Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 20-04-2011, n. 15807 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

vv. Cacciola chiedeva l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame Di Reggio Calabria confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di G. R. in relazione al delitto di partecipazione ad associazione mafiosa. In primo luogo ricostruiva l’ambito nel quale era maturato il provvedimento, e cioè le indagini inerenti la conquista del predominio del territorio da parte delle cosche Mole, Pesce e Bellocco; poi richiamava per relationem l’ordinanza impositiva della misura, che aveva chiarito i metodi di infiltrazione mafiosa della cosca e aveva individuato i reati di estorsione, come la fonte primaria delle entrate illecite.

Aveva individuato la partecipazione a tali azioni dell’indagato grazie al collegamento familiare, essendo egli cognato di P. A., per aver sposato la sorella P.C., e grazie al risultato di alcune intercettazioni ambientali dalle quali era emerso che era stato incaricato di gestire gli affari della cosca, ponendo in essere attività di riciclaggio di denaro in attività lecite, nonchè di svolgere attività di mediazione all’interno della famiglia mafiosa a seguito di contrasti insorti tra il nipote F. e gli zii V. e G..

Il contenuto dei colloqui intercettati appariva univoco e testimoniava del pieno inserimento dell’indagato nelle logiche della cosca e della sua piena consapevolezza in relazione ai compiti a lui affidati; da detti colloqui emergeva che era stato incaricato di investire il denaro proveniente dalle estorsioni in attività formalmente lecite, e di pacificare le varie componenti della famiglia onde evitare una perdita di potere e di affari.

Quanto alle esigenze cautelari rilevava che sussisteva la presunzione di pericolosità ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e non era emerso alcun elemento dal quale desumere il venir meno della sua pericolosità; non poteva in questa sede essere avanzata la questione della incompatibilità del carcere per le condizioni di salute, mai prima prospettate al giudice che doveva essere investito ai sensi dell’art. 299 c.p.p..

Non vi era poi stata alcuna immutazione dei fatti contestati, in quanto la contestazione nella fase delle indagini preliminari era fluida e l’avere individuato anche la condotta di intermediazione, come tipica della mafiosità del suo agire, non era avvenuto in violazione del diritto di difesa in quanto emergeva dalle medesime conversazioni intercettate.

Avverso la decisione presentava ricorso l’indagato e deduceva violazione di legge e difetto di motivazione in relazione ai gravi indizi di reato, avendo il tribunale adottato una motivazione per relationem della ordinanza impositiva senza minimamente occuparsi di rispondere alle contestazioni contenute nell’atto di impugnazione.

Osservava che la contestazione era partita con attribuire all’indagato il ruolo di riciclatore dei proventi illeciti, ma poichè vi era in atti una sola conversazione che aveva ad oggetto la necessità di avere un capitale da investire, si era ripiegati a valorizzare la funzione di intermediazione svolta all’interno della famiglia, senza considerare che il suo ruolo era solo quello di ascoltatore delle confidenze del boss, senza che la conoscenza delle logiche familiari potessero trasformarsi in partecipazione all’associazione.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato in quanto lungi dal dedurre violazioni di legge si limita ad offrire una diversa lettura delle conversazioni intercettate; l’ordinanza richiamando correttamente per relationem quella impositiva, aveva rilevato come nel corso delle conversazioni si era acquisita la prova evidente del coinvolgimento del G. negli affari illeciti della famiglia Pesce, tanto che egli partecipava ai colloqui in carcere con gli altri familiari e riceveva come tutti gli altri gli ordini del capo, sia in materia di utilizzo dei capitali della famiglia sia in ordine alle dinamiche di appoggio o scontro con l’uno o l’altro componente, sempre ai fini di mantenere inalterato il potere mafioso della famiglia. Ritenere che i riferimenti contenuti nelle conversazioni fossero normali affari di famiglia appare incongruo e irreale, anche per il tono usato tipico di chi da ordini affinchè vengano eseguiti nel modo solito, per continuare la tradizione e per evitare che altre cosche si approprino dei loro affari. L’avere attribuito valore anche al ruolo di mediazione a lui attribuito dal capo clan non costituisce alcuna violazione del diritto di difesa, trattandosi di elementi tratti dai medesimi atti a disposizione delle parti e ben potendo il GIP prima e il tribunale del riesame poi utilizzare gli atti messi a sua disposizione.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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