Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 20-04-2011, n. 15639 Richiesta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha confermato la condanna inflitta all’odierno ricorrente accusato di avere violato la L. n. 633 del 1941, art. 171 ter e l’art. 648 c.p. in quanto trovato in possesso di 1259 DVD riproducenti opere cinematografiche.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) erronea applicazione dell’art. 171 ter in quanto, si tratta di fatti del (OMISSIS) quando ancora lo Stato italiano non aveva notificato alla Commissione la "regola tecnica" costituita dalla previsione del marchio SIAE; conseguentemente, i fatti avrebbero dovuto essere ricondotti nell’alveo della lett. d) con relativa pronunzia di assoluzione. D’altro canto, si soggiunge, è solo dalla mancanza di detto contrassegno che si argomenta la contraffazione contestata;

2) violazione di legge processuale da rinvenire nel fatto che il processo a carico dell’ I. è stato celebrato con rito abbreviato che però è stato richiesto oltre il termine consentito quando, cioè, era già stata fatta la costituzione delle parti ed addirittura era già stato sentito un teste. Ed infatti, risulta dai verbali che, all’udienza del 24 gennaio 2005, l’ I. era assistito da un difensore di ufficio che, dopo la costituzione, chiese le prove e si procedette all’esame del teste M.. Alle ore 11.50, (sebbene l’udienza fosse stata fissata per le 9.30) è comparso l’avv. Mungiello depositando nomina come difensore di fiducia dell’ I. e chiedendo contestualmente una rimessione in termine, per chiedere un rito alternativo, che il giudice concesse assumendo che "Il difensore di fiducia si era prenotato per il processo". Tutto ciò era irregolare perchè la "prenotazione non risulta da alcuna atto ufficiale e comunque non equivale a nomina. Oltretutto, si fa notare, il rito abbreviato si è risolto in uno svantaggio per l’imputato che, invece, procedendo all’istruttoria, avrebbe potuto dimostrare la propria innocenza;

3) vizio di motivazione in quanto la Corte d’appello non ha risposto alle obiezioni difensive relative alla incertezza circa i contenuti dei DVD. Non risulta, infatti, che gli stessi siano stati visionati e la tesi che essi contenessero le opere cinematografiche descritte nelle copertine ha lo stesso pregio della tesi alternativa secondo cui invece, essi fossero vuoti;

4) vizio di motivazione in ordine al delitto di ricettazione la cui sussistenza viene asserita sulla base di un argomento che si risolve in una inversione dell’onere della prova (visto che la provenienza illecita dei DVD viene desunta dalla assenza di prova che l’ I. li abbia duplicati egli stesso).

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.

Al primo motivo è, infatti, agevole replicare che la realtà fattuale, quale si desume dall’insieme delle due sentenze di merito, risulta meno riduttiva di come prospetta il ricorrente visto che i militari della Guardia di Finanza, nel corso della perquisizione domiciliare, rinvennero "n. 1350 DVD, privi del timbro S.I.A.E., di cui 1200 erano completi di custodie e locandine fotocopiate a colori, in relazione ai quali l’imputato non esibiva alcun documento fiscale o altra documentazione comprovante la legittima provenienza".

E’ pertanto, improprio il richiamo alla previsione di cui all’art. 171, lett. d) come pure quello alla nota sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea (8 novembre 2007 – Schwibbert) (la cui applicazione diretta nel nostro ordinamento ha comportato, in taluni casi – per i fatti commessi sino al (OMISSIS) – la disapplicazione della normativa interna per difetto della prescritta procedura di informazione volta ad assicurare che l’introduzione, da parte di uno Stato membro, di una "regola tecnica" – quale è il contrassegno S.I.A.E. – si risolvesse in un ostacolo alla libera circolazione dei beni).

L’obbligo di apposizione del contrassegno presuppone un’autenticità del supporto detenuto, mentre, come affermato ripetutamente da questa Corte, (Sez. nn 24.6.08, Mersai, Rv. 240792) nel caso di detenzione per la vendita di supporti illecitamente duplicati – che siano altresì privi del contrassegno Siae – è configurabile il reato di detenzione per la vendita o di messa in commercio di supporti illecitamente duplicati ( L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c)).

E’ ben vero che l’assenza del contrassegno non dimostra, sempre e comunque, l’illecita provenienza del prodotto (perchè, come risulta dalla L. n. 633 del 1941, art. 181 bis, comma 3, il contrassegno può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge dallo stesso regolamento) ma è anche certo che essa costituisce elemento indiziario nella valutazione della fattispecie concreta ed, unitamente ad altri elementi (quali, ad esempio – come nel caso di specie – le circostanze del numero di supporti particolarmente significativo ovvero le copertine contraffatte), concorre a qualificare correttamente il fatto.

Manifestamente destituita di fondamento è anche la seconda doglianza per due ordini di ragioni: la prima è costituita dalla sua tardività (non risulta proposta in appello); la seconda è, comunque, connessa al fatto che, ai sensi dell’art. 182 c.p.p. le nullità di cui gli artt. 180 e 181 c.p.p. non possono essere eccepite da chi vi ha dato ha concorso a darvi causa: nella specie, risulta inequivocabilmente dal verbale di udienza che la "rimessione in termini" del difensore sopraggiunto è avvenuta "visto anche l’accordo delle parti. Tutto ciò, del resto, è stato anche già asserito in modo esplicito anche da questa S.C. (sez. 11,13.11.08, Rv. 241977).

Che il terzo motivo sia destituito di fondamento lo si desume dalla semplice considerazione che il controllo sulla motivazione che questa S.C. è chiamata a svolgere attiene esclusivamente alla esaustività della stessa, alla sua aderenza ai dati processuali ed alla logica della chiave interpretativa. E’, invece, del tutto irrilevante il fatto che le stesse circostanze fattuali si prestino a delle letture alternative altrettanto probabili perchè non compete a questa S.C. valutare la prova al punto da optare per la soluzione che si ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti (sez. 4, 17.9.04 n., cricchi, Rv. 229690) posto che, diversamente, si verificherebbe una inammissibile invasione di campo della competenza del giudice di merito.

A tale stregua, la decisione impugnata (in uno con quella di primo grado con la quale Costituisce Un unicum (SU. 4.2.92, Musumeci, Rv.

191229; Sez. 1, 20.6.97, Zuccaro, Rv. 208257 Sez. 1, 26.6.00, Sangiorgi, Rv. 216906) non è censurabile per il fatto di avere – anche in assenza di una attività di visione dei DVD – desunto la loro natura illecita dal "numero ed allocazione dei DVD rinvenuti e sequestrati". Nè vale replicare che l’ulteriore dato citato dai giudici "mancanza di deduzioni in senso contrario" dia luogo ad una inversione dell’onere della prova (come asserito nel quarto motivo).

L’argomento è, infatti, semplicemente suggestivo ma palesemente infondato posto che, innanzitutto, il richiamo alla mancanza di opposte argomentazioni non è l’unico su cui si fonda il convincimento dei giudici, secondariamente, esso si risolve nella presa d’atto dell’assenza di elementi che contrastino la conclusione – del tutto logica e compatibile con il senso comune – cui la realtà fattuale al loro esame aveva condotto quei giudici. In altri termini, nessuna "inversione dell’onere della prova ma semplice constatazione dell’assenza obiettiva di prove (o anche semplicemente di elementi di dubbio) del fatto che la duplicazione fosse stata realizzata dall’imputato.

Alla presente declaratoria di inammissibilità, segue, per legge ( art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000.
P.Q.M.

Visto l’art. 637 e ss. c.p.p.;

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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