Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 20-04-2011, n. 15660

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.D., indagato per i delitti di associazione mafiosa, omicidio aggravato, tentato omicidio e detenzione illegittima di armi, è stato ristretto in carcere a seguito di provvedimento di custodia cautelare per giorni 2039 (cinque anni sette mesi ed un giorno). In primo grado è stato condannato all’ergastolo dalla Corte di Assise di Reggio Calabria; successivamente, è stato assolto per non avere commesso il fatto da tutti i reati ascritti, per alcuni con sentenza della Corte Assise di Appello del 25-6-2003, e, per il delitto associativo, con altra sentenza della Corte di Assise del 7- 10-2004, pronunciata a seguito di rinvio dalla Corte di Cassazione.

Il S. proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta chiedendo che gli venisse riconosciuta l’indennità nella misura massima di Euro 516.456,90. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con ordinanza del 22.3.2007, riconosceva la somma di Euro 224.290,00, rilevando che non ricorrevano elementi impeditivi all’accoglimento della domanda, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria proponeva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza anzidetta .

Osservava che il giudice della riparazione erroneamente aveva escluso la ricorrenza di una condotta, da parte dell’istante, ostativa al riconoscimento dell’indennità. Difatti, era emerso e, di ciò aveva dato atto lo stesso giudice della riparazione, che il S., facente parte di una famiglia notoriamente coinvolta nella criminalità organizzata ed in attività mafiosa, aveva manifestato ampia contiguità e familiarità con contesti criminali di natura e caratteri mafiosi.

Anche S.D. presentava ricorso per Cassazione, con due atti separati. Si doleva per il non corretto computo della disposta liquidazione, in quanto, per la lunga detenzione soffertaci era attribuita un’indennità giornaliera di molto inferiore rispetto ai parametri aritmetici generalmente applicati.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione instava per l’accoglimento del ricorso del Procuratore di Reggio Calabria.

Questa Corte accoglieva il ricorso del Procuratore generale. A fondamento della decisione, premetteva che, in tema di elementi impeditivi per l’affermazione del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, dovevano distinguersi le determinazioni assunte dal giudice del processo penale, volte ad accertare la sussistenza del reato nelle sue componenti oggettiva e soggettiva, dalle autonome valutazioni che deve effettuare il giudice della riparazione il quale, pur operando eventualmente sullo stesso materiale, deve seguire un "iter- motivazionale" distinto, perchè è suo compito solo stabilire se la condotta dell’istante, a suo tempo indagato, si sia posta come fattore condizionante dell’intervento dell’autorità giudiziaria (Cass. Sez. Unite 13-12-1995 – Sarnataro).

Tanto premesso, osservava che la Corte d’appello, investita ex art. 315 c.p.p., era tenuta ad esaminare il comportamento del richiedente al fine di verificare, con valutazione ex ante, se esso fosse stato il presupposto che aveva ingenerato legittimamente la falsa apparenza della configurabilità dell’illecito penale ascrittogli, dando luogo alla "detenzione cautelare" con rapporto di causa ad effetto (cfr, Cass. Sez. Unite 26-6-2002 – De Benedictis). Nel caso di specie, la Corte di merito non aveva adeguatamente esaminato e valutato le emergenze processuali e più precisamente i comportamenti attribuibili al S. che potevano indurre a giustificare il suo coinvolgimento in attività illecite e sodalizi criminali. Tali elementi richiedevano una motivazione esaustiva e più approfondita Pertanto annullava l’ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte territoriale.

La Corte del rinvio, con decisione del 12 gennaio del 2010, liquidava a favore dell’istante la complessiva somma di Euro 481.000 A fondamento della decisione osservava che, a parte i rapporti di parentela con soggetti definitivamente giudicati come appartenenti a cosche mafiose, non erano emersi a carico dell’istante altri elementi di colpa non potendo essere apprezzate le sue frequentazioni con soggetti sorvegliati dalle forze dell’ordine grattandosi di soggetti incensurati.

Ricorre per Cassazione l’Avvocatura dello Stato,per conto del Ministero,sulla base di due motivi.

Con il primo deduce contraddittorietà della motivazione perchè la corte non ha ravvisato la colpa grave nella condotta dell’istante, perchè si è basata esclusivamente sulle decisioni assolutorie senza tenere conto dei principi stabiliti nella sentenza di annullamento, con la quale il giudice di legittimità aveva indicato, come punti richiedenti un maggiore approfondimento in sede di rinvio, proprio i comportamenti dell’istante indicativi sia di mancata recisione dei legami con la famiglia di appartenenza – parecchi membri della quale erano stati condannati definitivamente per la loro appartenenza, con ruoli di spicco, alla cosca omonima, – sia di continua frequentazione con soggetti incensurati, ma comunque oggetto dell’attenzione delle forze dell’ordine, per la loro contiguità con ambienti notoriamente mafiosi (nel ricorso si riportavano i dati, già indicati in una precedente memoria, in cui si facevano i nomi di parecchi di questi soggetti).

Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione sulla somma liquidata, di importo quasi doppio rispetto a quella stabilita con la prima ordinanza, poi annullata, senza nessuna spiegazione sulle ragioni che in questo secondo provvedimento, avevano indotto la Corte territoriale a superare le valutazioni negative della prima decisione, la quale aveva ridotto la cifra risultante dalla applicazione integrale del cosiddetto criterio aritmetico.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Questa corte con la sentenza di annullamento,aveva precisato che i giudici del merito non avevano valutato i comportamenti attribuibili al S., i quali potevano giustificare il suo coinvolgimento nella vicenda, e pertanto richiedevano una valutazione più esaustiva ed attenta. Tali elementi consistevano nell’appartenenza ad una famiglia mafiosa, nella mancata recisione dei rapporti con la famiglia di appartenenza e nella frequentazione di soggetti controllati dalla polizia. Siffatti elementi secondo il ricorrente Ministero inizialmente hanno avvalorato le chiamate in correità e resa probabile la configurabilità dei reati ascritti. Pertanto questa Corte ha invitato il giudice del rinvio a valutare gli elementi anzidetti. La Corte del rinvio, invece, anzichè specificare analiticamente le ragioni per le quali una condotta anomala del ricorrente non aveva avuto alcuna incidenza nell’ingenerare la falsa apparenza della configurabilità del reato, ha affermato apoditticamente che non sussistevano elementi apprezzabili per ritenere che il S. avesse, con dolo o colpa grave, dato causa alla detenzione subita, giacchè la frequentazione con soggetti incensurati,ancorchè "attenzionati" dalla polizia non aveva alcuna valenza indiziante.

In proposito va precisato che i fatti che possono dare causa o concorrere a dare causa alla detenzione consistono o in condotte poste in essere prima dell’arresto ovvero in comportamenti tenuti nel corso del procedimento. Secondo l’indirizzo prevalente di questa corte , avallato dall’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza del 13 dicembre del 1995 Sarnataro ed altri, la valutazione della condotta dolosa o colposa deve essere effettuata non seguendo i canoni penalistici bensì seguendo i criteri civilistici che regolano i rapporti tra creditore e debitore di cui all’art. 1227 e segg. cod civ. richiamati, per quanto concerne le valutazioni equitative e la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c.. In particolare si ritiene dolosa non solo la condotta diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei termini fattuali ossia l’azione in concreto preordinata all’adozione o al mantenimento della misura cautelare, ma anche quella che, valutata con il parametro dell’id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della sicurezza collettiva. Si ritiene gravemente colposo il comportamento di colui il quale per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione che renda prevedibile, anche se non voluto, l’intervento dell’autorità giudiziaria (cfr in proposito oltre alla decisione Sarnataro già citata anche Cass. Sez un 26 giugno del 2002 Di Benedectis). Il dolo e la colpa grave idonei ad escludere il diritto all’indennizzo possono essere desunti dalle stesse condotte che hanno formato oggetto di esame in sede penale e ciò perchè la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello del processo penale. Quest’ultimo deve valutare il materiale offerto dalle risultanze processuali al fine di stabilire se sia o no configurabile l’ipotesi criminosa contestata e se la stessa sia riconducibile all’imputato mentre il giudice della riparazione deve invece stabilire se una determinata condotta, ancorchè non costituente reato, si sia posta come fattore condizionante, eventualmente con il concorso dell’altrui errore, dell’adozione del provvedimento restrittivo (Cass. 46524 del 2003; 2365 del 2000; 1705 del 2000).

Dall’assoluzione non deriva quindi necessariamente il diritto all’indennizzo che va negato nelle ipotesi di dolo o colpa grave.

Siffatta previsione normativa costituisce in definitiva l’esplicitazione legislativa di quella clausola generale di salvaguardia nota fin dal diritto romano costituita dall’execeptio doli generalis, in forza della quale, anche in assenza di previsione esplicita, era vietato l’abuso o l’uso pretestuoso di un diritto.

Secondo l’orientamento di questa Corte (Cass n 363 del 2008 ; n 23128 del 2003; n 34559 del 2002) in tema di riparazione per ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di stretta parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo.

Orbene, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, nei reati contestati in concorso, se non può considerarsi colposa la condotta di chi, pur consapevole dell’attività criminosa del proprio figlio, coniuge, genitore o fratello , ometta di recidere i legami con il proprio congiunto, giacchè non si può esigere che un soggetto recida i legami con i parenti più stretti solo perchè delinquenti, si può però configurare la colpa quando le frequentazioni riguardano parenti non stetti o vanno al di là delle normali frequentazioni parentali. Nel caso in esame i giudici del merito hanno escluso la valenza alle frequentazioni con parenti condannati per mafia senza specificare la natura di tali frequentazioni ed il grado di parentela.

Inoltre il S., oltre a frequentare i propri parenti condannati per mafia, aveva contatti con numerosi soggetti che,ancorchè incensurati(lo stato d’incensuratezza è però contestato dall’Avvocatura dello Stato) erano sorvegliati dalla Polizia e non aveva esaminato la memoria depositata il 7 gennaio del 2010 con cui l’Avvocatura dello Stato,oltre ad indicare i numerosi soggetti frequentati dal S., aveva evidenziato altri elementi di colpa. Anche tale tipo di frequentazione meritava maggiori approfondimenti da parte della Corte territoriale.

Il secondo motivo sul quantum della riparazione si deve ritenere assorbito.

Alla stregua delle considerazioni svolte il provvedimento impugnato va annullato con rinvio. Il giudice del rinvio,per quanto concerne le frequentazioni con i parenti già condannati,dovrà tenere conto della natura di tali frequentazioni e del grado di parentela e per quanto riguarda i soggetti diversi dai parenti dovrà tenere conto della natura delle frequentazioni e del motivo per il quale i soggetti indicati dal Ministero erano controllati dalla Polizia al fine di stabilire se tali rapporti abbiano contribuito a causare la custodia cautelare o la sua protrazione.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 623 c.p.p. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria cui devolve anche la liquidazione, tra le parti, delle spese di questo grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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