Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 20-04-2011, n. 15646 Frode nell’esercizio del commercio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza di primo grado, l’odierno ricorrente è stato condannato per ricettazione – così riqualificata l’originaria imputazione di falso ai sensi dell’art. 474 c.p. – per avere detenuto dei capi di abbigliamento contraffatti. La Corte d’appello ha confermato respingendo, altresì, il motivo di appello diretto ad ottenere il riconoscimento dell’attenuante di cui al capoverso dell’art. 648 c.p..

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) erronea applicazione della legge penale perchè, l’imputato non avrebbe potuto essere condannato per ricettazione in quanto la data di consumazione del reato è anteriore al D.Lgs. n. 68 del 2003 con il quale è stato abrogato la L. n. 248 del 2000, art. 16 che qualificava come illecito amministrativo la ricezione di merce contraffatta. Inoltre, l’assoluzione dal reato di falso comporterebbe la impossibilità di provare il reato presupposto. In ogni caso, si trattava di falso grossolano;

2) vizio di motivazione in quanto, nel respingere la richiesta di applicazione dell’attenuante del capoverso dell’art. 648 c.p., la Corte si è limitata a ricordare il numero dei capi che, peraltro, è anche modesto (24 magliette e 6 paia di jeans) pure nel valore commerciale.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è ai limiti dell’inammissibilità e, comunque, sicuramente infondato.

Il richiamo alla L. n. 248 del 2000, art. 16 non è pertinente con l’imputazione in esame. Ed infatti, il tema della configurabilità di quella sanzione amministrativa – con parallela esclusione del delitto di ricettazione – per le condotte poste in essere antecedentemente all’entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68, riguarda le opere coperte dal marchio SIAE, vale a dire, il commercio abusivo di prodotti audiovisivi riprodotti illecitamente ( L. n. 633 del 1941, art. 171).

Nella specie, invece, ciò di cui il T. è chiamato a rispondere è la detenzione di capi di abbigliamento.

Peraltro, deve anche sottolinearsi che questo argomento non era nemmeno stato proposto dinanzi alla Corte d’appello che, quindi, non ha interloquito sul punto.

A proposito, invece, dell’attenuante speciale invocata (di cui all’art. 648 cpv. c.p.),i giudici di merito replicano che essa non è riconoscibile nella specie, non solo, per via del numero dei capi ma anche per la non occasionalità della condotta.

A fronte di una risposta che è in sè congrua, ragionevole e basata su dati obiettivi (i giudici traggono il proprio convincimento dalle stesse dichiarazioni dell’imputato di avere acquistato a (OMISSIS) la merce in sequestro) si deve, per contro, osservare che lo stesso motivo di doglianza è, in sè, generico e meramente assertivo della non accettabilità della motivazione della Corte.

E’ stato, invece, reiteratamente affermato che, ai fini di una valida sostenibilità del vizio di motivazione ex art. 606, lett. e), la specificità dei motivi di gravame è un corollario imprescindibile;

pertanto essi "devono contenere l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (Sez. 6, 15.3.06, casula, Rv. 233711; Sez. 6, 14.6.06, Policella, Rv.

234914).

Come visto, invece, nella specie, il ricorrente si limita a denunciare le argomentazioni della Corte senza precisare la causa della loro asserita non accettabilità.

Alla presente declaratoria, segue, per legge (art. 616 c.p.p), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Visto l’art. 637 e ss. c.p.p.;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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