Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 20-04-2011, n. 15818 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Milano rigettava l’appello proposto avverso l’ordinanza che aveva negato la revoca della misura della custodia in carcere nei confronti di F.N. in relazione al delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, denominata Locale di Legnano – Lonate – Pozzolo, in veste di promotore e in relazione ai reati di usura ed estorsione.

Preliminarmente affrontava la questione della inutilizzabilità delle intercettazioni disposte su due utenze dell’indagato a partire dal 5/9/2006, data in cui il decreto di proroga era stato ritenuto idoneo a legittimare le intercettazioni come fosse una nuova autorizzazione.

Nel caso di specie si era verificato che il P.M. aveva chiesto la proroga delle intercettazioni con molto anticipo sulla scadenza dei decreti ed il GIP gliela aveva restituita dicendo che avrebbe dovuto presentarla in prossimità della scadenza, quindi non vi era stato un diniego di proroga ma una decisione interlocutoria.

Il P.M. aveva frainteso il contenuto della decisione, tanto che alla scadenza non aveva chiesto la proroga, e ritenendo di averla già avuta, al maturare della successiva proroga, aveva presentato una nuova istanza di proroga che era stata concessa. Ne conseguiva che mentre le intercettazioni erano inutilizzabili per il periodo che andava dalla proroga non disposta fino alla nuova proroga, per quelle avvenute successivamente erano utilizzabili, anche se fondate solo su un provvedimento di proroga e non di nuova autorizzazione. Ovviamente doveva esaminarsi il provvedimento di proroga per verificare che, aldilà del nome, contenesse tutti i requisiti di un provvedimento di autorizzazione e nel caso di specie questi elementi vi erano, sia pure per un richiamo per relationem ai gravi indizi di reato e alla necessità di provvedere con detto mezzo alle indagini, contenuti nelle valutazioni del P.M. e della P.G. Gli atti infatti sui quali si fondavano le proroghe erano le note dei carabinieri che seguivano gli incontri dell’indagato con gli altri associati e la richiesta del P.M. che individuava i reati per i quali si stava procedendo; la circostanza che tali elementi scaturissero anche da intercettazioni inutilizzabili era irrilevante, visto che da intercettazioni inutilizzabili ben potevano scaturire atti di indagine autonomi.

Venendo all’esame dei gravi indizi rilevava il tribunale che essi erano costituiti da alcune pronunce, anche definitive, che avevano riconosciuto l’esistenza della compagine mafiosa di cui si trattava e dalla forza intimidatrice della stessa che emergeva con evidenza per lo scarso numero di denunce presentate dalle persone offese, per la reticenza delle vittime; inoltre il clan operante al nord ricalcava nella sua struttura quella dei locali calabresi.

Quanto al ruolo svolto dall’indagato esso si fondava sui risultati delle intercettazioni dalle quali emergeva che F. svolgeva un ruolo dominante istruendo i seguaci sui criteri che regolavano la vita del clan, sui doveri e diritti degli affiliati, delineando un vero e proprio manifesto, e richiamando coloro che non vi si attenevano. Dai servizi di appostamento era emerso che egli incontrava capi clan e persone potenti legate ai clan, e partecipava a riunioni strategiche. Era inoltre addentro al meccanismo delle società operanti nei settori edilizio e immobiliare che venivano utilizzate per riciclare i profitti delle attività di usura ed estorsione, come provato dal contenuto di intercettazioni ambientali e da accertamenti di P.G. che avevano portato al sequestro di denaro e titoli. Le sue mansioni erano prettamente economiche, ma non meno importanti rispetto al resto delle attività violente tipiche dell’associazione mafiosa quali gli omicidi e le minacce. Rilevava che i nuovi elementi dedotti dalla difesa e consistenti nella assoluzione operata dal GUP in relazione a due episodi di estorsione e nei risultati degli incidenti probatori aventi ad oggetto l’audizione delle persone offese, non fossero idonei a mutare il quadro dei gravi indizi e delle esigenze cautelari.

Esaminava singolarmente le deposizioni rese dalle persone offese ed evidenziava che le stesse non avevano mutato il quadro indiziario, così come l’assoluzione era intervenuta per due episodi attribuiti ad una compagine mafiosa della quale lui non faceva parte. Le deposizioni poi dovevano essere interpretate alla luce dei risultati delle intercettazioni utilizzabili dalle quali emergeva con evidenza il clima di intimidazione e di terrore nel quale detti testi erano chiamati a operare, vissuta in diretta dalla P.G. operante. Ne conseguiva che la reticenza dovuta a paura non era frutto di illazioni ma di precisi riscontri.

In relazione alle esigenze cautelari osservava che permaneva sia quella del concreto pericolo di reiterazione sia quello inerente all’inquinamento probatorio; infatti, pur ammettendo le attività materiali a lui contestate, prestito di denaro ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, aveva negato gli addebiti e molte deposizioni testimoniali dovevano ancora essere acquisite in dibattimento alla luce della inutilizzabilità di alcuni periodi di intercettazione. Dato il suo ruolo di contabile della mafia esisteva un concreto pericolo di reiterazione di condotte simili, anche per la mancanza di una qualunque manifestazione di volontà di allontanamento dalle pregresse logiche criminali e pertanto sussisteva la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Avverso la decisione presentava ricorso l’indagato deducendo che non si era tenuto in alcun conto delle deduzioni difensive, si era incredibilmente ritenuto di poter utilizzare intercettazioni eseguite in violazione di legge, mentre tale violazione doveva essere perseguita con procedimento disciplinare; inoltre emergeva già con evidenza la insussistenza dei reati contestati visto che i testimoni erano stati assunti con le forme dell’incidente probatorio ed avevano escluso in tutta serenità di aver subito minacce o intimidazioni;

infine osservava che l’uso improprio delle proroghe delle intercettazioni aveva determinato una impropria sanatoria, ma allo stesso modo non si era operato con il diniego di proroga che non era stato ritenuto tale dal tribunale. La Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per la sua aspecificità, limitandosi ad effettuare enunciazioni di principio svincolate dalla realtà processuale. Il tribunale infatti si era fatto carico di esaminare puntualmente tutte le deduzioni difensive ed aveva escluso deposizione per deposizione che fossero venuti meno i gravi indizi a carico del F. in relazione sia al delitto associativo che ai reati fine.

In relazione alla questione della utilizzabilità delle conversazioni, intercettate dopo l’emissione del provvedimento di proroga rilasciato nei temimi, deve osservarsi che la decisione si è uniformata alla giurisprudenza di legittimità prevalente che aveva ritenuto che, qualora la legittimità delle captazioni venga interrotta per un breve periodo, per motivi attinenti al non rispetto delle regole per le proroghe delle intercettazioni, ciò non significa che quando tornano ad essere rispettate le regole dei decreti di autorizzazione questi non legittimino le intercettazioni future. Nel caso di specie vi era stato un fraintendimento tra P.M. e Gip su un provvedimento interlocutorio col quale il GIP aveva restituito una richiesta di proroga solo perchè troppo tempestiva;

il P.M. aveva omesso di richiederla e quando si era presentato alla scadenza successiva con una nuova richiesta la aveva ottenuta; ne discendeva che da questo momento in poi il provvedimento di proroga poteva operare come nuova emissione di autorizzazione purchè ne avesse i requisiti, ritenuti sussistenti dal GIP (Sez. I 29 aprile 1999 n. 3323, rv. 213730; Sez. 2, 15 dicembre 2005 n. 5061, rv.

233231). L’unica decisione contraria a tale principio si fonda su una fattispecie particolare dovuta ad annullamento con rinvio che statuiva l’inutilizzabilità per il futuro di tutte le intercettazioni conseguenti ad una proroga tardivamente richiesta, statuizione che non poteva essere violata dal giudice di merito in ossequio all’art. 627 c.p.p. (Sez. 3, 27 ottobre 2005 n. 43971, rv.

233200).

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

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