Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 20-04-2011, n. 15647

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Il presente ricorso viene proposto contro la sentenza della Corte d’appello con cui è stata solo in parte riformata la condanna inflitta in primo grado all’odierno ricorrente. Quest’ultimo, infatti, era stato ritenuto responsabile di ricettazione e violazione dell’art. 171 ter, lett. c) per avere detenuto, senza essere concorso nella duplicazione, 61 CD per play station, 196 Cd musicali e 22 videocassette.

La Corte ha confermato la condanna per il delitto sub b) (art. 171 ter) e riformato la sentenza di primo grado per la imputazione sub a) (ricettazione) sul rilievo che, secondo quanto enunciato anche da questa S.C., il concorso del delitto di cui all’art. 648 c.p. con quello di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 si può ritenere solo per le condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68, (che ha abrogato la L. n. 248 del 2000, art. 16 sostituendolo con il nuovo testo della L. n. 633 del 1941, art. 174-ter).

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso deducendo:

1) mancanza e/o illogicità della motivazione da considerare apparente e quindi illogica rispetto alle risultanze processuali. Ed infatti, dopo avere escluso la responsabilità per il delitto sub a) la Corte si è limitata ad una rideterminazione della pena senza nulla dire (come invece avrebbe dovuto) a proposito della responsabilità per il delitto sub b). Inoltre, proprio la sentenza delle S.U. citata dalla Corte non fa ricadere l’ipotesi del delitto di ricettazione in quella disciplinata dall’art. 171 ter ma, al contrario, si afferma che la condotta in questione rappresenta un illecito amministrativo come, del resto si sarebbe potuto argomentare anche dal fatto che già la sentenza di primo grado aveva escluso l’esistenza di un rapporto di specialità tra i due delitti stante la diversità dei beni giuridici tutelati;

2) violazione di legge con riferimento all’art. 192 c.p.p. e L. n. 633 del 1941, art. 171 ter perchè non si è tenuto conto del contesto in cui si sono svolti i fatti posto che, in realtà, il ricorrente non è stato sorpreso nell’atto di vendere la merce;

3) violazione dell’art. 179 c.p.p. in quanto la notifica per il giudizio di appello è stata eseguita ex art. 161 c.p.p. presso il difensore sebbene il ricorrente avesse sin dall’inizio eletto domicilio presso la Chiesa Abbaziale di Don Vitaliano della Sala. La notifica (quantomeno la prima), pertanto avrebbe dovuto essere tentata presso detto indirizzo.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è manifestamente in fondato e, come tale, inammissibile.

Il primo motivo è del tutto ingiustificato se si considera che, in relazione alla contestazione sub b), il ricorrente aveva invocato l’assoluzione per ricorrenza della causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p. e che, puntualmente, i giudici di merito di secondo grado hanno replicato osservando che non erano state "neppure indicate dell’appellate le circostanze concrete che integrerebbero in punto di fatto l’invocato stato di necessità".

Si rivela, quindi, destituita di fondamento la censura secondo cui la Corte, una volta escluso il delitto suo a), non si sarebbe posta il problema della permanenza dell’altra imputazione.

Inammissibile perchè in fatto è anche il secondo motivo. Esso, infatti, si risolve in un’implicita richiesta a che questa S.C. rivaluti le emergenze processuali per trame conclusioni differenti da quelle che i giudici di merito hanno ritenuto di leggervi. Se ciò facesse, però, questo giudice di legittimità finirebbe per invadere un terreno che non è di sua spettanza. Il controllo sulla motivazione, infatti, non si deve risolvere in una nuova lettura degli atti per optare per la soluzione che si ritiene preferibile bensì nella verifica della correttezza di una decisione che deve mostrare di avere tenuto conto di tutte le emergenze processuali e di averle lette in modo non manifestamente illogico. Ciò è quanto, per l’appunto, avvenuto nella specie ove, nella sentenza di primo grado, si legge: che l’imputato è stato "sorpreso in possesso del materiale di cui alle imputazioni esposto su di una scatola poggiata per terra, sulla pubblica via – e da ritenersi pertanto sicuramente destinato alla vendita – privo del marchio SIAE e dunque abusivamente riprodotto".

La Corte dunque, non ha fatto altro che avallare siffatto ragionamento da essa condiviso e, come noto, quando le decisioni di primo e secondo grado sono concordanti, la motivazione espressa in appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (su. 4.2.92, Musumeci, Rv. 191229; sez. 1, 20.6.97, zuccaro, Rv. 208257 Sez. 1, 26.6.00, Sangiorgi, Rv. 216906).

Quanto, infine, al terzo motivo, risulta corretta la reiezione, da parte della Corte, della medesima censura in tema di notificazioni.

Giustamente, se ne sottolinea, in primo luogo, la tardività (visto che l’eccezione avrebbe dovuto essere dedotta prima della dichiarazioni di contumacia avvenuta nel corso dell’udienza del 21.9.05) e, comunque, la infondatezza nel merito dal momento che, per quell’udienza, l’imputato fu "regolarmente citato presso il domicilio eletto mediante consegna di copia al domiciliatario Don Vitaliano della Sala, tale qualificatosi in data 11.3.05".

Alla presente declaratoria di inammissibilità, segue, per legge ( art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000.
P.Q.M.

Visto l’art. 637 e ss. c.p.p.;

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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