T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 18-04-2011, n. 3359 Commissione giudicatrice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Espone la ricorrente di aver preso parte, nei giorni 19, 20 e 21 novembre 2008, alle prove scritte del concorso per esami a 500 posti di magistrato ordinario indetto con decreto ministeriale del Ministro della Giustizia del 27 febbraio 2008.

L’interessata, in esito alla correzione degli elaborati, riportava una valutazione positiva nella prova di diritto civile e in quella di diritto amministrativo.

Veniva tuttavia ritenuta "non idonea" in diritto penale.

Avverso siffatta valutazione, deduce:

1) Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà, travisamento dei fatti. Violazione /o falsa applicazione dei criteri di valutazione delle prove scritte. Manifesta ingiustizia e disparità di trattamento.

Parte ricorrente pone a raffronto la struttura della prova in cui è risultata non idonea ("Premessi adeguati cenni sul nesso causale, anche alla luce della teoria del rischio, si soffermi il candidato, nell’ambito dei reati derivanti da infortunio sul lavoro: a) sui criteri di individuazione del responsabile all’interno dell’impresa; b) sull’eventuale interruzione del nesso causale nel verificarsi dell’evento delittuoso"), con i preordinati criteri di valutazione, evidenziato come il proprio elaborato si presenti chiaro e logico, oltre che caratterizzato da rigore metodologico e da assenza di errori di grammatica e sintassi.

Gli argomenti trattati sono comunque tutti pertinenti al tema proposto e dimostrano una conoscenza adeguata dell’istituto.

Il tema si compone di otto pagine, a fronte di una traccia che si sviluppa in due parti.

Vi è bilanciamento tra di esse nello sviluppo dell’elaborato.

2) Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 3 l. n. 241/90. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. Contraddittorietà. Illogicità.

L’avversato giudizio di non idoneità non si rivela, inoltre, supportato da motivazione alcuna; ulteriormente osservando come i preordinati criteri di valutazione avessero carattere assolutamente generico.

Si costituiva, per resistere, l’amministrazione intimata.

Con ordinanza n. 9249 del 3.12.2009, veniva respinta l’istanza cautelare.

Dopo avere avuto accesso agli elaborati di diritto penale risultati idonei, parte ricorrente articolava motivi aggiunti, deducendo:

1) Violazione e/o falsa applicazione dei criteri di valutazione delle prove scritte. Illogicità. Irragionevolezza. Manifesta ingiustizia e disparità di trattamento. Mancanza di idonei parametri di riferimento.

Accanto a numerosi elaborati obiettivamente carenti nel loro contenuto, ve ne sono altri che non toccano per niente almeno uno dei profili indicati dalla traccia di esame, altri ancora con importanti errori grammaticali, ed altri, infine, illeggibili, sia per la pessima grafia, sia per la presenza di numerose cancellature.

Il ricorso, e i motivi aggiunti, sono stati assunti in decisione alla pubblica udienza del 9 marzo 2011.

2. Il ricorso, e i motivi aggiunti, sono infondati e debbono essere respinti.

2.1. Destituita di fondamento appare, in primo luogo, la censura relativa al difetto di motivazione che inficerebbe il giudizio di non idoneità, la cui formulazione non consentirebbe di ricostruire l’iter logico seguito dalla Commissione.

2.2.1 Costituisce ormai principio consolidato quello secondo cui le valutazioni espresse da una Commissione di concorso nelle prove scritte e orali dei candidati costituiscono espressione di un’ampia discrezionalità tecnica; e, come tali, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate, "ictu oculi" da eccesso di potere, sub specie delle figure sintomatiche dell’arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità e travisamento dei fatti.

La giurisprudenza ha pure avuto modo di evidenziare che il voto numerico (ovvero, come nel caso in esame, il conclusivo giudizio) costituisce espressione sintetica, ma esaustiva, della valutazione della Commissione, soddisfacendo adeguatamente l’onere della motivazione previsto dall’art. 3 della legge 241/1990, e, più in generale, dei principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione.

Una disposizione come quella contenuta nell’art. 1, comma 5, del D.Lgs. 5 aprile 2006 n. 160 (recante "Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150"), il quale prevede che:

– "sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di dodici ventesimi di punti in ciascuna delle materie della prova scritta"

– e che "agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo", non viola le ricordate disposizioni in tema di motivazione del giudizio di inidoneità.

Invero, il meccanismo delineato dalla predetta normativa, non costituisce il frutto di una mera attività materiale dell’Amministrazione, ma è espressione di una valutazione, positiva o negativa dell’elaborato: mentre, nel primo caso, alla valutazione positiva segue l’attribuzione di un punteggio, nel secondo caso viene espresso un giudizio di inidoneità che implica, senza alcuna possibilità di dubbio, il mancato raggiungimento della sufficienza.

In altri termini, il giudizio di inidoneità contiene in sé, implicitamente e manifestamente, una valutazione di insufficienza della prova concorsuale che del tutto inutilmente dovrebbe essere ulteriormente esplicitato.

Un difetto di motivazione di tale giudizio di inidoneità potrebbe apprezzarsi solo ove il candidato offrisse elementi idonei a supportare l’arbitrarietà o l’irragionevolezza del giudizio, quantomeno relativamente ai criteri predeterminati dalla Commissione, elementi tutti che, nel caso di specie, non ricorrono.

Non appare idonea, a tal fine, l’analisi che la ricorrente stessa propone del proprio elaborato, operando una evidente, quanto non consentita, sovrapposizione all’apprezzamento discrezionale della Commissione esaminatrice.

Agli elaborati è stato dunque dato un giudizio di inidoneità che appare sufficiente ad esprimere correttamente la valutazione effettuata dalla Commissione, non essendovi neanche l’onere di indicare un voto.

2.2.2. Va dunque confermato, sulla base di quanto dianzi esposto, l’orientamento ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa – consolidato al punto da costituire "diritto vivente" e giudicato conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa dalla Corte Costituzionale (sentenza 30 gennaio 2009 n. 20) – secondo cui nelle procedure concorsuali, ove la valutazione del merito del candidato esprime un giudizio strettamente valutativo del grado di preparazione e di idoneità culturale (e non una ponderazione fra una pluralità di interessi in gioco ai fini dell’adozione di una statuizione provvedi mentale), il voto numerico è di per sé idoneo a identificare il livello di sufficienza o di insufficienza della prova sostenuta, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2009 n. 2880 e 11 luglio 2008 n. 3480; C.G.A.R.S., 7 ottobre 2008 n. 837).

Proprio la sopra citata pronunzia del giudice delle leggi – quantunque riferita all’esame di abilitazione alla professione forense – reca univoche indicazioni che inducono il Collegio a disattendere, in quanto infondate, le questioni di legittimità costituzionale dalla parte ricorrente sollevate con riguardo al fondamento normativo che consente, nel concorso per l’accesso in magistratura, l’espressione del giudizio mediante coefficienti numerici e, nel caso di prove insufficienti, mediante indicazione di "non idoneità".

La Corte infatti:

– pur nel rammentare di aver "in plurime decisioni,… escluso che la tesi dell’insussistenza, nell’ordinamento vigente, di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione e della idoneità degli stessi punteggi numerici a rappresentare una valida motivazione del provvedimento di inidoneità costituisse una interpretazione obbligata e univoca della normativa vigente (ordinanze n. 466 del 2000, n. 233 del 2001, n. 419 del 2005 e, da ultimo, n. 28 del 2006)";

– ha tuttavia rilevato che "nella più recente evoluzione della giurisprudenza del Consiglio di Stato, tale tesi si è ormai consolidata, privando la tesi minoritaria, ancora adottata in alcune isolate pronunce, di ogni concreta possibilità di definitiva affermazione giurisprudenziale";

– conclusivamente prendendo atto "della circostanza che la soluzione interpretativa offerta in giurisprudenza costituisce ormai un vero e proprio "diritto vivente"".

Sotto altro profilo, neppure può ritenersi che la Commissione di concorso sia venuta meno all’obbligo di predeterminare i criteri di valutazione degli elaborati.

Nella seduta del 2 dicembre 2008, essa aveva infatti stabilito di considerare idoneo il singolo elaborato che:

a) "presenti una forma italiana corretta sotto il profilo lessicale, sintattico e grammaticale, e riveli adeguata padronanza della terminologia giuridica, unita a capacità di sintesi. In particolare, la chiarezza va valutata in relazione alla linearità del periodo ed alla comprensibilità del contenuti nonché alla precisione del linguaggio comune e giuridico";

b) "offra una pertinente ed esauriente trattazione del tema, dimostrando adeguata conoscenza dell’istituto cui direttamente esso si riferisce, dei principi fondamentali della materia, della giurisprudenza e della dottrina, nonché un’adeguata capacità di inquadramento dogmatico e sistematico";

c) "riveli la capacità del candidato di procedere all’analisi delle specifiche questioni a lui sottoposte e di proporne una soluzione logicamente argomentata in coerenza con gli istituti e i principi della materia".

I criteri generali di valutazione, contenendo indicazioni di massima sulle caratteristiche che l’elaborato deve possedere per poter essere considerato idoneo, appaiono funzionali alla finalità per la quale la Commissione li ha previsti.

Al riguardo, la Sezione ha più volte ribadito che i criteri di valutazione delle prove scritte in cui si articola il concorso per uditore giudiziario non necessitano di particolare illustrazione essendo sostanzialmente in re ipsa, a differenza che in altre ipotesi di procedimenti concorsuali, come ad esempio nelle gare pubbliche di appalto aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l’intensità della discrezionalità tecnica dell’amministrazione è espressa anche dalla variabilità degli elementi da valutare, con la conseguente esigenza di individuare ed esplicitare gli elementi stessi (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, sez. I, 3 luglio 2007 n. 5941).

3. Parimenti infondati appaiono i motivi aggiunti, incentrati sul vizio di disparità di trattamento, nonché sulla pretesa disomogeneità nella valutazione della prova di diritto penale, che la ricorrente pretende di trarre dal raffronto con un gruppo di elaborati, estrapolati tra quelli che hanno superato la soglia di idoneità.

Al riguardo, vengono in rilievo i limiti entro cui è consentito il vaglio giurisdizionale in ordine all’esercizio della discrezionalità valutativa, dovendo in proposito ricordarsi che il giudizio di legittimità non può trasmodare nel rifacimento, ad opera dell’adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione della stessa, potendo l’apprezzamento tecnico della Commissione essere sindacabile, soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Come più volte affermato in giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità di trattamento, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (ex multis Cons. St., sez. IV, 17 gennaio 2006, n. 172).

Pur in presenza del superamento dell’equazione concettuale tra discrezionalità tecnica e merito, quest’ultimo riservato all’amministrazione nella determinazione del regolamento di interessi più opportuno, e dunque insindacabile, nondimeno il limite del controllo giurisdizionale è dato dal fatto che l’applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza; ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (si confronti, in proposito, la sentenza 25 giugno 2004 n. 6209 di questa Sezione).

Deve, pertanto, ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa modalità di soluzione del tema oggetto di concorso, anche ove supportata dall’allegazione di pareri "pro veritate", atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell’operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

In altri termini, se, per un verso, non è ammissibile un rifacimento, da parte del Tribunale, del giudizio della Commissione in sostituzione di questa, in quanto non consentito alla luce degli evidenziati limiti del sindacato del giudice amministrativo, va altresì evidenziato che in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura concorsuale, ciò che assume rilievo non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche prescelte e la preparazione, ma anche la modalità espositiva, la capacità argomentativa e quell’insieme di qualità intellettive che l’esercizio di una professione altamente specializzata richiede.

Fermi i suesposti limiti del sindacato giurisdizionale, va rilevato come le censure ricorsuali non prospettino alcun vizio della funzione valutativa avente i ricordati caratteri di macroscopicità ed immediata evidenza, risolvendosi esse in mere asserzioni di natura soggettiva in ordine alla meritevolezza dell’elaborato.

Va in proposito ricordato che non possono trovare ingresso, nell’ambito del consentito sindacato di legittimità, censure volte a proporre diversi giudizi di valore della prova, attenendo esse a profili inerenti il merito dell’attività valutativa, che è rimesso esclusivamente alla Commissione ed è sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo, il quale non può giustapporre alla valutazione della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione, implicando, l’indagine proposta, un completo rifacimento, da parte del Tribunale, del giudizio della Commissione in sostituzione di questa, precluso alla luce degli evidenziati limiti del sindacato del giudice amministrativo.

Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, la sindacabilità del giudizio espresso dalla Commissione di concorso transita esclusivamente attraverso il riscontro di tipologie inficianti rilevanti sub specie della macroscopica ed evidente illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o, ancora, della manifesta disparità di trattamento o del travisamento del fatto.

Pur nel ribadire che, all’interno del controllo giurisdizionale sull’esercizio del potere che ha quale presupposto la valutazione di un fatto, in base a conoscenze scientifiche, nella fattispecie derivanti dalla scienza giuridica, la cognizione del giudice amministrativo è comunque piena e non solo estrinseca e che essa, conseguentemente, investe non solo le modalità del procedimento valutativo ma anche l’attendibilità del giudizio espresso dall’organo amministrativo, va nondimeno dato atto che il limite oggettivo di tale apprezzamento è determinato dall’opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica e dall’impossibilità per il giudice di sostituirsi all’Amministrazione, in quanto il potere di valutazione è stato attribuito dall’ordinamento all’Amministrazione stessa e non si verte in tema di giurisdizione di merito (si confrontino, nell’ambito delle numerose pronunce rese dal giudizi d’appello con carattere puntualmente confermativo dell’orientamento della Sezione sopra esposto: Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 novembre 2008 n. 5862; 30 settembre 2008 n. 4724; 11 aprile 2007 n. 1463; 22 marzo 2007 n. 1390).

Alla luce di quanto appena evidenziato, non risulta utilmente invocabile, il raffronto con gli elaborati di candidati giudicati idonei, dovendo in proposito ricordarsi che il vizio di disparità di trattamento postula l’identità o la totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto (ex plurimis: Consiglio di Stato – Sez. IV – 12 febbraio 2010 n. 805; 2007 n. 1390) e dovendo affermarsi l’irrilevanza, in genere, per un candidato, del giudizio reso in favore di altro concorrente laddove la valutazione delle prove di quest’ultimo non abbia tenuto conto di errori o imperfezioni commesse dal primo.

4. In definitiva, per quanto argomentato, il ricorso, e i motivi aggiunti, debbono essere respinti.

Le spese seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso, e i motivi aggiunti, di cui in premessa, li respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 1.000 (mille/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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