Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-03-2011) 20-04-2011, n. 15699

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Palmi giudicava con il rito ordinario B.G. imputato del reato di truffa ex art. 640 c.p., commesso con l’artificio di pagare una fornitura di merce con assegno emesso dopo la revoca del conto corrente bancario, così da trarre in inganno la parte offesa sul buon fine dell’assegno e da indurla alla consegna della merce; in (OMISSIS);

al termine del giudizio l’imputato veniva condannato con sentenza del 20.06.2006 alla pena ritenuta di giustizia;

La Corte di appello di Reggio Calabria investita del gravame, confermava la decisione impugnata con sentenza del 22.04.2010;

L’imputato ricorre per cassazione a mezzo del suo difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1)-il ricorrente censura la decisione impugnata per avergli illogicamente negato le attenuanti generiche, nonostante fosse emerso che la sua condotta era stata determinata dalle cattive condizioni economiche, sicchè si imponeva la concessione delle attenuanti al fine di giungere ad una equa riduzione della pena;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il motivo sul trattamento sanzionatorio risulta del tutto infondato, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche; atteso che la Corte di appello ha richiamato la gravità del fatto, caratterizzato dal cospicuo importo della merce ricevuta con metodi fraudolenti, nonchè la personalità dell’imputato, caratterizzata dai numerosi e gravi precedenti penali. Si tratta di una motivazione del tutto adeguata, atteso che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Ciò vale, "a fortiori", anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

(Cassazione penale, sez. 4^ 04 luglio 2006, n. 32290).

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo valutazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo al motivo relativo alla dedotta prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del giudizio di legittimità. (Cassazione penale, sez. 2^, 21 aprile 2006, n. 19578).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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