Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 20-04-2011, n. 15662 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con istanza depositata in data 17.4.2007 S.S. chiedeva la riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal 26.9.2006 al 21.12.2006 per un totale di giorni 93 a seguito della emissione di ordinanza di custodia cautelare in carcere da parte del GIP del Tribunale di foggia per i reati di estorsione, furto e violazione delle norme sull’immigrazione, dai quali era stato poi mandato assolto con sentenza del GIP del Tribunale di Foggia del 21.12.2006, irrevocabile il 9.3.2007.

La Corte di Appello di Bari, con ordinanza in data 28.5.2008, accoglieva la richiesta, liquidando in favore di S.S. la somma di Euro 71.855,00. A seguito di ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Corte di Cassazione sez. 4, con sentenza del 6.3.2009, annullava l’ordinanza impugnata con rinvio alla medesima Corte di Appello di Bari.

Premesso che, secondo principi consolidati, il giudice dell’equo indennizzo deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente, sia prima che dopo la perdita della libertà personale, per stabilire, con valutazione ex ante, se tale condotta, dolosa o gravemente colposa, abbia ingenerato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa effetto, affermava la 4^ sezione che la Corte di Appello non aveva effettuato "una compiuta valutazione autonoma rispetto al giudice della cognizione".

La Corte di Appello di Bari, decidendo in sede di rinvio, con ordinanza del 21.1.2010 (depositata il 28.1.2010), rigettava la domanda di riparazione di ingiusta detenzione. Dopo aver ricordato il principio di diritto indicato dalla Cassazione e la giurisprudenza della medesima Corte in materia, assumevano i giudici di merito, attraverso l’esame degli elementi su cui era stato fondato il provvedimento restrittivo, che la condotta del S.S. era stata improntata a colpa grave.

2) Propone ricorso per cassazione S.S., denunciando, con il primo motivo, la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione per travisamento della prova.

I giudici della Corte territoriale hanno elaborato gli atti e sono pervenuti ad un risultato probatorio diverso da quello reale. Le prove e gli atti, su cui viene fondata la decisione, non "sembrano conformi ai risultati obbiettivamente derivanti dall’assunzione della prova ed anzi appalesano una incontrovertibile difformità".

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 627 c.p.p., comma 3, nonchè la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

Il giudice del rinvio ha ritenuto, attraverso un travisamento della prova, che il ricorrente abbia concorso a dare causa per colpa grave alla detenzione, senza, per di più, tener conto del principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento. Non ha spiegato, infatti, come la condotta del S. abbia costituito "evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza", come imponeva la sentenza della Suprema Corte.

Con requisitoria scritta del 19.7.2010 il P.&. chiede il rigetto del ricorso.

Con memoria depositata in data 21.2.2011 l’Avvocatura Generale dello Stato per il Ministero dell’Economia chiede dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso, con vittoria di spese.

3) Il ricorso è infondato.

3.1) Le sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 34559 del 26.6.2002, RV 222263, hanno chiarito che il giudice di merito deve apprezzare, per valutare la sussistenza della colpa grave che esclude il diritto alla riparazione, tutti gli elementi probatori disponibili, tenendo conto in particolare di quanto riveli eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il giudice-basandosi su fatti concreti- deve valutare non se la condotta integri il reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione come rapporto di causa ed effetto.

Quanto agli elementi di valutazione della condizione ostativa, è pacifico che vadano presi in considerazione comportamenti concreti, precisamente individuati, al fine di stabilire non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Tali elementi non debbono essere necessariamente diversi;

differente è invece l’oggetto della verifica: non più la responsabilità dell’imputato (l’assoluzione dal reato è il presupposto per l’esercizio del diritto alla riparazione) ma se la sua condotta – seppur in presenza dell’errore altrui – sia stato presupposto della falsa apparenza di integrazione dell’illecito penale e se sia legata in rapporto di causa-effetto con la detenzione (cfr. Cass. pen. sez. 4 n. 2895 del 2006).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere sia di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) che di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) – cfr. Cass. pen. sez. 4, n. 42679/2007. 3.2) Il tema di indagine del presente giudizio di legittimità – seguito ad un precedente annullamento – consiste fondamentalmente nell’accertare se il giudice di rinvio abbia o non osservato la regola dettata dall’art. 627 c.p.p., comma 3, ("il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa") e dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2, ("nel caso di annullamento con rinvio, la sentenza enuncia specificamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi"). E, al riguardo, va osservato che nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che, nelle ipotesi di annullamento con rinvio per vizi di motivazione, la Cassazione risolve una questione di diritto quando giudica inadempiuto l’obbligo della motivazione, onde il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di determinare il proprio convincimento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto relativa al punto annullato e con gli stessi poteri dei quali era titolare il giudice il cui provvedimento è stato cassato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento: con la conseguenza che lo stesso giudice di rinvio resta vincolato al compimento di una determinata indagine, in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della decisione, ovvero, ancora, all’esame, non effettuato, di specifiche istanze difensive incidenti sul giudizio conclusivo (Cass., Sez. 6, 7 maggio 1998, Di Iorio, rv. 210791; Sez. 6A, 7 febbraio 1995, Gande, rv.

201266).

3.3) Il giudice di rinvio si è, innanzitutto, attenuto al principio di diritto enunciato dalla sentenza di annullamento.

La quarta sezione dopo aver richiamato la ormai consolidata (e sopra richiamata) giurisprudenza di legittimità in tema di cause ostative alla riparazione per ingiusta detenzione, aveva sollecitato i giudici del rinvio a valutare autonomamente (rispetto al giudice della cognizione) gli elementi indizianti posti a base del provvedimento restrittivo e le circostanze fattuali indicate nello stesso e di stabilire, quindi, se la condotta del S. fosse stata "tale da provocare l’intervento dell’autorità giudiziaria e conseguentemente l’arresto …".

La Corte territoriale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha evidenziato che il provvedimento restrittivo si fondava non solo sulle dichiarazioni delle parti offese, ma sopratutto sul rinvenimento dei passaporti dei tre romeni a casa del S., sul diniego ai Carabinieri da parte del predetto di avere notizie di tali documenti, sulla mancanza di spiegazioni in sede di interrogatorio in ordine all’iniziale diniego, nell’ammissione, solo a seguito del rinvenimento, che i passaporti erano stati consegnati dal V. alla figlia, sua convivente. Ha affermato, poi, la Corte, a dimostrazione della ravvisabilità di colpa grave nella condotta del S., che i passaporti sono documenti strettamente personali, sicchè la disponibilità degli stessi da parte dell’istante e la mancanza di una spiegazione logica e plausibile in ordine a tale "detenzione" creavano, indiscutibilmente, la falsa apparenza della configurabilità come illecito penale della condotta del S..

Ha sottolineato, ancora, la Corte che le false dichiarazioni rese dall’imputato all’arrivo dei Carabinieri e la disponibilità dei passaporti ebbero decisiva incidenza sul provvedimento di restrizione della libertà personale.

Altra cosa è, poi, che la condotta del ricorrente sia stata ritenuta non rilevante per poter pervenire all’affermazione della penale responsabilità in ordine ai reati ascritti. Il comportamento colposo che abbia dato causa alla carcerazione va, infatti, valutato ex ante e deve essere solo idoneo a determinare la falsa apparenza della configurabilità come illecito penale.

I giudici del merito hanno, quindi, adeguatamente motivato il loro convincimento in ordine all’esistenza della colpa grave.

Con il ricorso si propone, sostanzialmente, una diversa lettura dei "comportamenti" indicati dalla Corte di merito e, peraltro, in un’ottica rilevante in un giudizio di responsabilità, senza tener conto che la valutazione da effettuare in sede riparatoria si differenzia da quella in sede di accertamento di responsabilità.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questa fase dal Ministero dell’Economia, che si liquidano in Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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