Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-07-2011, n. 15654 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

dine, per il rigetto nel merito.
Svolgimento del processo

Con decreto del 18 giugno – 8 luglio 2008 la Corte d’Appello di Torino rigettava la domanda proposta dall’avv. D.C. con ricorso del 30 novembre 2007 con il quale veniva chiesta la con danna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 8.000,00 a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lui promosso dinanzi al Tribunale di La Spezia con ricorso per decreto ingiuntivo del 19 luglio 2004 e tuttora pendente a seguito di opposizione del debitore. Osservava la Corte che dalla complessiva durata del processo presupposto andava detratto un periodo di dieci mesi e sette giorni a causa del mancato deposito dei fascicoli dell’intimante e che pertanto esso aveva avuto una durata di due anni e diciassette giorni la quale non poteva perciò essere considerata eccessiva.

Contro il decreto ricorre per cassazione l’avv. D.C. con tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si sostiene che il decreto impugnato abbia erroneamente calcolato il termine iniziale del processo presupposto dalla data della notificazione della citazioni in opposizione e non da quella del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo.

La censura non può trovare accoglimento per la sua portata esclusivamente teorica poichè il ricorrente non allega che il termine di durata del processo calcolato dal decreto impugnato in due anni e diciassette giorni avrebbe superato il termine ragionevole di tre anni aggiungendo ad esso l’intervallo di poco più di quattro mesi intercorso tra la data di proposizione del ricorso per ingiunzione (19 luglio 2004) e quella della notificazione della citazione in opposizione (23 novembre 2004).

Col secondo motivo si lamenta l’erronea detrazione del termine di dieci mesi e sette giorni corrispondente al termine necessario per l’acquisizione dei fascicoli dell’intimante.

Le ragioni esposte nell’esame del motivo che precede valgono ad escludere la fondatezza del motivo in esame in quanto, anche accettando la prospettazione del ricorrente, il processo presupposto non avrebbe superato il termine di durata ordinaria di tre anni.

Con il terzo ed ultimo motivo si censura la disposta condanna al pagamento delle spese giudiziali in base alla considerazione che un processo che è interamente gratuito dinanzi alla Corte di Strasburgo non dovrebbe comportare la condanna del soccombente alle spese nei giudizi promossi dinanzi al giudice nazionale.

La censura è destituita di fondamento poichè, come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, nel procedimento camerale per il riconoscimento dell’equo indennizzo trovano applicazione le disposizioni del codice di procedura civile in tema di disciplina delle spese giudiziali senza che nessun ostacolo provenga dalla Convenzione CEDO e dal Protocollo aggiuntivo poichè resta esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti dinanzi alla Corte di Strasburgo (Cass. 22 gennaio 2010, n. 1101; 30 dicembre 2009, n.27728; 21 ottobre 2009, n. 22305).

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *