Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-07-2011, n. 15694 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7.5.2002 il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione proposta dallo Studio Corona avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato del fallimento Sacic s.p.a. non aveva ammesso allo stato passivo (perchè non provato il conferimento dell’incarico) il credito di L. 1.188.857.643 dallo stesso vantato, per prestazioni professionali svolte dai singoli partecipanti all’associazione. La decisione, impugnata, veniva confermata dalla Corte di appello, che in particolare rilevava pregiudizialmente la carente legittimazione attiva dello Studio Corona rispetto ai crediti maturati dai singoli professionisti, per le prestazioni effettuate in favore della Sacic. Avverso la decisione lo Studio Corona proponeva ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resisteva il fallimento con controricorso contenente anche ricorso incidentale, a sua volta resistito con controricorso.

Entrambe le parti depositavano infine memoria.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 21.4.2011.
Motivi della decisione

Disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., osserva il Collegio che con quello principale lo Studio Corona ha rispettivamente denunciato: 1) vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe omesso di considerare i profili di censura che erano stati svolti avverso la decisione di primo grado, nella parte in cui era stato ritenuto non provato il conferimento dell’incarico professionale; 2) vizio di motivazione, per il fatto che la Corte di appello avrebbe analogamente ignorato le argomentazioni poste a base del motivo di impugnazione, con le quali era stato sostenuto sia che nella specie non fosse necessaria la forma scritta del contratto di appalto, trattandosi di contratto stipulato dall’appaltatore di lavori pubblici in favore di professionisti, sia che fosse stata provata l’esecuzione dell’opera commissionata per effetto della documentazione depositata (elaborati progettuali, disegni etc.);

3) vizio di motivazione per identica omissione da parte della Corte di appello, che segnatamente nulla avrebbe detto in ordine alla prospettata qualità di aggiudicataria degli appalti della Sacic;

4) vizio di motivazione, per aver la Corte territoriale omesso di pronunciare relativamente alla quantificazione dell’attività professionale;

5) violazione di legge in punto legittimazione attiva di esso ricorrente, che sarebbe stata viceversa riconducibile alla sua natura di associazione non riconosciuta, in quanto tale autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici;

6) violazione di legge, con riferimento alla disposta condanna al pagamento delle spese di lite.

Con il ricorso incidentale il fallimento ha innanzitutto eccepito, in via pregiudiziale, l’improcedibilità (per tardività) e l’inammissibilità (per difetto di procura) del ricorso principale, ed ha poi sostenuto, nel merito, sia l’assenza di un mandato professionale in favore dello Studio Corona da parte della Sacic, sia la riconducibilità del rapporto in questione ai singoli professionisti, anzichè alìassociazione.

Osserva innanzitutto il Collegio che le due eccezioni pregiudiziali sollevate dal fallimento sono infondate. In particolare, la prima è incentrata sulla triplice considerazione: a) che nel giudizio L. Fall., ex art. 98, i termini di impugnazione sono ridotti alla metà;

b) che l’ultimo giorno utile a tal fine nella specie sarebbe stato il 16.12.2005; c) che la notifica del ricorso per cassazione sarebbe stata viceversa eseguita il 19.12.2005.

Pur essendo astrattamente condivisibile quanto sopra esposto il rilievo è tuttavia inesatto poichè la data di riferimento, ai fini della valutazione in ordine al rispetto dei termini di impugnazione per la parte impugnante, è quella della consegna all’ufficiale giudiziario, nella specie intervenuta il 16.12.2005, e quindi tempestivamente.

Quanto alla seconda con la quale è stato denunciato un vizio della procura, che deriverebbe dal riferimento all’appello e ad atti tipici del giudizio di merito (chiamata in causa, riconvenzionale etc.) ivi contenuto, anzichè al ricorso per cassazione, la relativa infondatezza si desume dal fatto che la procura è stata rilasciata nel corpo dell’atto di impugnazione (più precisamente in calce) e non su foglio allegato, circostanza da cui si evince che l’impreciso richiamo è imputabile ad un semplice errore materiale.

Venendo dunque al merito del ricorso principale, occorre precisare che i primi quattro motivi di impugnazione hanno ad oggetto la denuncia del vizio di motivazione per omissione, sui diversi profili sottoposti all’attenzione del giudice del merito concernenti sia il conferimento dell’incarico professionale che la quantificazione del relativo compenso, aspetti sui quali la Corte territoriale non ha pronunciato, avendoli implicitamente ritenuti assorbiti dall’affermata carenza di legittimazione dello Studio Corona alla richiesta di pagamento.

La censura dunque che va esaminata è quella formulata con il quinto motivo di impugnazione, che risulta fondata.

In particolare il punto oggetto di contestazione riguarda la legittimazione o meno di uno studio professionale alla richiesta di pagamento, per le prestazioni svolte dai singoli professionisti in favore del cliente conferente l’incarico.

Al riguardo la Corte di appello si è espressa in termini negativi, avendo considerato: che la richiesta di ammissione al passivo per credito da prestazioni professionali (ed il successivo ricorso in opposizione) era stata formulata dallo Studio Corona; che i professionisti possono associarsi per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi, ma ciò non vale a trasferire all’associazione la titolarità del rapporto di prestazione d’opera e non produce, conseguentemente, la perdita della legittimazione attiva dei singoli professionisti nei confronti del cliente; che la detta conclusione risulta in sintonia con la "natura giuridica del rapporto di lavoro tra cliente e prestatore d’opera professionale in genere.. nel quale assumono ancor più peculiare rilievo l’esecuzione personale dell’incarico.." (p. 4).

Ritiene il Collegio che la valutazione della Corte di appello non possa essere condivisa.

Il giudice del merito, infatti, ha offerto un’interpretazione riduttiva del fenomeno associativo fra professionisti, configurandolo da un lato come univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi e, dall’altro, come inidoneo ad attribuire all’associazione la titolarità di un rapporto professionale.

Tale configurazione, tuttavia, non è in linea nè con la normativa vigente, atteso che l’art. 36 c.c., stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, nè con l’esito degli accertamenti compiuti dal giudice del merito sul contenuto dei detti accordi, considerato che la sentenza impugnata è priva di riferimenti in punto di fatto ipoteticamente idonei a legittimare la conclusione ivi formulata.

Da ciò deve dunque desumersi che è ben possibile che nella fattispecie oggetto di esame l’accordo fra gli associati avesse un contenuto diverso da quello indicato dalla Corte territoriale e pertanto, per la parte di interesse, che gli associati possano aver negozialmente attribuito all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati.

D’altra parte è questa una conclusione che risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che in particolare ha avuto più volte modo di precisare che, quantunque privo di personalità giuridica, lo studio professionale associato rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall’art. 36 c.c. e segg., (C. 10/17683, C. 09/22439, C. 06/24410, C. 97/4628). Sulla base di quanto sinora esposto deve dunque essere accolto il quinto motivo del ricorso principale, restando assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, per una nuova delibazione in ordine alla legittimazione attiva dello Studio professionale Corona relativamente alla pretesa creditoria oggetto della presente controversia. Al fine della detta delibazione il giudice del merito provvederà all’individuazione del soggetto cui è stato conferito l’incarico professionale (associazione o singolo professionista), nonchè a verificare, sulla base del contenuto degli accordi intercorsi fra i singoli associati per la disciplina dell’attività comune, l’eventuale attribuzione all’associazione di poteri rappresentativi dei singoli associati. Il giudice del rinvio provvederà infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il quinto motivo di quello principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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