Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-07-2011, n. 15647 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I.A., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio da lei instaurato dinanzi al T.A.R. Campania per il risarcimento del danno da mancato godimento di riposo compensativo nell’ambito del suo rapporto di lavoro pubblico, giudizio iniziato nel novembre 1999 e definito nel maggio 2007.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 9 febbraio 2009, ritenuto che, rispetto ad una durata ragionevole di tre anni, il processo si fosse protratto per ulteriori 5 anni circa, liquidava per il danno non patrimoniale Euro 5.000,00 oltre a interessi legali ed alla metà delle spese del procedimento.

Avverso tale decreto I.A. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 7 ottobre 2009, formulando cinque motivi. Resiste il Ministero con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Con i primi tre motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, p.1 CEDU) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa CEDU secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2 che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000/1.500,00 per anno (motivi 1^ e 2^);

nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri (motivo 3^).

1.1.- I motivi quarto e quinto denunciano violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla erronea compensazione per metà delle spese processuali nonostante l’accoglimento della domanda, nonchè vizio di motivazione sul punto ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

2.- I motivi indicati nel p.1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati.

2.1- Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la "non applicazione" della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilita della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008).

Rettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principii qui esposti.

2.2- Quanto alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato che la Corte di merito, riconoscendo al ricorrente a tale titolo la somma di Euro 5.000,00 per cinque anni circa di durata irragionevole, non si è discostata dai parametri che parte ricorrente indica come normalmente adottati dalla Corte Europea in casi analoghi, ai quali ha fatto riferimento, precisando che l’omessa presentazione di istanza di prelievo faceva presumere uno scarso interesse del ricorrente per la sollecita definizione del procedimento presupposto. Ha dunque la Corte validamente esercitato la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo nel rispetto dello standard di base della CEDU, che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius.

3.- Anche i motivi indicati nel p.1.1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono infondati, in quanto: a)le spese del procedimento non sono state poste a carico della parte totalmente vittoriosa, bensì compensate per metà; b)la Corte di merito ha legittimamente esercitato tale facoltà discrezionale, rimessa al suo prudente apprezzamento, indicandone congruamente le ragioni.

4.- Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 600,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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