Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-03-2011) 20-04-2011, n. 15650 Pene accessorie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ubaldo di Roma.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 22 marzo 2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato A.K. responsabile dei reati previsti dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, (T.U. Stup.) artt. 337 e 648 cod. pen ed – uniti i delitti con il vincolo della continuazione ed applicata la diminuente per il rito abbreviato – lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro ventimila di multa.

Per l’annullamento della sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando:

– che, trattandosi di pena detentiva superiore ai tre anni, il Giudice avrebbe dovuto applicare la pena accessoria della interdizione dai pubblici ufficio;

– che, pur non sussistendo alcun legame tra i delitti di ricettazione, di resistenza e di spaccio di stupefacenti, il Giudice, senza motivare, ha ritenuto il nesso della continuazione.

I motivi sono meritevoli di accoglimento.

Per quanto concerna la prima censura, è appena il caso di rilevare come l’art. 28 cod. pen. commini l’applicazione della pena accessoria, obbligatoria ex lege, della interdizione dai pubblico uffici che, nella ipotesi di condanna alla pena della reclusione non inferiore ai tre anni, assomma ad anni cinque per il disposto dell’art. 29 cod. pen.. La statuizione – che, nel caso in esame, era caratterizzata dalla automaticità della applicazione – è stata pretermessa.

Relativamente alla residua censura, si osserva come per aversi continuazione nel reato sia necessario che le singole azioni, o omissioni, susseguenti alla prima, siano prefigurate dall’agente come elementi costitutivi di un piano unitario criminoso concepito sin dallo inizio nei suoi componenti essenziali; la conclusione sulla esistenza del nesso della continuazione, risolvendosi in un giudizio di fatto, sfugge al sindacato di legittimità se sorretta da congrua e logica motivazione.

Tale non è l’ipotesi che ci occupa nel quale il tema è del tutto trascurato nella parte della sentenza relativa alla determinazione della pena e la esistenza di un disegno criminoso riferibile ad una unica determinazione non è riscontrabile dalla lettura globale del testo della decisione.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per un nuovo esame sui punti su precisati.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per un nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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