T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 18-04-2011, n. 3343 Albi professionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il proposto gravame è stato impugnato il decreto, in epigrafe indicato, con cui il resistente Ministero, uniformandosi alla proposta formulata in tal senso dalla Banca d’Italia, ha disposto la cancellazione della società ricorrente dall’elenco dei soggetti di cui all’art.106 del TUB.

Nella narrativa dei presupposti fattuali sottostanti la controversia in trattazione è stato fatto presente che:

a) la C. è stata sottoposta ad accertamenti ispettivi dal 16 aprile al 18 maggio 2009 da parte della Banca d’Italia;

b) essendo emerse dai suddetti accertamenti diverse violazioni della normativa disciplinante l’attività dei soggetti di cui al citato elenco, la BI ha attivato il procedimento di cancellazione contestando con nota del 13 agosto 2009 all’odierna istante:

I) l’esercizio di attività finanziaria in assenza dell’iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art.107 del TUB, in violazione del DM 13.5.1998, le cui disposizioni sono state sostituite ed integrate dal DM n.29/2009;

II) compimento di operazioni di carattere non strumentale rispetto all’attività finanziaria, in violazione del principio di esclusività dell’attività stessa, previsto dal ripetuto art.106;

III) mancata verifica del possesso dei requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti aziendali, in violazione dell’art.109 TUB e del DM n.516/1998;

IV) omessa comunicazione all’Autorità di Vigilanza dell’intervenuto avvicendamento sulla composizione del Collegio sindacale nonchè delle cariche ricoperte dai sindaci presso altre società in violazione dell’art.106, commi 6 e 7, del TUB;

V) mancato rispetto delle disposizioni della normativa antiriciclaggio in tema di regolare tenuta e conservazione dell’Archivio informatico, in violazione del D.lgvo n.231/2007;

VI) omessa comunicazione da parte del Collegio sindacale delle irregolarità relative alla gestione della società in violazione dell’art.112 TUB;

c) il resistente Istituto, dopo aver acquisito le controdeduzioni della società, ha formulato la proposta di cancellazione della stessa dall’albo ex art.106, cui si è integralmente uniformato il Ministero con il contestato decreto;

d) il giorno precedente l’adozione del suddetto decreto la C. ha presentato alla BI un’istanza tesa ad ottenere la cancellazione dal ripetuto, la quale è stata rigettata con la determinazione del 20.4.2010, pure impugnata in questa sede.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza:

1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt.3, 7 e 10 della L. n.241/1990 per mancata realizzazione del contraddittorio procedimentale tra la ricorrente, la Bi ed il ministero che ha emanato il provvedimento finale di cancellazione in relazione al fatto " nuovo" rappresentato dall’istanza di cancellazione;

2) Violazione e/o falsa applicazione degli artt.3, 7 e 10 della L. n.241/1990 per omessa valutazione da parte del Ministero delle risultanze prodotte dalla BI quale organo di mera istruttoria/proposta;

3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art.10 bis per omesso preavviso di diniego con riferimento al rigetto dell’istanza di cancellazione volontaria;

4) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 106 e 107 del TUB per insussistenza dei presupposti per la cancellazione dall’elenco generale anche in relazione ai DD.MM. nn.516 e 517 del 1998;

5) Violazione del principio di proporzionalità per sproporzione della sanzione comminata rispetto alle violazioni accertate.

Si sono costituiti sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze sia la Banca d’Italia contestando con ampie e stringenti argomentazioni la fondatezza delle dedotte doglianze e concludendo per il rigetto delle stesse.

Alla pubblica udienza del 6 aprile 2011 il ricorso è stato assunto in decisione.
Motivi della decisione

Con il proposto gravame sono stati impugnati:

a) il decreto, in epigrafe indicato, con cui l’intimato Ministero, recependo in toto la proposta formulata in tal senso dalla Banca d’Italia, ha disposto la cancellazione della società ricorrente dall’elenco dei soggetti di cui all’art.106 del TUB;

b) il provvedimento, pure in epigrafe descritto, con cui la citata BI, alla luce dell’adozione del contestato decreto Ministeriale, ha rigettato l’istanza con cui la spa C. aveva chiesto di essere cancellata dal menzionato albo.

Con il primo motivo di doglianza è stato fatto presente che il decreto di cancellazione di ufficio è stato, illegittimamente, adottato senza che fosse stata valutata previamente la fondatezza dell’istanza con la quale la C. aveva chiesto la cancellazione volontaria dall’albo di cui all’art.106.

Sostiene in merito la ricorrente che la richiesta di cancellazione avrebbe dovuto costituire un presupposto di improcedibilità del procedimento di cancellazione avviato d’ufficio, non risultando più configurabile alcun vulnus neanche potenziale per il ben giuridico tutelato con la cancellazione di ufficio.

La dedotta censura non è suscettibile di favorevole esame, atteso che, in disparte la circostanza fattuale che la predetta istanza è stata presentata solamente il giorno pecedente l’adozione del contestato decreto, il Collegio, in linea con quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez.VI, con la recente sentenza n.2374/2010, sottolinea che è infondato l’assunto da cui muove la società ricorrente secondo cui sussisterebbe un rapporto di presupposizione in virtù del quale dall’esito del procedimento di cancellazione volontaria dipenderebbe la stessa procedibilità della cancellazione d’ufficio.

In merito deve essere rilevato che:

a) il legislatore ha disciplinato all’art. 111 del Testo unico la cancellazione dall’elenco generale degli intermediari finanziari in questo iscritti, stabilendo che essa venga disposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze " qualora risultino gravi violazioni di norme di legge o delle disposizioni emanate ai sensi del presente decreto legislativo" (art.111, comma 1, lett. c) del Testo unico);

b) il procedimento di cancellazione ad istanza di parte soddisfa invece l’interesse dell’intermediario a non far più parte dell’elenco e di non essere assoggettato alla disciplina propria degli iscritti;

c) in tale contesto da nessuna disposizione normativa può trarsi il prospettato vincolo di pregiudizialità tra i due procedimenti, che essendo distinti non solo nella iniziativa soggettiva ma anche nei presupposti, non sono astretti da alcun vincolo di pregiudizialitàdipendenza, di tal che ben può essere attivato il procedimento d’ufficio di cancellazione anche quando sia pendente un’istanza di cancellazione volontaria.

Con la successiva doglianza sul presupposto che "a fronte di un unico provvedimento (la cancellazione), si hanno due procedimenti ben distinti, prefigurati dal legislatore in rapporto di connessione, ma pur sempre gestiti autonomamente da due diverse autorità: la B.d.I che, svolgendo funzioni di vigilanza, ha un potere di segnalazione e di mera istruttoria/proposta ed il Mef la cui determinazione relativa alla definitiva cancellazione dall’elenco di cui all’art.106 TUB si configura quale atto connotato da un innegabile coefficiente di discrezionalità" è stato sostenuto che nella fattispecie in esame il resistente Ministero non ha effettuato un’autonoma istruttoria acquisendo direttamente le osservazioni e le deduzioni della società ricorrente nè ha effettuato un’autonoma valutazione in ordine alla idoneità delle violazioni contestate a legittimare l’assunzione del contestato provvedimento di cancellazione.

Anche tale censura deve essere rigettata.

In merito il Collegio, in linea con quanto affermato con la sentenza n.1210/2010, osserva che l’art.111 del TUB stabilisce che il procedimento di cancellazione è articolato in una fase istruttoria di competenza dell’intimato istituto e in una fase decisoria devoluta al Ministero dell’Economia.

La prima fase, strutturata analogamente ad un procedimento sanzionatorio, prevede la contestazione degli addebiti, la presentazione da parte dell’intermediario finanziario di proprie argomentazioni e deduzioni a sostegno della legittimità del proprio operato e si conclude con la proposta finale della Banca d’Italia.

In tale quadro normativo si evince che:

a) il contraddittorio deve essere assicurato unicamente nella fase istruttoria in quanto non è in alcun modo stabilito come elemento necessario che la proposta finale della BI debba essere portata a conoscenza dell’intermediario finanziario al fine di consentire a quest’ultimo di confutarla davanti al Ministero;

b) tale ulteriore incombente risolvendosi in una sorta di duplicazione del contradditorio, risulta essere un inutile aggravio procedimentale, avuto presente che la proposta finale si basa sulla sussistenza delle infrazioni riscontrate e sulla gravità delle stesse, già contestate in sede di avvio del procedimento, in ordine alle quali l’intermediario è stato messo in condizione di presentare le proprie argomentazioni.

Per quanto concerne il prospettato deficit motivazionale del contestato decreto di cancellazione è sufficiente evidenziare che il ministero si è limitato, correttamente, a motivarlo per relationem, facendo proprie le argomentazioni che avevano indotto la Banca d’Italia, alla luce delle controdeduzioni presentate dalla società ricorrente, a proporre la cancellazione dall’elenco.

Infondate sono anche le censure dedotte avverso la determinazione con cui la BI, alla luce dell’adottato decreto ministeriale di cancellazione, ha rigettato l’istanza di cancellazione volontaria presentata dalla società ricorrente.

A tal fine è sufficiente evidenziare che:

a) stante l’acclarata assenza, per le ragioni di cui sopra, di qualsiasi forma di pregiudizialità dell’esame dell’istanza di cancellazione volontaria rispetto all’attivazione e conclusione del procedimento di cancellazione di ufficio, il contestato rigetto risultava assolutamente vincolato nell’an e nel quid una volta intervenuto il decreto ministeriale di cancellazione;

b) relativamente alla mancata osservanza dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, la violazione formale della norma non corrisponde ad una sua portata viziante perché, alla luce di quanto sopra evidenziato, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (ex plurimis CS, sez.VI, n.4929/2009; Tar Lazio, sez.III, n.3729/2008).

Non suscettibili di favorevole esame sono anche le altre censure con cui è stata contestata la sussistenza delle violazioni delle disciplina in materia di svolgimento dell’attività finanziaria ascritte alla società ricorrente.

Relativamente all’asserita violazione dei limiti dimensionali previsti con riferimento al volume di attività finanziaria e ai mezzi patrimoniali la società ricorrente ha fatto presente che:

a) in forza della disciplina introdotta dal DM 29/9/2009 il superamento di un determinato importo dei mezzi patrimoniali non obbliga più all’iscrizione nell’elenco degli intermediari di cui all’art.107 TUB;

b) con riferimento al volume dell’attività finanziaria non aveva mai superato il limite relativo e che in ogni caso il superamento del suddetto limite per obbligare all’iscrizione nell’elenco di cui all’art.107, ai sensi dell’art.19 del citato DM del 2009, doveva essere mantenuto per i sei mesi successivi alla chiusura dell’esercizio.

Le dedotte doglianze sono radicalmente infondate.

In merito, in linea con quanto meticolosamente osservato dalla BI, il Collegio osserva che.

I) le irregolarità riscontrate si riferivano agli anni 20052008 e, pertanto, alla disciplina vigente a quella data ( DM 13.5.1996) occorreva far riferimento;

II) ne consegue che non è in alcun modo contestabile che i mezzi patrimoniali della ricorrente erano di gran lunga superiore a quelli previsti dal citato DM 1996 e che per l’anno 2008 il volume di attività finanziaria risultava superiore sia a quello consentito dal DM 1996 dia a quello previsto dal DM 2009;

III) nè può risultare conferente il richiamo alla circostanza che il successivo DM del 2009 aveva escluso la rilevanza dei mezzi patrimoniali ed aveva previsto, altresì, che il superamento del limite quantitativo dell’attività finanziaria doveva essere mantenuto per 6 mesi successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario, in quanto trattandosi di violazioni di carattere amministrativo non trova applicazione il richiamato art.2 del cod. penale, con la conseguenza che in base al generale principio " tempus regit actum" occorre far riferimento unicamente alla disciplina vigente alla data in cui sono state commesse le irregolarità de quibus.

Non suscettibile di favorevole esame è anche la successiva doglianza con cui è stato fatto presente che contrariamente a quanto sostenuto nel decreto di cancellazione l’attività espletata dalla ricorrente in via principale (acquisto pro soluto di crediti) è "un’attività finanziaria non rilevante ai fini del superamento delle soglie regolamentari se non in uno specifico caso e cioè quando l’acquisto di crediti sia collegato ad un’attività di finanziamento dell’intermediario", atteso che, giusta quanto stabilito dalla normativa di settore (art.2, comma 1, del DM 6.7.1994, sostituito dall’analogo art. 3 del DM 29/2009) l’attività di concessione di finanziamenti ricomprende tra l’altro ogni tipo di finanziamento connesso con operazioni di acquisto di crediti.

L’erroneità della tesi ricorsuale, poi, risulta avvalorata dalla circostanza che ragionando nel senso propugnato dall’odierna istante la C. non aveva nemmeno l’obbligo di essere iscritta nell’elenco di cui all’art.106.

Con la successiva censura è stata contestata la fondatezza della violazione del principio di esclusività dell’attività finanziaria avendo la ricorrente assunto partecipazioni di carattere strumentale non rientranti nell’oggetto sociale ed essendo intervenuta in prima persona in transazioni commerciali in campo immobiliare.

In particolare, come risulta accertato nel verbale ispettivo, la C.:

a) ha assunto partecipazioni di carattere non strumentale, tra cui il 96% dell’Immobiliare Credit Securititasion srl che detiene il controllo di altre società ponendosi a capo di un gruppo le cui attività consolidate sono costituite per il 75% da poste non finanziarie;

b) è intervenuta nel 2006 in transazioni commerciali stipulando contratti preliminari successivamente ceduti a terzi per l’acquisto di immobili.

Secondo la prospettazione ricorsuale l’attività espletata dalla ISC non è quella tipica di una società attiva nel settore dell’acquisto e della vendita di immobili, in quanto la ISC si procura la disponibilità dei fabbricati mediante operazioni bancarie di leasing e stipola successivi contratti di sublocazione lucrando la una rendita data dal differenziale tra l’ammontare del canone di locazione finanziaria ed il canone di locazione pagato dal subconduttore.

Anche tale profilo di doglianza deve essere rigettato atteso che l’elemento caratterizzante addotto dalla C. (modalità di acquisizione degli immobili) risulta essere irrilevante in quanto non è seriamente contestabile che la gestione dell’attività immobiliare ha una sua autonoma e specifica capacità reddituale con la conseguenza che non può mai essere considerata strumentale rispetto a quella finanziaria.

Per quanto concerne l’asserita non gravità delle irregolarità contestate in ordine al mancato rispetto della normativa di riciclaggio imputabili secondo la ricorrente a mera svista, deve essere rilevato che l’inosservanza di ogni singola registrazione nell’AUI è sanzionata penalmente, per cui, contrariamente a quanto dedotto dall’attuale istante, non è predicabile un giudizio di maggiore o minore gravità della singole violazioni.

Da rigettare è infine la censura con cui la ricorrente ha contestato la sussistenza della irregolarità concernente la mancata verifica del possesso dei requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti aziendali, asserendo che gli amministratori e i sindaci sono perfettamente in linea con i requisiti previsti dalla normativa, in quanto ciò che è stato imputato alla società ricorrente è la mancata verifica della sussistenza dei requisiti de quibus in capo ai citati soggetti di cui doveva rimanere traccia nella documentazione aziendale.

Pure infondata deve essere dichiarata infine l’ultima doglianza dedotta con cui sul presupposto che le irregolarità riscontrate non fossero di rilevante gravità ha negato che sussistessero quella situazione di grave illegalità che poteva legittimare l’adozione di un provvedimento di cancellazione, atteso che:

a) la valutazione in ordine alla gravità della situazione aziendale è ampiamente discrezionale, ed è insindacabile in sede di giudizio di legittimità se non per motivi di travisamento dei fatti o per manifesta illogicità, in alcun modo ravvisabile nella controversia in trattazione;

b) la suddetta valutazione poi deve tener conto di tutte violazioni riscontrate, indipendentemente ed autonomamente dalla gravita di ciascuna irregolarità, con la conseguenza che l’adozione di un provvedimento di cancellazione può essere correttamente giustificata anche in presenza di numerosi infrazioni che nell’insieme evidenziano un quadro diffuso di illegittimità dell’attività espletata dall’intermediario.

Ciò premesso il proposto gravame deve essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 4904 del 2010, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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