Corte Costituzionale ordinanza n. 233 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2010 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 36 del 8-9-2010

IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Nel processo penale a carico di Slimane Ahmed, nato a Bagdad (Iraq) il 22 giugno 1987, elettivamente domiciliato presso il difensore d’ufficio l’avv. Costantino Domenico con studio in Lonate Pozzolo, via Lissenzio n. 18, imputato del reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 286/98 poiche’ essendo cittadino straniero di Paese non appartenente all’U.E., faceva ingresso ovvero si tratteneva sul territorio dello Stato senza essere munito del prescritto visto di ingresso e/o permesso di soggiorno in violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche. Accertato in Fermo il 31 dicembre 2009. Premesso che: Slimane Ahamed, indagato il 31 dicembre 2009 dalla Polizia di Frontiera presso lo scalo aereo di Malpensa; che nella stessa data veniva notificato il decreto di espulsione dal territorio dello Stato italiano nonche’ l’ordine di intimazione del Questore di Varese per essersi trattenuto senza giustificato motivo in Italia. All’udienza del 4 febbraio 2009, dichiarata la contumacia dell’imputato non comparso, sull’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’art.10-bis d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall’art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94 formulata dal suo difensore che si riservava di produrre memoria, la causa veniva rinviata all’udienza dell’11 marzo 2010, nella quale il giudice preso atto della questione di illegittimita’ costituzionale ivi sollevata, tenuto conto della varie ordinanze gia’ emesse da altri giudici sul medesimo tema, aderendo in particolare alle argomentazioni dedotte dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Torino che fa proprie, osserva e ribadisce che: l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286/98 introdotto dall’art. 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009 n. 94 prevede la nuova fattispecie criminosa dell’«ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» sanzionando con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche’ di quelle dell’art. 1 della legge 28 maggio 2007 n. 68»; tale norma appare in contrasto con l’art. 3 della Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l’ingresso e la permanenza dei clandestini nello Stato italiano; pur riconoscendo che compete al legislatore un generale potere «di regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi ai flussi migratori incontrollati» (Corte costituzionale sentenza n. 5/2004) facendo buon uso della sfera di discrezionalita’ sua propria, l’azione di tale organo costituzionale trova limiti insuperabili nell’osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell’adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita’ finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e’ chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire come estrema ratio, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. L’obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice e’ costituito dall’allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato: tale misura e’ prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 286/98 appositamente modificato per comprendervi trai presupposti la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 10-bis (cosi alterando anche con l’espressa introduzione dell’art. 62-bis il sistema sanzionatorio designato dal d.lgs. n. 274/2000 che prescriveva all’art. 62 l’espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi); inoltre la effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita’ dell’azione penale, il che rende evidente quale sia l’interesse primario perseguito dal legislatore; infine non e’ richiesto alcun nulla osta dell’Autorita’ Giudiziaria per l’esecuzione dell’espulsione, al chiaro scopo di non creare intralci alla predetta operazione. L’evidente finalita’ della nuova fattispecie incriminatrice, strumentale all’allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato ne sottolinea la mancanza di una ratio giustificatrice, perche’ lo stesso obbiettivo era perfettamente raggiungibile prima della introduzione della nuova figura di reato, mediante l’adozione dell’espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell’art. 13, comma 4 d.lgs. n. 286/98. L’ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quella della preesistente misura amministrativa della espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari, sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c’era gia’ nell’Ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (che non e’ stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l’adozione dello strumento penale resta privo di ogni giustificazione; l’irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio; che comprende non solo la pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 curo, ma anche il divieto di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della facolta’ concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione piu’ grave, quale quella dell’espulsione dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di misura sostitutiva piu’ grave della sanzione principale sostituita); l’art. 3 Cost. appare violato sotto un altro profilo specifico, concernente la irragionevole disparita’ di trattamento tra la nuova fattispecie e quella dell’art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98 che prevede la punibilita’ dello straniero inottemperante all’ordine di allontanamento del Questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo». Due condizioni che non si trovano nella nuova figura criminosa, cosicche’ e’ sufficiente il venir meno per qualche motivo del permesso di soggiorno perche’ sia immediatamente ed automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito, senza alcuna possibilita’ per l’interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare. Va richiamata al riguardo la sentenza della Corte costituzionale n. 5/2004 che ha salvato la costituzionalita’ dell’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286/98 proprio grazie all’interpretazione costituzionale orientata della clausola «senza giustificato motivo» considerata al pari di altre simili rinvenibile nell’ordinamento, una «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorche’ – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile» per i piu’ svariati motivi riconducibili «a situazioni ostative di particolare pregnanza che incidano sulla stessa possibilita’ soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa». Il nuovo reato di immigrazione clandestina non appare conforme alla Costituzione perche’ punisce indiscriminatamente tutti i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, senza tenere conto della eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale presenza. Il nuovo art. 10-bis d.lgs n. 286/98 appare in contrasto con l’art. 3 Cost. nonche’ con l’art. 25, secondo comma Cost., avuto riguardo alla configurazione di una fattispecie penale discriminatoria, perche’ fondata su particolari condizioni personali e sociali, anziche’ su fatti e comportamenti riconducibili alla volonta’ del soggetto attivo; infatti la nuova fattispecie incriminatrice sanziona solo apparentemente una condotta (l’azione dell’ingresso e l’omissione del mancato allontanamento) in realta’ in se’ e per se’ del tutto neutra agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto dell’incriminazione e’ la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso un titolo abilitativo all’ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e’ poi la condizione tipica del migrante economico e dunque anche una condizione sociale, cioe’ propria di una categoria di persone; una situazione priva di una qualche significativita’ sotto il profilo della pericolosita’ sociale, difficilmente riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante essendo costui di regola costretto a fuggire dal proprio Stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire la sottrazione dei documenti (ove esistenti) da parte delle compagini criminali che organizzano i viaggi della speranza. La criminalizzazione del migrante economico appare in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. che vieta ogni discriminazione fondata, tra l’altro su condizioni personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia costituzionale secondo cui si puo’ essere puniti solo per fatti materiali (art. 25 secondo comma Cost.). La Corte costituzionale si e’ gia’ espressa in modo inequivoco sul punto stabilendo nella sentenza 78 del 2007, in tema di applicabilita’ delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che di per se’ non e’ univocamente sintomatica … di una particolare pericolosita’ sociale»; dal che consegue «l’impossibilita’ di individuare nella esigenza di rispetto delle regole in materia di ingresso e soggiorno in detto territorio una ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero sul piano dell’accesso al percorso rieducativo, cui la concessione delle misure alternative e’ funzionale». La nuova fattispecie renderebbe inapplicabile la citata sentenza della Corte cost. e inaccessibili le misure alternative alla detenzione a stranieri clandestini condannati a pene detentive perche’, sanzionando penalmente la clandestinita’ dello straniero, essa collega a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosita’ sociale, che di per se’ e’ incompatibile – come ammesso dalla stessa Corte cost. – «con il perseguimento di un percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa». La nuova fattispecie appare infine in contrasto con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta’ politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti perfettamente applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la Corte costituzionale, con la sentenza 519 del 1995, dichiaro’ l’illegittimita’ costituzionale del reato di mendicita’ di cui all’art. 670 c.p. non potendosi ritenere necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera mendicita’ non invasiva che, risolvendosi in una semplice richiesta di aiuto, non poteva dirsi porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillita’ pubblica e dell’ordine pubblico. Allo stesso modo lo spirito solidaristico di cui e’ impregnata la Carta costituzionale dovrebbe impedire l’adozione di misure puramente repressive per risolvere il problema dell’immigrazione; lo straniero migrante non puo’ essere considerato pericoloso per l’ordine e la tranquillita’ pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere. Le questioni di costituzionalita’ sopra enunciate appaiono a questo giudice serie e comunque non manifestamente infondate: esse sono inoltre rilevanti nel processo poiche’ se accolte, con la conseguente declaratoria di illegittimita’ delle norme denunciate comporterebbero l’assoluzione dell’imputato essendo lo stesso chiamato a rispondere del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 10-bis d.lgs. n. 286/98 come introdotto dalla legge citata.

P.Q.M.

Visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge cost. 9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva la
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998 n. 286 introdotto dall’art. 1 comma 16 a)
della legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevede come
reato il fatto dello straniero che fa ingresso ovvero si trattiene
nel territorio dello Stato in violazione delle norme citate, in
relazione agli artt. 2, 3 primo comma, e 25 secondo comma della
Costituzione;
Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Pronunciata in Gallarate nell’udienza dell’11 marzo 2010.

Il Giudice di pace: Mastrangelo

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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