Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-03-2011) 20-04-2011, n. 15701 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Trani giudicava con il rito abbreviato P.P. imputato dei reati di:

– riciclaggio; – ricettazione; – falso;

per avere acquisito il contrassegno identificativo di un motocarro di provenienza furtiva e, dopo averne contraffatto la sequenza alfanumerica, averlo sostituito a quello originale su altro motocarro egualmente di provenienza furtiva al fine di ostacolare il riconoscimento dell’origine delittuosa del veicolo; in (OMISSIS);

al termine del giudizio l’imputato veniva condannato con sentenza del 10.11.2004 alla pena ritenuta di giustizia;

La corte di appello di Bari, investita del gravame, riformava la decisione di primo grado, pronunciando la prescrizione del reato di falso ascritto al capo c), riqualificando come ricettazione il fatto originariamente ascritto quale riciclaggio del motocarro al capo a), e confermando la responsabilità per la ricettazione del contrassegno contestata al capo b); riduceva pertanto la pena inflitta in prime cure;

la corte territoriale riteneva che non vi era la prova che l’imputato avesse provveduto personalmente ad applicare sul motocarro il contrassegno alterato, dopo avere ricevuto con separate condotte il motoveicolo e la targhetta identificativa; riteneva invece più conforme agli elementi di causa che il P. avesse ricevuto il motocarro rubato già provvisto del contrassegno alterato, sicchè escludeva la responsabilità per l’ipotesi di riciclaggio, derubricando la relativa imputazione in quella di ricettazione del veicolo; manteneva ferma la responsabilità anche per l’accusa di ricettazione del contrassegno di identificazione, ritenendo che l’imputato fosse ben consapevole della sua provenienza da furto e dell’alterazione subita; unificava le due distinte fattispecie di ricettazione ai sensi dell’art. 81 cpv c.p. e rideterminava la pena come sopra anticipato.

L’imputato ricorre per cassazione a mezzo del suo difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e).

1)-il ricorrente censura la sentenza per violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., conseguente al difetto di correlazione tra l’imputazione e la decisione;

-sottolinea che si è ritenuta la sua responsabilità per la ricettazione del veicolo operando, in tal modo, un’inammissibile immutazione del fatto rispetto all’originaria imputazione (capo a) di avere compiuto operazioni finalizzate ad ostacolare il riconoscimento della provenienza delittuosa del motocarro;

2)-la sentenza era comunque da censurare per avere ritenuto la ricettazione del motocarro escludendo, illogicamente, la responsabilità per il furto dello stesso veicolo, nonostante l’aperta confessione resa al riguardo dall’imputato, trascurando di considerare che la versione dell’imputato era credibile perchè confortata dall’intervallo minimo di tempo tra il furto ed il rinvenimento del bene nella disponibilità del ricorrente;

3)-la Corte di appello aveva, inoltre, illogicamente ritenuto la continuazione tra l’ipotesi di ricettazione del contrassegno e quella di ricettazione del motocarro nonostante che, in realtà, il fatto fosse unico; ne era derivato un ingiusto aumento della pena ex art. 81 cpv c.p.;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il motivo relativo alla mancata correlazione tra la condotta originariamente contestata a titolo di riciclaggio e la condanna per ricettazione è del tutto infondato atteso che, in realtà, le due fattispecie possono fondarsi su condotte omogenee;

va ricordato che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione e, rispetto a quest’ultima, richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell’origine illecita. (Cassazione penale, sez. 2^, 19/02/2009, n. 19907).

Nella specie era stato ben contestato all’imputato di avere ricettato il motocarro provento di furto e di avervi apposto il contrassegno falsificato sicchè, una volta escluso che vi fosse la prova a carico del P. di avere provveduto direttamente o di avere concorso con altri all’attività di ostacolo all’identificazione della provenienza del veicolo rubato, non restava altro per la Corte territoriale che valorizzare l’elemento materiale del fatto, cioè la ricezione del veicolo rubato, ed inquadrare tale condotta nell’ipotesi generale della ricettazione ex art. 648 c.p. in luogo di quella speciale ex art. 648 bis c.p..

Va escluso perciò il vizio di mancata correlazione tra l’accusa e la decisione, atteso che le norme che disciplinano le modificazioni dell’imputazione e la necessaria correlazione tra essa e la sentenza ( artt. 516 e 522 c.p.p.) hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato.

Pertanto, devono essere interpretate con riferimento a detto scopo e non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui il mutamento pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato, essendo il sistema di garanzia ispirato all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un "fatto", inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi, non avendo rilievo l’inquadramento giuridico dato dal giudice al fatto. (Cassazione penale, sez. 4^ 16 settembre 2008. n. 38819).

Non vi è dubbio che, nella specie, il P. si sia difeso sul fatto della ricezione del veicolo rubato e del contrassegno, avendo perfino affermato di averli rubati personalmente, sicchè il motivo proposto è infondato.

Ugualmente infondato è il motivo di censura riguardo all’applicazione della continuazione tra le due contestazioni di ricettazione del contrassegno e del motocarro che, per il ricorrente, riguardavano un’azione unica e un reato unico;

invero, per ritenere la sussistenza del reato continuato non occorre valutare se i reati siano commessi con azione unica o con più azioni successive, distaccate nello spazio e nel tempo, ma occorre considerare se dette azioni costituiscano la realizzazione di un identico disegno criminoso: è necessario, cioè, dimostrare che, fin dall’inizio, l’agente aveva intenzione di compiere tutti i reati in seguito effettivamente commessi. (Cassazione penale, sez. 1^, 09/05/1978).

La Corte territoriale ha fatto buon uso di tale principio, osservando che, sebbene fosse assai verosimile che il P. avesse acquistato il motocarro già provvisto della targhetta identificativa alterata, era parimenti certo che egli era a conoscenza della provenienza da delitto sia del motocarro che della targhetta, atteso che quest’ultima era relativa a veicolo diverso.

La motivazione risulta incensurabile sotto il profilo della logicità, avendo congruamente argomentato riguardo alla piena consapevolezza della distinta provenienza da delitto dei due beni.

Quanto al merito, il ricorrente censura la motivazione per non avere preso in considerazione la fondatezza della tesi difensiva, incentrata sulla responsabilità per il diverso reato di furto, per come ammesso dallo stesso imputato ma, al riguardo, si deve rilevare che il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove, richiamando una diversa valutazione dei fatti che, invece, risultano vagliati dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale coerente con i principi della logica;

infatti, la sentenza impugnata ha motivato congruamente ed ha escluso la veridicità della tesi difensiva riguardo al furto osservando che tale tesi era stata formulata dall’imputato in maniera intempestiva e senza alcun elemento di riscontro;

risulta conforme ai criteri della comune conoscenza che l’autore del furto dovrebbe essere in grado di fornire gli elementi di riscontro al fatto attribuitosi e non limitarsi ad una mera asserzione, sicchè la motivazione sul punto risulta del tutto congrua ed immune da illogicità evidenti;

per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre, (Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255).

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna delle spese processuali.

Invero, ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1 e art. 616 il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento (Cassazione penale, sez. 6^, 3 giugno 1994).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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