Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-03-2011) 20-04-2011, n. 15648 Correzione di errori materiali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Appello di Bari, con sentenza 20 gennaio 2010, ha confermato quella del Tribunale per quanto riguarda la condanna di M.V. per i reati previsti dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 (T.U. Stup.), L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2.

I Giudici hanno corretto l’errore materiale del dispositivo della prima decisione ove la sanzione detentiva era fissata in anni quattro e non in anni quattro e mesi due come risultante dalla parte motivazionale ; sul punto, hanno rilevato di potere procedere in tale senso trattandosi di sentenza con contestuale motivazione per cui era da escludere il rilevato contrasto potesse essere risolto con prevalenza del dispositivo.

Indi, la Corte ha disatteso la prospettazione difensiva, secondo la quale la droga era ad uso personale dal momento che l’imputato, che non ha prospettato di essere tossicodipendente, era stato sorpreso a cederla; la natura della sostanza (52,59 grammi di hashish) è stata desunta dagli accertamenti tossicologici. Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando:

-che sussiste una assoluta incertezza, con pregiudizio dei diritti della difesa, sulla qualificazione giuridica del fatto (art. 73, comma 1 nella imputazione formulata dal Pubblico Ministero, art. 73, comma 1 bis nella ordinanza applicativa della misura cautelare e art. 73, comma 5 nella sentenza del primo Giudice);

-che la Corte non ha risposto alla richiesta difensiva sulla necessità di una perizia tossicologica sulla sostanza, di pochi grammi, tendente alla verifica del principio attivo ed alla applicabilità dell’art. 75, T.U. citato per mancato superamento della soglia indicata nei decreti ministeriali;

-che, con la correzione dell’errore materiale sulla pena, i Giudici hanno violato il divieto di reformatio in pejus e non tenuto conto del principio secondo il quale il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza.

Per quanto concerne il primo motivo, non è riscontrabile alcuna imprecisione, lacuna o non tassatività nella formulazione della contestazione che abbia influito negativamente sulla possibilità dell’imputato di scegliere la strategia processuale e di porre in essere una concreta ed effettiva azione difensiva.

Il capo di imputazione, contenuto nel decreto che dispone il giudizio, menzionava l’art. 73, T.U. Stup. Cit., che era l’esatta norma da contestare, e la mancanza del comma di riferimento era ininfluente perchè era chiaramente specificata la condotta materiale addebitata all’imputato; comunque, la censura (peraltro non esplicita) sulla violazione dell’art. 429 c.p.p., comma 1, sub c), proposta solo con il presente ricorso, è tardiva. La puntualizzazione del comma 5, contenuta nella prima sentenza è corretta perchè il Giudice ha ritenuto la ipotesi lieve.

Relativamente alla necessità di perizia tossicologica, si deve evidenziare che l’imputato ha chiesto di essere ammesso al giudizio abbreviato non condizionato allo espletamento di indagini; in tale modo, ha accettato gli esiti degli accertamenti di natura tossicologica effettuati sulla sostanza dalla Polizia Scientifica (risultati che ha messo in discussione con motivi di appello privi della necessaria concretezza). Meritevole di accoglimento è la residua deduzione.

Il primo Giudice, nella parte motivazionale della sentenza, ha condannato l’imputato alla pena di anni quattro e mesi due di reclusione (esplicitando i criteri del calcolo in base al quale è pervenuto alla ricordata sanzione finale); nel dispositivo letto in udienza con contestuale motivazione, la pena detentiva era fissata in anni quattro. E’, pertanto, riscontrabile una divergenza tra l’elemento volitivo della sentenza e quello motivazionale che porta, di norma, a fare prevalere il primo che costituisce l’atto con il quale il Giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto mentre la motivazione ha una funzione strumentale.

Tale regola non è assoluta nella giurisprudenza di legittimità nella quale la patologia della diversità tra dispositivo e motivazione è risolta in termini diversi a secondo delle variabili delle singole situazioni oggetto del sindacato (Cass. Sez. 4 sentenza 27976/2008, Sez. 6 sentenza 44642/2010). Alcune decisioni di questa Corte hanno ammesso che la motivazione possa prevalere sul dispositivo quando l’errore materiale in esso contenuto è chiaramente riconoscibile dalla parte argomentativi della sentenza (Sez. 6 n. 25704/2003; Sez. 4 n. 7643/2004, Sez. 4 n. 38269/2007).

Dopo avere citato questa giurisprudenza, la Corte, basandosi sul carattere unitario della sentenza e sulla immediata percettibilità dell’errore del dispositivo stante la contestuale motivazione della sentenza , ha ritenuto armonizzare la volontà del Giudice con la sua estrinsecazione formale nel senso su precisato.

La correzione è stato effettuata di ufficio con lo strumento previsto dal combinato disposto degli artt. 547 e 130 cod. proc. pen. applicabile in astratto, anche, alla modifica del dispositivo (ex plurimis; Cass. Sez. 6 sentenza 35802/2007).

Tuttavia, tale procedura non era attivabile nella ipotesi in esame per la sua inevitabile ricaduta sul divieto di aggravare la sanzione in appello quando impugnate è il solo imputato.

L’ intervento della Corte sarebbe stato ammissibile se la correzione avesse apportato un regime più favorevole all’imputato, ma non nel caso contrario stante il mancato appello del Pubblico Ministero sulla sanzione detentiva.

Poichè la pena precisata nel dispositivo era più mite di quella indicata nella parte motivazionale della decisione, la correzione effettuata dalla Corte di Appello si è risolta, in sostanza, nel condannare l’imputato, in assenza di impugnazione dell’organo della accusa, ad una pena detentiva più severa di quella infinta dal Tribunale con violazione del divieto della reformatio in peius sancito dall’art. 597 c.p.p., comma 4.

Di conseguenza, la pena va determinata così come precisato nel dispositivo.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla pena detentiva che determina in anni quattro di reclusione. Rigetta, nel resto, il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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