., non è assolutamente in correlazione con le ragioni della decisione fondate invece sulla sussistenza di un evidente errore materiale in cui, nelle conclusioni dell’appello, era caduta l’Inail posto che il vero soccombente – così scrive la Corte – doveva essere ritenuto il G.. Ed invero, il quesito di diritto non contiene il minimo accenno all’errore materiale posto dalla Corte a fondamento della propria decisione.

In secondo luogo, deve considerarsi che l’interpretazione della domanda, sia di primo grado che di appello, è attività discrezionale del giudice di merito ed in quanto tale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione, profilo che nel caso di specie è stato già ritenuto inammissibile in quanto la relativa censura non è stata accompagnata dal prescritto momento di sintesi. La successiva doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c., è conclusa dal seguente quesito di diritto: "se sia corretta l’interpretazione della Corte d’Appello di Milano, che ha ritenuto di compensare le spese di giudizio di primo grado in mancanza di espressa domanda in tal senso dell’appellante, considerato il divieto dell’art. 112 c.p.c.. La censura è con tutta evidenza infondata. Ed invero, occorre considerare, a riguardo, che il giudice dell’appello è tenuto a provvedere anche d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese di entrambi i gradi, anche se la statuizione sulle spese non sia stata investita da specifico motivo di appello, quando riforma in tutto o in parte la sentenza di primo grado poichè, in base al principio fissato dall’art. 336, comma 1, la riforma parziale della sentenza di primo grado determina la caducazione del capo della pronuncia, parzialmente riformata, che ha statuito sulle spese, con la conseguenza che deve rinnovare totalmente la regolamentazione di tali spese, alla stregua dell’esito finale della lite (cfr. ex multis Cass. 5894/06, 18238/06, 12963/07, 13059/07, 16132/05, 12733/04, 14626/04, 4520/04, 12413/03, 10405/03) Passando infine all’esame dell’ultima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2054 c.c.", deve rilevarsi che, ad avviso del ricorrente, la Corte d’Appello di Milano avrebbe sbagliato quando ha ritenuto che la circolazione dell’auto, data in consegna al titolare di autofficina senza assicurazione e bollo di circolazione (perchè auto d’epoca e da collezione) non fosse avvenuta, per tali motivi, necessariamente contro la volontà del proprietario.

La censura è inammissibile ancor prima che infondata. Ed invero, è inammissibile perchè contiene censure di merito e, pur deducendo apparentemente un vizio di legittimità, mira nella sostanza ad una nuova valutazione delle risultanze processuali che è preclusa in sede di legittimità. E’ inoltre infondata in quanto, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, il mero fatto di dare in consegna l’auto senza assicurazione e bollo di circolazione non integra, di per sè, la prova certa che la circolazione dell’auto sia avvenuta contro la volontà del proprietario. A riguardo, mette conto di sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui "Ad integrare la prova liberatoria dalla presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c., comma 3, non è sufficiente dimostrare che la circolazione del veicolo sia avvenuta senza il consenso del proprietario, ma è al contrario necessario che detta circolazione sia avvenuta contro la sua volontà, la quale deve estrinsecarsi in un concreto ed idoneo comportamento specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo mediante l’adozione di cautele tali che la volontà del proprietario non possa risultare superata. (in un’ipotesi in il proprietario aveva affidato il veicolo ad un depositario, così Cass. n. 10027/2000). Ed invero, la volontà del proprietario, al fine di sottrarsi alla presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c., comma 3, deve estrinsecarsi in un concreto ed idoneo comportamento ostativo, specificamente inteso a vietare ed impedire la circolazione del veicolo ed estrinsecatosi in atti e fatti rivelatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (Cass. n. 15521/06).

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che la censura deve essere disattesa ed il ricorso in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, a favore del controricorrente, senza che occorra provvedere sulle spese in favore delle altre parti in quanto, non essendosi costituite, non ne hanno sopportate.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida, a favore del controricorrente, in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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