Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-03-2011) 20-04-2011, n. 15797

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nio, ed Manno Adele, che hanno entrambi chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22 febbraio 2010, il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto l’istanza di riesame proposta da B. D. classe (OMISSIS) avverso l’ordinanza del G.I.P. di quel Tribunale in data 11 gennaio 2010, con la quale era stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato:

– del reato di cui al capo b) della rubrica ( D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito nella L. n. 356 del 1992, aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7: aver fittiziamente attribuito a terzi e cioè a tali S.F. e M. E. le quote della s.r.l. "ESSETRE", titolare di un supermercato SMA corrente in (OMISSIS), interamente riconducibile all’indagato ed al padre C., quali componenti della cosca mafiosa dei B., operante in (OMISSIS) e facente capo a B.C., residente in (OMISSIS));

– del reato di cui al capo c) della rubrica ( D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito nella L. n. 356 del 1992, aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7: aver fittiziamente attribuito a terzi e cioè a tale D.A. la titolarità dell’impresa individuale "D.A.A.G. di D’AGOSTINO ANGELO", corrente in (OMISSIS) ed esercente attività di disinfestazione, interamente riconducibile all’indagato ed al padre C., quali componenti della cosca mafiosa dei B., operante in (OMISSIS) e facente capo a B.C., residente in (OMISSIS));

– del reato di cui al capo g) – ( D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito nella L. n. 356 del 1992: aver fittiziamente attribuito a terzi e cioè alla propria moglie M.A. la titolarità dell’autovettura Audi A4 targata (OMISSIS), interamente riconducibile all’indagato e intestata alla propria moglie al fine di non incorrere nelle misure di carattere patrimoniale che avrebbero potuto colpire i componenti della famiglia B., tenuto conto dei trascorsi mafiosi di diversi di loro o comunque dei loro stretti congiunti).

2. Il Tribunale ha rilevato la sussistenza ed attuale operatività della cosca mafiosa nota come clan BELLOCCO, operante nel territorio del Comune di (OMISSIS), a sua volta inserito nel territorio della Piana di (OMISSIS) ed il cui capo era B.C., già condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., affidato in prova ai servizi sociali dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna in data 15.7.08.

Tramite le disposte intercettazioni telefoniche era stata riscontrata l’attuale operatività e la ripresa dell’attività illecita dell’associazione mafiosa "BELLOCCO", pur essendosi il suo capo B.C. trasferito in provincia di (OMISSIS), da dove il medesimo aveva continuato a gestire gli affari illeciti in (OMISSIS), spartendo il territorio con la cosca dei PESCE, con disponibilità di armi e capacità di reagire alle minacce di morte ricevute da tale A.F., soggetto appartenente ad una comunità nomade stanziata nel territorio di (OMISSIS); e nell’ambito di tale cosca il ruolo svolto dall’odierno ricorrente era stato quello di gestire gli affari, cui era interessata la cosca mafiosa anzidetta, fin dal luglio del 2009. 3. A carico dell’odierno indagato, peraltro già destinatario di altra ordinanza custodiale, emessa nei suoi confronti dal G.I.P. di Reggio Calabria il 10 agosto 2009 per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., il Tribunale ha ravvisato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ascrittogli al capo b) della rubrica, per essere stato ritenuto proprietario di fatto della s.r.l.

"ESSETRE", con sede in (OMISSIS), titolare di un supermercato alimentare ivi ubicato, sebbene soci della stessa fossero formalmente tali M.E. e S.F., quest’ultimo altresì amministratore unico della società, essendo stato accettato che le risorse economiche di questi ultimi non erano assolutamente in grado di sostenere l’ingente investimento finanziario che l’attività commerciale anzidetta aveva richiesto.

Dalle intercettazioni telefoniche disposte era emerso l’interesse diretto dell’odierno indagato e di suo padre B.C. nei confronti del predetto esercizio commerciale, provvedendo quotidianamente l’indagato ad informare il padre circa l’andamento della gestione dell’esercizio commerciale, degli incassi quotidiani percepiti, delle campagne promozionali operate per incrementare le entrate del supermercato.

L’indagato poi consultava suo padre quando si trattava di assumere dipendenti; assumeva in prima persona la responsabilità di determinate scelte strategiche e di mercato; aveva chiesto nel corso di una telefonata del 3.7.2009 notizie a S.A., figlio del formale a.u. della società e dipendente della stessa, circa una verifica effettuata in mattinata al supermercato dalla Guardia di Finanza.

L’attività commerciale anzidetta era stata pertanto ritenuta una vera e propria azienda della famiglia B. ed al riguardo l’ordinanza impugnata aveva fatto riferimento ad un’intercettazione dell’11.2.09, nel corso della quale l’odierno indagato aveva redarguito S.A., per avere una dipendente chiesto il pagamento di uno scontrino alla di lui sorella M.A., a nome della quale peraltro B.C. aveva chiesto all’indagato di aprire un reparto di merceria all’interno del supermercato anzidetto.

Il Tribunale ha poi rilevato come che il delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 1, poteva essere commesso anche da chi non era in atto sottoposto a misura di prevenzione, essendo sufficiente che l’interessato potesse fondatamente presumere di poter essere in futuro sottoposto alla procedura anzidetta.

4. Il Tribunale ha altresì ritenuto la sussistenza a carico dell’indagato di rilevanti indizi di colpevolezza in ordine al reato contestatogli al capo c) della rubrica; anche per tale delitto ha elencato tutta una serie di intercettazioni telefoniche, dalle quali era dato ritenere che l’odierno indagato era stato incaricato, nell’ambito della cosca BELLOCCO, di occuparsi della gestione di diverse attività imprenditoriali, fra le quali, oltre al supermercato indicato nel reato contestatogli al capo b), di cui sopra, altresì una ditta individuale di disinfestazione, denominata "D.A.A.G. di D’AGOSTINO Angelo", corrente in (OMISSIS), iscritta nel registro delle imprese nel 2004, fittiziamente intestata, per le medesime finalità di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, a tale D.A.; e la p.g. aveva accertato come quest’ultimo avesse dichiarato redditi estremamente esigui, tali da non consentire alcun investimento, essendo essi a malapena sufficienti a soddisfare le esigenze di vita quotidiana; ed anche con riferimento a tale delitto erano numerose le intercettazioni telefoniche, dalle quali era emerso che l’indagato, sotto le direttive del padre B.C., gestiva l’attività, trattando con i clienti e con gli operai, preoccupandosi del buon andamento dell’impresa, raccogliendo le richieste di intervento, programmando le stesse, talvolta presentandosi come il titolare della ditta in questione; e da più di una telefonata intercettata fra quelle intercorse fra l’indagato e suo padre erano emerse le vive raccomandazioni fatte da quest’ultimo di non trascurare l’attività della ditta, ma anzi di curarla ed incrementarla.

5. Il Tribunale ha altresì ritenuto sussistere a carico dell’indagato rilevanti indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo g) della rubrica; anche per tale delitto ha elencato tutta una serie di intercettazioni telefoniche, dalle quali era dato ritenere che l’odierno indagato fosse il vero proprietario dell’autovettura Audi A4 targata (OMISSIS), formalmente intestata a sua moglie M.A.; anche in tal caso era emerso che la M. non aveva fonti di reddito ufficiali, tali da consentirle investimenti di tale tipo; era pertanto da ritenere che l’intestazione di comodo di tale veicolo fosse finalizzata a non incorrere nelle misure di carattere patrimoniale, che avrebbero potuto colpire i componenti della famiglia B., tenuto conto dei trascorsi mafiosi di alcuni di essi.

6. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza, per i reati contestati all’odierno indagato sub b) e sub c), dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, in quanto, in entrambi i casi, le attività commerciali svolte erano il frutto del reimpiego degli introiti derivanti dall’attività criminosa della cosca BELLOCCO, avuto riguardo all’inesistenza di fonti di reddito ufficiali in capo ai membri del nucleo familiare B.; si era in presenza di una strategia globale e sistematica, che prevedeva l’intestazione a terzi compiacenti di attività imprenditoriali ad essi facenti capo, onde celarne l’effettiva titolarità ed evitarne l’aggressione per effetto di provvedimenti ablatori giudiziali.

7. A carico dell’indagato il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la custodia inframuraria, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., lett. c), avendo fatto riferimento al ruolo di rilievo ricoperto dall’indagato, si da far ritenere altamente probabile la sua perseveranza nelle condotte criminose, attraverso le quali si manifestava la vigenza e la piena operatività del sodalizio criminoso facente capo a suo padre; il Tribunale ha inoltre fatto riferimento alla presunzione di pericolosità sociale prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, in ragione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, contestata in relazione ai delitti di cui ai capi b) e c) della rubrica.

8. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione B.D., classe (OMISSIS), per il tramite del suo difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per violazione D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies.

Era un dato storico che esso ricorrente, fino al 2009 non era stato mai oggetto di alcun atto di indagine, essendo stato egli costantemente ritenuto estraneo alla consorteria dei BELLOCCO;

inoltre, con riferimento al reato di cui al capo g) della rubrica, la condotta incriminata era inidonea ad eludere le disposizioni di legge in materia patrimoniale, atteso che, ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 bis, le indagini venivano effettuate anche nei confronti del coniuge, si che, se anche esso ricorrente fosse stato nelle condizioni soggettive per essere destinatario di norme di prevenzione, l’avere intestato un’autovettura alla propria consorte non sarebbe stata condotta idonea ad integrare la norma penale ritenuta violata, sotto il profilo dell’insussistenza del relativo elemento soggettivo.

Il P.M. aveva omesso di indicare gli elementi concreti dai quali desumere che esso ricorrente versasse nelle condizioni soggettive per essere sottoposto a misure di prevenzione, non essendo all’uopo sufficiente che si trattasse di soggetto legato da rapporti di parentela ad un soggetto riconosciuto, con sentenza esecutiva, come mafioso.

In modo illogico il Tribunale aveva poi ritenuto che esso ricorrente avrebbe dovuto presumere l’avvio nei suoi confronti di procedure di prevenzione non già in quanto dedito ad attività criminose, ovvero perchè indagato o imputato per reati di mafia, ma solo perchè figlio di B.C., atteso il permanere dell’operatività della cosca BELLOCCO. Egli al contrario non poteva essere ritenuto intraneo alla cosca mafiosa dei BELLOCCO, in quanto, prima del 2009, non era mai stato neanche indagato per far parte della ndrina BELLOCCO. Non era poi ravvisarle a suo carico il dolo specifico; ed il provvedimento impugnato in modo contraddicono da un lato aveva ritenuto che fosse sufficiente, per ritenere imminente l’inizio di una procedura di prevenzione, che si procedesse contro un soggetto per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., atteso che, in tal caso, il P.M. competente per territorio avrebbe dovuto avviare la procedura di prevenzione; dall’altro aveva ritenuto che l’inizio del procedimento penale ovvero della misura di prevenzione potesse riguardare non la condizione soggettiva dell’interessato, ma quella del proprio ascendente, in tal modo non avendo tenuto conto della sua totale incensuratezza prima dei fatti, per i quali era iniziato il presente procedimento, il quale non aveva ad oggetto i reati normalmente ascritti ad appartenenti a sodalizi criminosi, quali estorsioni e violazioni legge stupefacenti.

9. Con memoria depositata il 2.3.2011 il difensore del ricorrente ha fatto presente che questa Corte aveva recentemente annullato un provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria nei confronti della propria moglie M.A., ritenuta partecipe nel medesimo reato ascrittogli al capo g) della rubrica.

Ha fatto presente che esso ricorrente, se avesse inteso eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniale, avrebbe intestato l’autovettura a terzi estranei al proprio nucleo familiare, in quanto i beni intestati al coniuge sarebbero stati i primi ad essere colpiti dalla scure degli accertamenti connessi all’applicazione di misure di prevenzione.

Ha poi insistito nella mancanza nel suo comportamento dell’elemento soggettivo richiesto dalla legge per la sussistenza dei tre delitti ascrittigli, in quanto, nel caso in esame, non sussisteva alcun elemento oggettivo dal quale desumere che, nei suoi confronti, stesse per essere adottata una misura di prevenzione; ed il fatto che alcuni suoi parenti fossero stati destinatari di misure di prevenzione non era condizione sufficiente per applicare nei suoi confronti la norma di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito nella L. n. 356 del 1992, in quanto, in tal modo, la norma sarebbe stata applicata non alla luce di un fatto penalmente rilevante, ma alla luce del solo sospetto che il figlio di un mafioso non poteva che reinvestire capitali illeciti attraverso prestanomi; il che sarebbe stato in contrasto con la volontà del legislatore, che certamente non intendeva colpire chi, come esso ricorrente, per i motivi più disparati, era stato costretto a forme occulte di ingresso in società per poter lavorare.

La fattispecie di reato a lui contestato era una fattispecie di pericolo a dolo specifico; sarebbe stato pertanto necessario configurare l’elemento del pericolo come pericolo concreto, nel senso che il giudice avrebbe dovuto verificare di volta in volta in concreto detto pericolo e la condotta esecutiva da lui posta in essere avrebbe dovuta essere intrinsecamente idonea a realizzare il risultato perseguito; era quindi richiesto la sussistenza in concreto di un reale pericolo di applicazione di una misura di prevenzione nei suoi confronti; il che era da escludere nei suoi confronti, tenuto conto della sua vita anteriore, anche perchè i fatti di cui esso ricorrente rispondeva (costituzione della s.r.l. "ESSE TRE") erano anteriori alla L. n. 125 del 2008, che consentiva l’applicazione di una misura patrimoniale disgiuntamente da quella personale. Il fatto infine che esso ricorrente fosse stato la longa manus di suo padre B.C. era da ritenere smentita dalla conversazione telefonica captata il 5.4.2009, nel corso della quale suo padre gli aveva detto che, se i proventi del supermercato fossero stati così consistenti nel tempo, ben presto esso ricorrente si sarebbe tolti i debiti e guadagnato qualche lira.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da B.D. classe (OMISSIS) è inammissibile, siccome manifestamente infondato, con riferimento ai reati di cui ai capi b) e c) della rubrica.

2. Con esso il ricorrente lamenta la mancanza di validi indizi di colpevolezza a suo carico in ordine a detti reati; mentre, al contrario, la motivazione addotta dal provvedimento impugnato per ritenerne la sussistenza appare pienamente condivisibile ed incensurabile.

Il ricorrente non ha escluso che le attività commerciali consistite nella gestione di un supermercato SMA corrente in (OMISSIS), nonchè di una ditta individuale di disinfestazione, denominata "D.A.A.G. di D’AGOSTINO Angelo", pure corrente in (OMISSIS), facessero in concreto capo a lui, sebbene formalmente intestate a terzi, solo avendo sostenuto l’irrilevanza penale del suo comportamento, nel quale non sarebbe stato ravvisabile il dolo specifico, e cioè la sua volontà di aver effettuato tali intestazioni fittizie allo scopo di eludere le conseguenze di misure di prevenzione, che avrebbero potuto essere adottate nei suoi confronti.

Il provvedimento impugnato ha al contrario fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, alla stregua della quale il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies punisce l’avvenuta interposizione fittizia anche in caso di fondata previsione che il soggetto agente possa essere in futuro sottoposto ad una misure di prevenzione patrimoniale, senza che sia richiesta dunque la concreta emanazione di misure di prevenzione, ovvero la pendenza del relativo procedimento, come può del resto evincersi dalle parole usate dal legislatore, il quale, nell’articolo sopra menzionato, ha parlato della finalità di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e non già della finalità di eludere le misure in concreto disposte o richieste (cfr., in termini, Cass. Sez. 2 n. 29224 del 14/07/2010 dep. 26/7/2010, imp. Di Rocco, Rv. 248189).

Il che ben poteva essere presunto nei confronti dell’odierno ricorrente, peraltro all’epoca già destinatario di un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., attesa che, dalle numerose intercettazioni telefoniche disposte nei suoi confronti, intercettazioni peraltro neppure adeguatamente contestate quanto a numero ed a contenuti, poteva desumersi come egli fosse in stretto contatto con suo padre B.C. per gestire entrambe dette attività commerciali, si da far presumere la sua evidente intraneità alla cosca mafiosa dei Bellocco, per conto della quale egli aveva effettuato gli investimenti commerciali sopra descritti, allo scopo di riciclare i proventi delle attività criminose svolte dalla cosca medesima;

pertanto la prospettiva di essere destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale era da ritenere altamente probabile nel momento in cui il ricorrente ha effettuato entrambi gli investimenti commerciali anzidetto Non è pertanto condivisibile quanto ritenuto in sua difesa dal ricorrente, nella parte in cui ha lamentato che i due reati in esame gli siano stati addebitati non con riferimento alla sua persona, ma su di un presupposto non previsto dalla legge e cioè facendo esclusivo riferimento alla caratura mafiosa di suo padre, B.C..

Al contrario il ragionevole assunto dell’ordinanza impugnata era che anch’egli facesse parte del sistema criminoso riconducibile a suo padre, del quale costituiva il tramite e lo strumento per effettuare lucrosi investimenti commerciali avvalendosi della connivenza di soggetti terzi, che avevano acconsentito a rendersi titolari solo formali e di facciata delle attività commerciali, da ritenere invece impiantate e sorrette con i proventi delle attività criminose riconducibili al clan Bellocco, con conseguente corretta contestazione al ricorrente, per entrambi i delitti in esame, dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il provvedimento impugnato ha condivisibilmente rilevato sul punto come il ricorrente non avesse mai fornito adeguati ragguagli circa la provenienza e la tracciabilità degli ingenti capitali necessari per avviare e sostenere le due attività commerciali sopra riferite; ed è noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte è onere dell’interessato giustificare la provenienza dei beni e fornire un’esauriente spiegazione che dimostri la derivazione da legittime disponibilità finanziarie dei mezzi impiegati per gli investimenti ritenuti sospetti (cfr., in termini, Cass. Sez. 6 n. 13938 del 17/03/2005, dep. 14/04/2005, imp. D’Amora, Rv. 231239); ed appare del tutto generico ed inadeguato quanto riferito al riguardo dal ricorrente, il quale si è limitato a far riferimento ad esigenze, peraltro neppure specificate, che lo avrebbero indotto ad usare forme occulte di ingresso in società per poter lavorare.

Va poi ritenuto inammissibile nella presente sede di legittimità, siccome riferita al merito, l’argomentazione del ricorrente riferita alla diversa lettura da lui fatta dell’intercettazione telefonica del 5.4.2009, concernente un colloquio intercorso con suo padre B. C., potendosi dare a detta conversazione la diversa valenza ritenuta dal provvedimento impugnato, siccome avvalorata dalle altre numerose intercettazioni disposte, tutte idonee a provare lo stretto collegamento esistente fra il ricorrente e suo padre nella minuta gestione delle due attività commerciali sopra indicate, ad entrambi in concreto facenti capo.

3. Il ricorso proposto da B.D. è al contrario fondato con riferimento alla sussistenza di validi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo g) della rubrica (delitto di cui al D.L. 3 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, per avere fittiziamente intestato alla propria moglie M.A. un’autovettura, in realtà nella effettiva disponibilità di esso ricorrente, il quale aveva in tal modo cercato di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale).

4. Va rilevato che l’incriminazione è avvenuta nei confronti del B. a titolo di concorso con la di lui moglie, atteso che la norma sopra descritta punisce il comportamento di chi (nella specie, l’odierno ricorrente), abbia intestato fittiziamente beni a terzi in un momento in cui era da presumere che potessero essere applicati nei suoi confronti misure di prevenzione patriminiale; ed il delitto contestato persegue appunto la finalità di impedire atti di disposizione patrimoniale che possano vanificare l’adozione di tali misure patrimoniali (cfr. Cass. 5^, 25.9.07 n. 3992, rv. 238189). Il delitto in esame è a concorso necessario, atteso che, in esso, il soggetto agente (nella specie l’odierno ricorrente) intanto può realizzare l’attribuzione fittizia dei beni in quanto vi siano terzi (nella specie sua moglie) che abbiano accettato di acquisirne la titolarità; e l’elemento soggettivo del reato in esame è costituito dal dolo specifico, inteso come consapevolezza e volontà di eludere le disposizioni di legge in materia di applicazione di misure di prevenzione patrimoniale (cfr. Cass. 6^, 17.3.05 n. 13938, rv.

231239).

5. E’ noto che la Corte Costituzionale, pur avendo, con sentenza n.48 del 17.2.1994 dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 2, convertito nella L. n. 356 del 1992, con ordinanza n. 253/2008 ha viceversa ritenuto manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale del comma 1 della medesima norma di legge, sul presupposto che la posizione del soggetto che dispone l’interposizione fittizia di un bene, siccome probabile destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale, non è un elemento tale da caratterizzare la rilevanza penale della sua condotta, ma definisce solo l’ambito temporale entro il quale opera il divieto di intestare fittiziamente a terzi un bene.

6. Fatte tali premesse, va rilevato che la motivazione addotta dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria per respingere l’istanza di riesame proposta dall’odierno ricorrente, con riferimento al delitto di cui al capo g) della rubrica, è carente sotto diversi profili.

Un primo profilo consiste nel non avere il provvedimento impugnato fatto alcun riferimento al regime patrimoniale scelto dall’odierno ricorrente nel contrarre matrimonio con M.A., in quanto, se i due coniugi avessero optato per il regime della comunione dei beni, appare difficile ipotizzare, nel comportamento tenuto dal ricorrente, l’elemento psicologico del delitto contestato.

Un altro profilo consiste nella circostanza, peraltro adombrata dal medesimo ricorrente, che la L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3, in base al quale potrebbero essere emesse nei suoi confronti le misure patrimoniali ivi previste per contrastare la criminalità mafiosa, prevede che l’intestazione dell’auto alla moglie non è ostativo all’applicazione del sequestro e della successiva confisca dell’autovettura medesima; ed anche sotto tale aspetto appare problematico ritenere la sussistenza in capo all’odierno ricorrente dell’elemento psicologico (dolo specifico) richiesto per la configurabilità del delitto contestatogli. In presenza di una norma di legge così specifica, appare invero difficile ipotizzare che l’odierno ricorrente abbia agito con la consapevolezza e la volontà di eludere le disposizioni di legge in materia di contrasto alla criminalità mafiosa.

Senza poi contare che, anche dalle intercettazioni telefoniche effettuate, sembra emergere che l’autovettura fittiziamente intestata a M.A. venisse effettivamente utilizzata per sopperire alle esigenze dell’intero nucleo familiare del ricorrente; e l’ordinanza impugnata nessuna motivazione ha addotto per escludere che tale fittizia intestazione dell’auto alla moglie sia stata effettuata dal ricorrente al solo scopo di sopperire alle esigenze di vita familiare.

7. Da quanto sopra consegue l’annullamento parziale del provvedimento impugnato, circa la sussistenza di validi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo g) della rubrica, con rinvio degli atti al Tribunale del riesame di Reggio Calabria in diversa composizione (cfr. art. 34 c.p.p.), affinchè, in piena autonomia di giudizio, esamini nuovamente l’istanza proposta da B. D., classe (OMISSIS), tenendo conto delle carenze motivazionali sopra indicate.

8. Il ricorso va invece dichiarato inammissibile nel resto.

9. La Cancelleria è incaricata di eseguire gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo g) e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Reggio Calabria.

Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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